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Come investire nel Forex

GUIDA GRATUITA

Obiettivo: offrire una spiegazione chiara e accessibile del Forex, con esempi pratici che aiutino a comprenderne il funzionamento e gli aspetti principali.

Livello: base

Tempo di lettura: 2 ore


Indice dei contenuti

Capitolo 1
Introduzione

Lo scopo della guida

Lo scopo di questa Guida è illustrare dettagli, rischi e opportunità del Forex. Per comprendere appieno le caratteristiche tecnico-finanziarie che contraddistinguono quest’ambito d’investimento è tuttavia importante sapere quali soggetti, e attraverso quali modalità, lo mettono a disposizione degli investitori privati.

Operare o investire sul Forex, infatti, è per vari aspetti piuttosto diverso da ciò che si può fare sui mercati azionario o obbligazionario, e uno dei motivi di questa diversità è proprio data dal fatto che sono differenti i soggetti che lo offrono.

In Italia l’attenzione degli investitori privati verso il Forex è sorta all’alba del XXI secolo. Nei primi anni 2000, infatti, i mercati hanno affrontato un lungo periodo di lateralità caratterizzato da una scarsa volatilità. Per gli investitori tradizionali questo momento di ‘mercato piatto’ ha significato stabilità, in un rapporto rischio-rendimento che ha enfatizzato maggiormente il secondo termine rispetto al primo.

Per gli investitori privati online fai-da-te (cioè per i trader) e in particolare per coloro che operavano con frequenza nel corso di una singola giornata (operatività intraday), l’assenza di volatilità rappresentava invece assenza di opportunità e, quindi, un’attività ridotta sui mercati. Questa situazione ha rischiato di mettere in crisi la nascente industria italiana del trading online, decollata a partire dal 1999 e in quella fase ancora costituita solo da un ristretto numero di intermediari.

Fu proprio in quel momento che apparve il Forex nei radar dei trader italiani. Lo sviluppo della tecnologia e la diffusione del trading online avevano infatti aperto la strada dell’operatività in piena autonomia sui mercati azionari, ma la prolungata lateralità necessitava di soluzioni alternative. Nacquero quindi i primi servizi di trading online sul Forex (di cui pioniere fu la società Euroforex) che ebbero molto successo e che in poco tempo si moltiplicarono.

Come mai? Il Forex era in grado di fornire quella volatilità che mancava ai mercati azionari, consentendo appunto un’intensa operatività intraday, cioè con apertura e chiusura di più posizioni nel corso della stessa giornata grazie alle repentine variazioni dei prezzi.

Ai trader, quindi, venne data una nuova possibilità di tornare a cavalcare le adrenaliniche montagne russe dei grafici in tempo reale sfruttando le sofisticate piattaforme già esistenti. Offerta e domanda tornarono a incontrarsi.

Il sogno, però, almeno inizialmente, fu breve. Per due motivi.

Il primo: operare sul Forex è molto diverso dall’operare sull’azionario e l’impreparazione scremò drasticamente il numero dei trader che vi si erano buttati. In molti persero o videro ridursi il proprio capitale e smisero di operare.Il secondo: nei primi anni 2000 le società che operavano in cambi non erano assoggettate alla normativa sulle società finanziarie in quanto la negoziazione in cambi non era ancora riconosciuta come attività finanziaria. Non si trattava quindi di banche o SIM, ma di semplici SPA o SRL. 

Nel 2010, però, con l’entrata in vigore delle normative europee che riconobbero un elemento del Forex (il rollover, lo vedremo) come un derivato finanziario, la Banca d’Italia obbligò tutte le società di cambio a trasformarsi in SIM nel giro di poche settimane o a chiudere l’attività.Fu una strage: chiusero quasi tutte, o perché non avevano i requisiti o perché necessitavano di aumenti di capitale troppo ingenti per ottenerli. Se ne salvarono solo una manciata.

Paradossalmente l’Unione Europea introdusse anche un’altra novità: la cosiddetta “patente europea”, ancora in vigore: le società che ottengono il via libera a operare in un Paese dell’UE possono automaticamente operare anche in Italia semplicemente comunicandolo alla Consob.

L’effetto ottenuto da questa combinazione di fattori fu che tutte le società italiane di cambi che offrivano un servizio di trading online chiusero, ma vennero aperte le porte all’“invasione” delle società estere: nel giro di pochi anni, soprattutto dal Regno Unito e da Cipro, vennero autorizzate a operare in Italia oltre duecento società. Società identificate come “Forex broker”, definizione, come vedremo, quasi sempre impropria.

Sono passati quindici anni e la situazione non è cambiata molto, se non per il fatto che oggi alcuni intermediari o banche italiane sono tornate a offrire servizi di trading sul Forex, e che oggi il Forex è offerto quasi esclusivamente attraverso una nuova forma di derivati non quotati, i CFD.

Qualunque tipo di investimento si scelga di fare, la bussola che deve guidare gli investitori deve essere orientata da una visione globale – olistica, se si preferisce – del portafoglio, che deve essere costruito su una strategia dinamica in grado di tenere conto del proprio profilo di rischio, del capitale disponibile, ma anche di valori, situazione famigliare, obiettivi di rendimento e obiettivi di vita. Va quindi valutato con attenzione se il rischio della negoziazione in cambi può o meno rientrare, e con quale peso, all’interno di un portafoglio ben diversificato.


Capitolo 2
Cos'è il Forex (e cosa non è)

Forex è la sintesi dell’espressione inglese foreign exchange che significa “scambio estero”, a sua volta derivata da foreign currency exchange, cioè “scambio di valuta estera”, spesso abbreviata in FX.

Questa espressione definisce l’attività di negoziazione dei tassi di cambio tra coppie di valute che viene attuata al di fuori di qualunque mercato regolamentato. Quando si parla di cambio ci si riferisce infatti al valore che assume il rapporto tra due valute nazionali diverse, per esempio l’euro e il dollaro. La negoziazione in cambi è caratterizzata da acquisto (o vendita) di una valuta contro la corrispondente vendita (o acquisto) di un’altra valuta.

Per aiutare a visualizzare meglio questa attività bisogna immaginare le valute come semplici merci e il Forex come un’attività di baratto: in cambio di un tot di zucchero bisogna consegnare un tot di legname. Com’è facile intuire, il vero nodo da sciogliere in questa attività è: come si può stabilire quanto legname serve per comprare la quantità di zucchero desiderata? Fuor di metafora, se devo andare in vacanza negli Stati Uniti e mi servono dei dollari, chi e come stabilisce quanti euro devo consegnare per ricevere la quantità di dollari che mi serve?

Le valute però sono merci un po’ particolari. Sono soggette al monopolio dello Stato, cioè sono i singoli Stati che decidono quante monete o banconote mettere in circolazione sul loro territorio, e questo perché la valuta ha un impatto importante sull’economia globale delle nazioni.

Controllare l’emissione di valuta significa infatti contribuire a mantenere la stabilità economica di un Paese, regolare l'inflazione e la crescita, e fornire al sistema economico la necessaria liquidità per funzionare. Per ogni Stato è quindi fondamentale controllare non solo la quantità di moneta emessa ma anche i cambi con le altre valute al fine di mantenere in equilibrio la stabilità dei prezzi, il commercio internazionale, la competitività del proprio sistema produttivo e così via.

Come si intuisce, mentre un’azione rappresenta una frazione del capitale di un’azienda e un’obbligazione rappresenta una frazione del debito di una società o di un ente, un cambio rappresenta il rapporto tra due valute che sono espressione dello stato di salute dell’economia dei rispettivi Paesi. Ogni cambio, quindi esprime l’andamento del rapporto tra due economie, che può essere di forza o di debolezza di una rispetto all’altra, o di equilibrio. Il Forex è quindi l’arena entro cui si “scontrano” le valute in un costante braccio di ferro economico-finanziario. 

Attenzione però: non si tratta di un mercato regolamentato ma di un circuito di scambio, fondamentale differenza che approfondiremo nel prossimo capitolo. Qui basti sapere che la negoziazione di una valuta inizia dal mercato interbancario, ovvero nasce nelle sale cambi delle grandi banche internazionali.

Le banche, infatti, hanno desk (sale operative) a cui viene chiesto di negoziare costantemente valute di tutto il mondo per le diverse necessità dei loro istituti; i desk contattano i loro omologhi di altre banche con cui sono in affari per proporre un acquisto o una vendita di una valuta in cambio di un’altra, spesso per volumi equivalenti anche a milioni di euro. Il senso di questi contatti è quello di ottenere un prezzo dalla controparte: quanti dollari mi dai se ti vendo dieci milioni di euro? O quanti yen giapponesi vuoi per vendermi cinque milioni di lire turche?

La contrattazione è quindi diretta, uno-a-uno, diverso da ciò che avviene in borsa e molto più simile a quello che avviene in un normale mercato della frutta in cui contrattiamo direttamente con qualcuno per avere da lui quello che ci serve. Si parla in questo caso di “controparte diretta”, senza intermediazione: memorizziamo questa espressione che ci servirà più avanti. Può anche svolgersi in modalità uno-a-molti, quando un desk può scegliere tra i prezzi proposti da più controparti.

Una volta ottenuto un prezzo questo valore viene ufficializzato dalla chiusura del contratto e diventa uno dei riferimenti all’interno del circuito di scambio. Ed è qui che il Forex prende corpo, perché il circuito di scambio è composto da diversi software che “parlano” lo stesso linguaggio e che mettono in connessione le banche tra loro. Attualmente le piattaforme di scambio più usate dalle banche internazionali sono, per esempio, EBS (Electronic Broking Services), LSEG Workspace (già nota come Reuters 3000 e poi Refinitiv Eikon), Currenex o 360T. Sono poi i prezzi così generati, in un enorme flusso senza fine, che vengono presi come riferimento per tutti gli altri strumenti finanziari che fanno riferimento ai cambi.

Tutti gli elementi sopra illustrati concorrono a spiegare come mai il Forex sia considerato il “mercato finanziario più grande del mondo”.

I volumi transati su di esso si aggirano ormai ben oltre i 7.000 miliardi di dollari al giorno, considerando che su di esso operano quotidianamente banche centrali, istituti bancari, hedge fund, multinazionali commerciali, trader privati e altri soggetti.

Nel più recente rapporto della BIS (Bank for International Settlements o Banca dei Regolamenti Internazionali, la fonte più autorevole per i dati sul Forex), si legge inoltre: “Il mercato più grande per prendere in prestito dollari è il mercato dei derivati ​​FX. I derivati ​​FX in circolazione, costituiti principalmente da swap FX, swap di valuta e forward diretti, hanno superato i 100.000 miliardi di dollari a fine 2023. Un dato che ha più o meno eguagliato il PIL globale nello stesso anno (pari a 105.000 miliardi di dollari) ed è stato quattro volte il commercio globale (24.000 miliardi di dollari)”.

Tralasciando i dettagli tecnici relativi agli strumenti citati, sono le dimensioni di questi mercati a rivelare quanto fondamentale sia il Forex per la stabilità – non solo economico-finanziaria ma anche geopolitica – per il nostro piccolo pianeta.

Gli investitori italiani possono operare sul Forex attraverso filiali bancarie, consulenti finanziari o servizi di trading online; quest’ultima modalità è senz’altro la più utilizzata dagli investitori privati, ma bisogna ricordare che operare in autonomia comporta numerosi rischi e necessita di un’adeguata preparazione relativa sia al funzionamento di strumenti e mercati finanziari sia all’analisi tecnica.

Le società finanziarie che offrono servizi di trading online sono comunemente definite broker online, cioè intermediari digitali: vedremo nel Capitolo 9 come questa generica definizione sia corretta solo per una parte delle società, ma in questa guida per adeguarci all’uso comune la utilizzeremo in modo indifferenziato.


Capitolo 3
Mercati regolamentati e circuiti di scambio

Il Forex non è un mercato ma è un circuito di scambio senza una sede fisica. Che cosa significa esattamente e che impatto ha questo fatto sulle decisioni di un investitore privato?

I mercati regolamentati si chiamano così perché sono soggetti a una specifica normativa e sono vigilati da agenzie governative che monitorano il rispetto dei requisiti posseduti dalle società finanziarie ammesse a operarvi direttamente (dette “membri del mercato” o “membri di borsa”), lo svolgimento regolare delle transazioni e la corretta applicazione delle procedure di liquidazione e regolamento (clearing e settlement) dei pagamenti connessi con gli scambi di borsa.

In Italia, per esempio, la società Borsa Italiana SPA (parte del gruppo internazionale Euronext) ha una sede fisica (Palazzo Mezzanotte, in Piazza degli Affari a Milano) e gestisce diversi mercati, tra cui quello delle azioni (MTA), delle obbligazioni (MOT), dei derivati (IDEM) e dei derivati cartolarizzati (Sedex).

A cosa servono i mercati regolamentati? A consentire ai membri di partecipare agli scambi con la garanzia di essere tutti soggetti alle medesime regole, che i prezzi sul book si formino secondo regole certe, che vi siano regole certe sulla ‘precedenza’ degli ordini e, soprattutto, che sia facile e rapido disinvestire in caso di necessità.

Tutto questo per il Forex vale solo parzialmente: non è gestito da una società o da qualunque altro soggetto unico, non ha quindi una sede fisica e non ha nessuno che fa rispettare regole condivise assolute; la banca o l’istituto finanziario che vuole partecipare al mercato interbancario del Forex sottoscrive l’utilizzo di una delle piattaforme citate e inizia a operare. Sarà poi il circuito stesso, cioè gli altri partecipanti, a considerare o rigettare le sue proposte di negoziazione se in linea con gli interessi delle singole controparti.

Per capirci meglio, un mercato regolamentato è come un’asta di Christie’s o di Sotheby’s: vi sono elementi messi in vendita, ma per poter fare offerte bisogna prima essere ammessi sulla base di specifici requisiti; quindi c’è un battitore che stabilisce la precedenza e la regolarità degli ordini in arrivo e che sulla base di regole certe stabilisce chi ha fatto l’offerta migliore e tempi e modalità di pagamento.

Un circuito di scambio, invece, è come il mercato della frutta o del pesce: chi vuole comprare vi si reca, ma deve passare ogni volta per un singolo venditore; guarda i prezzi e sceglie la merce a un banco, poi chiede al venditore uno sconto o di aggiungere più merce senza alzare il prezzo, proposta che il venditore può accettare o rifiutare.

L’impatto sull’operatività degli investitori è quindi un aspetto importante del Forex: se non c’è un mercato su cui negoziare i cambi, dove li trovo? E cosa compro davvero?

La negoziazione di strumenti e prodotti finanziari è strettamente regolata dalla normativa e può essere effettuata solo da soggetti autorizzati e vigilati, come banche, SIM o altre società finanziarie.

Per negoziare cambi, ma anche azioni, obbligazioni, derivati, fondi e così via l’investitore deve quindi aprire un conto di trading presso una banca (con la quale potrà operare in filiale, attraverso un consulente finanziario o per via telematica) oppure presso un broker online, che sostanzialmente è una società finanziaria specializzata in questo tipo di servizio.

Non tutte le banche tradizionali offrono un servizio di trading online sul Forex, mentre tutte consentono di negoziare valute in filiale. Ovviamente, andare in banca e acquistare sterline per una vacanza a Londra non è la stessa cosa di speculare sul Forex, perché nel primo caso si tratta di una spesa mentre nel secondo di un investimento che necessita di adeguata competenza finanziaria e che comporta rischi non trascurabili.

Non essendoci un mercato verso cui indirizzare gli ordini, il trader che opera sul Forex resta quindi connesso direttamente alla banca o al broker online fornitore del servizio. Questo significa che sarà la banca o il broker la sua controparte diretta, che gli fornirà una piattaforma per operare e i prezzi dei cambi, e con cui negozierà i cambi stessi. Nessun intermediario, nessun mercato, nessuna borsa: solo la banca o il broker da una parte del filo e il trader dall’altra.Cosa significa questo concretamente lo vedremo nel capitolo 9.


Capitolo 4
Valute, monete e cambi

Vediamo quindi di entrare un po’ più a fondo nei dettagli del Forex e delle sue articolazioni.

I cambi non sono tutti uguali.

Innanzitutto le valute. Nel sistema finanziario internazionale ogni valuta nazionale è identificata da una sigla di tre lettere scritte sempre in maiuscolo; le più importanti, cioè quelle maggiormente negoziate a livello internazionale sono le seguenti:

  • Dollaro statunitense: USD; è la valuta più scambiata in assoluto, rappresentando oltre l’80% degli scambi ed è utilizzata come riferimento per il calcolo del cambio per moltissime altre valute.
  • Euro: EUR; è la valuta di 20 dei 27 Paesi dell’Unione Europea, in particolare delle maggiori economie del Vecchio Continente.
  • Sterlina britannica: GBP.
  • Franco svizzero: CHF.
  • Yen giapponese: JPY.
  • Yuan cinese: CNY.
  • Dollaro australiano: AUD.
  • Dollaro neozelandese: NZD.
  • Dollaro canadese: CAD.

Nel cambio la valuta indicata per prima è definita come “valuta base”, “valuta principale” o “base”, la seconda come “valuta quotata”, “valuta secondaria” o “quotata”. Nel caso del cambio EUR/USD, EUR è la valuta base, USD la valuta quotata.Il cambio EUR/USD indica quanti dollari servono per acquistare 1 euro. Per esempio, se il cambio EUR/USD fosse di 1,08, servirebbero 1,08 dollari per 1 euro e all’inverso che ci vorrebbero 0,97 euro per 1 dollaro. Da ciò si evince che con l’euro è possibile acquistare più dollari e non il contrario, quindi la moneta unica ha un maggior potere d’acquisto rispetto al biglietto verde.

I cambi vengono rappresentati secondo una modalità standard; nella stragrande maggioranza dei casi l’USD è la base: quindi troveremo sempre indicato USD/JPY, USD/CHF, USD/CAD o USD/CNY. Fanno invece eccezione alcune valute, a partire dell’euro, che sono sempre basi; quindi troveremo sempre: EUR/USD, GBP/USD, AUD/USD e NZD/USD.

Pur non essendoci una divisione universalmente accettata, solitamente sei o sette cambi sono indicati come “cambi major” o principali e sono quelli che coinvolgono le valute maggiormente scambiate; gli altri sono definiti “cambi minor”. Accanto ad essi vi sono poi i “cambi esotici”, cioè quelli con valute poco negoziate o di Paesi emergenti.

I cambi major comunemente più citati sono i seguenti:

EUR/USD

USD/JPY

USD/CAD

GBP/USDAUD/USD

NZD/USD

Tutti i cambi sono definiti tali se comprendono il dollaro; se ciò non avviene vengono chiamati cross. Questo perché valuta base e valuta quotata del cross sono utilizzate a partire dal cambio con il dollaro, quindi il loro cambio è un “incrocio” (cross, appunto) del valore di due cambi.Per esempio, nel caso di AUD/JPY (dollaro australiano-yen giapponese) si calcola il rapporto AUD/USD, poi il rapporto USD/JPY e infine li si confronta:

1) AUD/USD = 0,76 (cioè 1 dollaro australiano = 0,76 dollari USA);

2) USD/JPY = 123,45 (cioè 1 dollaro USA = 123,45 yen giapponesi);

Formula del calcolo: (AUD/USD diviso USD/JPY), cioè: 0,76 / 123,45 = 93,82.

Il tasso di cambio del cross AUD/JPY è quindi 93,82.

Criptovalute e stablecoin: sono davvero valute?

Negli ultimi anni si è diffusa la negoziazione delle cosiddette criptovalute e degli stablecoin, che vengono comunemente assimilati alle valute nazionali e spesso utilizzati come sottostanti per derivati o altri prodotti finanziari.

In realtà, però, Bitcoin, Ethereum e altre criptovalute (in circolazione ce ne sono migliaia) per la normativa italiana non sono valute vere e proprie. La definizione precisa è stata introdotta dalla legge di bilancio del 2023 (legge 29/12/2022 n.197) ed è questa: “(…) per ‘cripto-attività’ si intende una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga”. Si tratta quindi di qualcosa molto vicino a un titolo, cioè a un documento che attesta il possesso di un valore e che può essere comprato e venduto generando plusvalenza.

Un tipo particolare di criptovalute sono le stablecoin (letteralmente: “monete stabili”), che possono essere garantite da riserve di altre criptovalute, stabilizzate da algoritmi di controllo ma soprattutto garantite da riserve di valute fiat e ancorate al valore di queste. Le valute fiat sono quelle emesse da governi nazionali internazionalmente riconosciuti: il vocabolo fiat è latino e significa “si faccia”, indica cioè un’imposizione da parte di un’autorità. Per esempio, il Tether è una stablecoin ancorata al dollaro USA.

Per loro natura, quindi, né le criptovalute né le stablecoin sono negoziate sul Forex, anche se il Bitcoin è stato adottato come moneta a corso legale da El Salvador e Repubblica Centrafricana.

Per sintetizzare:

  • sul Forex sono negoziati i tassi di cambio su “valute fiat”;
  • sui cosiddetti exchange (piattaforme di negoziazione private) si negoziano le criptovalute.

Questa Guida non tratta quindi della negoziazione di criptovalute.


Capitolo 5
Gli interessi sulle valute e il rollover

Un aspetto importante della negoziazione in cambi è legato a una sorta di “stranezza” che riguarda le valute, facilmente spiegabile tuttavia con la citata importanza che queste hanno per l’economia delle nazioni.

La stranezza è data dal fatto che ogni valuta è associata a un tasso d’interesse. Proprio così: detenere un capitale in qualunque valuta, che sia il dollaro, l’euro o il rand sudafricano, conferisce al possessore il diritto di ricevere un interesse su di essi. Come mai? Le valute non sono obbligazioni o titoli che danno diritto a una cedola o a un rendimento!La spiegazione risiede nel fatto che per le banche centrali il controllo della valuta è, come abbiamo detto, uno strumento per regolare l’economia. Questo viene fatto imponendo e modificando un tasso d’interesse che viene applicato alle banche che, a loro volta, prendono in prestito i capitali da utilizzare nella loro attività dalla banca centrale. Attività orientata, in definitiva, a mantenere ben oliati i meccanismi economico-finanziari del Paese, prestando per esempio a loro volta capitali ad aziende e privati o investendoli direttamente.

Il tasso determinato dalle banche centrali serve quindi a incentivare o disincentivare la circolazione di questi capitali.

Come impatta tutto questo sull’operatività di un trader o di un investitore in cambi?

Il cambio è un rapporto fra da due valute e per ognuna di esse, la rispettiva banca centrale, impone un tasso di interesse. I tassi vengono aggiornati quotidianamente e ciò avviene sempre alle 17:00 ora di New York, corrispondente alle 22:00 ora italiana; quindi per circa un’ora le contrattazioni si fermano ovunque per effettuare il ricalcolo ed effettuare le necessarie compensazioni. Questo meccanismo di aggiornamento dei tassi è chiamatorollover”, dall’inglese roll over (letteralmente: ribaltamento, inversione di posizione attraverso una completa rotazione).

A questo punto, terminato il rollover, sul capitale investito viene applicato il differenziale dei tassi d’interesse applicati dalle banche centrali sulle valute stesse.Facciamo un esempio pratico: il tasso di rifinanziamento principale stabilito dalla Banca Centrale Europea (Unione Europea) è del 2,90%, mentre quello stabilito dalla Federal Reserve (Stati Uniti) è del 4,50%, entrambi su base annua.Io ho investito 1 milione di euro sul cambio EUR/USD. Nel corso della giornata il cambio oscilla: se vendessi a una certa ora forse perderei o forse guadagnerei. Decido però di tenere l’investimento fino al giorno successivo. Alle 22:00 la banca o la società finanziaria presso cui ho il conto di trading ferma le contrattazioni e dopo circa un’ora (cioè alle 23:00 ora italiana) avrà aggiornato e applicato i tassi sulle due valute, modificandone il differenziale. Applicando i tassi precedentemente indicati delle banche centrali, avremo che sottraendo il 4,5% che la Fed impone sul dollaro (valuta quotata) al 2,9% che la BCE impone sull’euro (valuta base) il risultato è -1,6%. L’1,6% su un milione (sempre che questo sia ancora il valore dell’investimento al momento del calcolo) è 16.000 euro che diviso 365 giorni fa poco meno di 49 euro: è quindi questa la cifra che mi verrà prelevata il giorno dopo come costo di rollover.

Qualora invece il tasso sulla valuta base fosse maggiore di quello sulla valuta quotata questo meccanismo di aggiornamento quotidiano potrebbe al contrario rappresentare un’opportunità aggiuntiva di guadagno.

Il rollover è quindi un elemento fondamentale del Forex e per più di un motivo. Non solo per l’impatto pratico che ha sui conti degli investitori, ma soprattutto perché è proprio questo meccanismo che nel 2010 ha portato la negoziazione in cambi sotto il controllo delle autorità di vigilanza dei mercati finanziari italiane ed europee.

Al momento del ricalcolo dei tassi, infatti, ogni banca detiene diverse valute a seconda delle attività che svolge e degli investimenti che ha effettuato. Si può quindi trovare nella condizione di dover cedere un differenziale negativo per spostare capitali verso investimenti più redditizi. Per fare questo concorda con una o più banche l’emissione di uno swap valutario, cioè negozia un derivato che consente lo scambio di flussi d’interesse tra due soggetti.

La comparsa di un derivato, peraltro non quotato, trasforma quindi l’attività di negoziazione in cambi in una vera e propria attività finanziaria. Ciò inoltre spiega anche lo stretto legame tra il Forex e gli swap citati nel Capitolo 1: un legame che si rinsalda ogni notte (almeno nel fuso orario dell’Italia).

Conclusione: se si investe sui cambi con operatività intraday, cioè se si acquista e si rivende in giornata prima del rollover delle 22:00 ora italiana, la speculazione avviene solo sul prezzo del cambio (acquisto-vendita). Se invece si mantiene la posizione aperta overnight, cioè fino al giorno dopo, si incorre nel rischio/opportunità del rollover.


Capitolo 6
Orari di negoziazione sul Forex

Per un trader che ha un conto di trading con una società finanziaria italiana o europea, la negoziazione sul Forex può essere fatta dal lunedì al venerdì e dalle 23:00 alle 22:00 del giorno dopo. Inoltre, come abbiamo visto, dalle 22:00 alle 23:00 ora italiana circa (dalle 17:00 alle 18:00 ora di New York) il rollover impedisce la negoziazione.

L’investitore italiano che vuole invece operare attraverso la filiale o un operatore bancario è soggetto agli orari della banca, mentre operare online (trading online) consente di approfittare dell’intero orario disponibile, a parte il fatto che operare in proprio presenta rischi aggiuntivi.

Il fatto che il Forex sia un circuito di scambio globale ha poi delle importanti implicazioni operative. Queste impattano in particolare sull’entità dei flussi di scambi, che muta a seconda dell’orario, ma anche sull’analisi dei dati.

Diamo un’occhiata al grafico qui sotto.

Immagine contenuto

A grandi linee l’operatività sul Forex può essere suddivisa in tre grandi sessioni orarie: la sessione dell’Asia-Pacifico (o semplicemente asiatica), la sessione europea e la sessione americana.

Più o meno, quando in Italia è mezzanotte gli addetti asiatici dei desk cambi di banche, hedge fund, multinazionali, banche centrali, trader privati iniziano a operare (i neozelandesi anche un po’ prima) e con l’accensione dei computer negli uffici giapponesi il flusso di scambi s’ingrossa notevolmente, visto che lo yen è una delle valute più scambiate a livello globale.

I volumi si mantengono comunque medio-bassi fino all’inizio della sessione Europea. Qui i bancari di Francoforte entrano per primi in azione sull’euro, subito seguiti dalla city di Londra con il suo grande volume di scambi sulla sterlina e da un’altra valuta molto scambiata a livello mondiale, il franco svizzero. Con l’avvio delle operazioni in tutte le piazze finanziarie europee sull’euro gli scambi aumentano a livelli molto intensi e ingenti.

Alle 15 aprono poi le danze le grandi piazze finanziarie statunitensi, con il peso dei dollari che porta gli scambi ai massimi livelli grazie alla sovrapposizione delle operazioni su USD, EUR, GBP e CHF per circa tre ore (15:00-17:00 ora italiana). È questa la finestra temporale in assoluto con i maggiori scambi e la maggiore liquidità, quindi di maggior interesse per i trader.

Verso le 18 gli impiegati europei spengono il computer e se ne tornano a casa, mentre gli americani di tutto il continente (non solo USA, quindi) proseguono il loro lavoro. Alle 22:00 ora italiana, infine, il rollover ferma tutto, per poi ricominciare il ciclo qualche decina di minuti più tardi.

Il “mezzo venerdì” di New York

Per gli italiani il venerdì sul Forex è un po’ complicato da gestire, soprattutto a livello di elaborazione dei dati e di analisi tecnica. Com’è noto, i fusi orari di New York e Milano sono distanziati da alcune ore, quindi la piazza di New York inizia a operare sei ore dopo l’apertura di Milano (cinque quando in Italia c’è l’ora legale). Quindi il venerdì mattina New York apre quando in Italia è già venerdì pomeriggio e gli addetti ai desk cambi nostrani già scalpitano per il week end. Questo significa che da New York i dati sui cambi continuano a fluire per altre cinque o sei ore dopo la chiusura italiana, periodo durante il quale in Italia le banche sono chiuse ma gli scambi sul dollaro continuano a essere ingenti. Operando sulle piattaforme messe a disposizione dai Forex broker europei che ricevono dati da enti finanziari europei, il rischio di non poter ottenere questi dati quindi è reale e questo, all’interno del flusso di dati in real time che i trader e professionisti utilizzano per le loro analisi di mercato, può creare qualche complicazione.

Avere una serie di dati Forex incompleti – che cioè non comprendono le ultime ore dell’ultima seduta settimanale di New York – può infatti portare a previsioni non accurate, senza contare la possibilità di scontare il lunedì un imprevisto gap di apertura (che avviene quando per esempio un titolo o un cambio chiude una seduta a 10 e riapre il giorno dopo a 12 o a 8, con un “vuoto” o gap tra i due momenti di +2 o -2) che rende imprecisa la lettura del grafico.

Non è solo un problema di interpretazione: alcune strategie di trading si basano proprio su pattern (configurazioni grafiche) o breakout (rotture di livelli) di chiusura e apertura di fine giornata e un’eventuale discrepanza tra la realtà e i dati disponibili può portare alla generazione di segnali operativi poco precisi.

Per ovviare a questo inconveniente è possibile selezionare una piattaforma o un broker che metta a disposizione questi dati, operare intraday o con strategie di breve da chiudere prima della fine della seduta di venerdì oppure adottando altre strategie specifiche.

Alcuni Forex broker, inoltre, consentono l’elaborazione dei dati con la possibilità di escludere le cinque o sei ore del “mezzo venerdì” per renderne maggiormente omogenea l’elaborazione.


Capitolo 7
Cosa fa muovere i prezzi sul Forex

Se prendiamo ad esempio il mercato azionario, le variabili che muovono i titoli sono numerose e complesse, ma è possibile comprenderle partendo dal fatto che le azioni sono quote di capitali di aziende private. Si tratta di società che vendono prodotti o servizi, che hanno un bilancio, dei dipendenti, che hanno la sede in un determinato Paese alla cui normativa sono soggette, che pagano tasse, distribuiscono dividendi e così via. Grazie anche all’analisi dei dati fondamentali di un’azienda e al suo essere parte di un settore o di più settori si possono quindi fare buone previsioni degli andamenti futuri del titolo.

Questo approccio viene utilizzato anche per il Forex, cioè per le valute, ma si basa sull’analisi di dati diversi seppur non meno complessi. Innanzitutto, abbiamo visto che le banche centrali incrementano o riducono l’appetibilità di una valuta modificando i tassi d’interesse, quindi questi sono elementi essenziali dell’analisi: più un tasso è alto più riesce ad attrarre capitali. In questo gioca un ruolo anche il differenziale del livello di inflazione tra i due Paesi della coppia valutaria, che riduce il potere di acquisto di una valuta rispetto all’altra.

Ogni moneta è poi utilizzata in modo più o meno massiccio come riserva valutaria, cioè ogni nazione accumula quantità diverse di valute estere da utilizzare come leva di stabilità del proprio commercio verso gli altri Paesi. Ciò significa che, a seconda della necessità, uno Stato può venderne o acquistarne quantità variabili e che quindi la variazione delle riserve valutarie delle banche centrali è un altro fattore importante da monitorare.

Lo stato di salute di una valuta è anche una spia dello stato di salute di un’economia e il tasso di cambio sintetizza quindi il rapporto tra le due economie coinvolte. Un PIL (prodotto interno lordo) robusto e in crescita, una forte produzione industriale, un grande sviluppo del terziario avanzato, ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, una crescita demografica sostenibile ed equilibrata possono portare a un rafforzamento della valuta (com’è per esempio da decenni il caso del dollaro USA) rispetto a quelle di economia in via di sviluppo o molto arretrate.

Paesi a economia debole e conseguente debolezza della valuta possono portare però a una bilancia commerciale squilibrata. Per esempio, un Paese in via di sviluppo può essere in grado di esportare prodotti agricoli o altre merci a prezzi concorrenziali rispetto a quelli dei Paesi avanzati, situazione che per esempio ha caratterizzato il rapporto dei Paesi maggiormente industrializzati con la Cina. Quindi su una valuta può avere un peso importante l’andamento dei settori economico-produttivi più importanti per quel Paese, come petrolio e gas per la Russia oppure macchine industriali e mobili per l’Italia. Altri elementi importanti in grado di impattare sulle diverse valute e quindi sui cambi sono poi eventi geopolitici come guerre, dazi o crisi economiche.

Tutti questi temi devono essere poi calati nella realtà delle singole valute, ognuna delle quali ha specifiche peculiarità. L’Australia, per esempio, ha un’economia correlata per oltre il 60% alle materie prime minerarie, di cui è grande esportatrice, e il suo principale cliente è la Cina.

L’andamento del dollaro australiano è quindi correlato al prezzo delle sue principali voci di esportazione, come i minerali di ferro, il carbone o l’oro, e ai suoi rapporti “di buon vicinato” con Pechino, che quindi l’investitore in EUR/AUD o AUD/USD deve monitorare almeno periodicamente.


Capitolo 8
Gli strumenti per fare trading sul Forex

Per investire sulla variabile valutaria vi è una strada diretta e numerose altre indirette. Quella diretta è il Forex, il grande mare magnum globale delle coppie di valute, mentre quelle indirette sono rappresentate da tutte quelle opportunità che nascono dall’impatto della variazione dei cambi su altri strumenti o prodotti finanziari.

Negoziazione diretta: spot e forward

La negoziazione diretta sul Forex prevede due tipi di contrattazione: lo spot, cioè il contratto “a pronti” che viene concluso immediatamente, e il forward, contratto “a termine” che viene concluso in una data futura stabilita dalle parti.

Disponibili attraverso i servizi di trading online di diversi Forex broker, il primo è utilizzato anche da trader e investitori privati, mentre il secondo è per lo più riservato a soggetti con requisiti particolari (aziende, enti finanziari, investitori professionali e altri); si tratta infatti di un tipo di strumento che solo poche società finanziarie offrono ai trader privati, soprattutto per via dei rischi a cui espone le società stesse. I servizi di trading che offrono ai privati spot o forward sono comunque poco diffusi, visto che la stragrande maggioranza delle società offre ormai servizi Forex basati sui CFD (vedi paragrafo qui sotto).

Negoziazione indiretta

Oltre alla modalità diretta vi è poi la possibilità di investire sui cambi anche indirettamente, utilizzando strumenti e prodotti finanziari che hanno i cambi come sottostanti. In questo caso non si opera sul Forex ma su strumenti quotati su mercati regolamentati oppure su strumenti non quotati (questi ultimi detti appunto anche over-the-counter o OTC). La differenza tra strumenti quotati e non quotati è molto importante perché impatta in modo rilevante sul rischio di controparte. Lo vedremo in modo approfondito nel Capitolo 9 dedicato ai modelli di servizio dei broker online. 

Per investire indirettamente in cambi si possono utilizzare:

  • strumenti finanziari non quotati, in particolare i CFD, che attualmente sono il principale canale utilizzato dai trader privati per operare sul Forex;
  • strumenti e prodotti finanziari quotati che investono su valute o cambi, tra cui ETF (quote di fondi che replicano indici, negoziabili come azioni), ETN (titoli emessi da banche a fronte del possesso di un sottostante, anche su criptovalute), future e certificati (derivati con differenti caratteristiche);
  • strumenti finanziari quotati che investono su strumenti correlati, come per esempio titoli azionari di soggetti (tra cui banche, multinazionali, etc.) la cui attività è fortemente influenzata dall’andamento di una valuta o di un cambio specifico. Quest’ultimo caso presuppone un’ottima conoscenza delle variabili che influenzano la correlazione.

CFD

L’acronimo che identifica i CFD significa contract for difference e sono noti sul mercato italiano come “contratti differenziali”. Si tratta di strumenti finanziari derivati, che cioè fanno derivare il loro valore da quello di uno strumento sottostante, investendo però non direttamente sul sottostante ma sulla sua variazione di prezzo. Per capirne il senso è necessario fare un po’ di storia. I CFD sono nati sulla Borsa di Londra molti anni fa quando il governo locale introdusse una tassa sulla negoziazione di azioni, il duty stamp (imposta di bollo). Poiché gli intermediari di borsa si resero conto che questa tassa rischiava di diventare un onere troppo gravoso per i loro clienti, si inventarono un modo per aggirarla: ogni volta che un cliente voleva acquistare delle azioni creavano ed emettevano un derivato “su misura” per quel cliente che non lo obbligasse a comprare le azioni ma semplicemente “scommettesse” sulla variazione del prezzo. Ovviamente il derivato non veniva quotato ma rappresentava un contratto tra le due parti.

Attualmente Consob autorizza un ampio numero di broker online a offrire servizi di trading sul Forex a utenti privati e la stragrande maggioranza di essi lo fa appunto attraverso i CFD.Come mai?

Perché oggi l’utilizzo dei CFD è un grande vantaggio soprattutto per le società che lo offrono, in quanto riduce gli oneri di gestione dei rischi e consente di proporre direttamente il proprio prezzo dei cambi ai clienti. La qualità del trading in CFD è strettamente legata alla qualità e all’affidabilità del broker ed è indubbio che sul mercato vi sia un’infinità di società poco trasparenti, se non veri e propri truffatori, che prendono il nome inglese di “scam”. La scelta di un Forex-CFD broker di qualità è quindi fondamentale e nel Capitolo 9 approfondiremo quindi questo tema.

Il trading con i CFD presenta vantaggi anche per i clienti, pur trattandosi di vantaggi sfruttabili da chi ha una buona conoscenza dei meccanismi di funzionamento di questi derivati complessi. Innanzitutto, offrono un’ottima facilità di accesso al Forex con costi non eccessivi; inoltre, con i CFD è possibile operare sia al rialzo (long) sia al ribasso (short), accedere anche a un’infinità di mercati, strumenti, indici, commodity o criptovalute, e utilizzare la leva finanziaria.

Una modalità, quest’ultima, che può consentire di amplificare i guadagni utilizzando capitale che non si possiede, ma è anche molto rischiosa in quanto allo stesso modo può amplificare le perdite ben oltre il capitale posseduto.

Rispetto all’operatività diretta sul Forex spot, per un trader privato la differenza con il trading in CFD può non essere significativa. In entrambi i casi, infatti, è necessario passare attraverso un intermediario e la differenza è soprattutto legata allo spread (il ricarico che il broker applica sul tasso di cambio, si veda il capitolo successivo). Ciò che conta, quindi, è che il broker CFD sia affidabile e che offra spread contenuti, “stretti”, quindi non eccessivi rispetto al Forex spot.


Capitolo 9
Prezzi, commissioni e spread

Quando si opera sul mercato azionario i broker online impongono ai trader una commissione fissa o variabile per ogni eseguito che non ha un legame diretto con il prezzo dei diversi titoli quotati. Sul Forex e con i CFD, invece, i prezzi dei cambi visualizzati sono strettamente connessi con ciò che il trader deve pagare per operare. Questo accade perché i servizi di trading su mercati regolamentati e quelli su Forex e CFD sono due mondi completamente diversi, separati da normativa e tecnicità differenti, a partire dal meccanismo di formazione del prezzo che diventa la base del calcolo commissionale.

Dealing Desk o No Dealing Desk?

Sul Forex i trader non negoziano le valute ma il tasso di cambio tra coppie di valute. Poiché però non vi è un mercato e quindi non vi sono regole di formazione dei prezzi, da dove arrivano i prezzi del Forex che il trader vede sulla sua piattaforma?

Come abbiamo visto, tutto parte dal Forex interbancario, cioè dallo scambio di valute tra banche e grandi istituti finanziari internazionali. A fronte di un accordo commerciale, banche singole, hedge fund o gruppi di banche possono diventare i fornitori di prezzi e di liquidità per altre società, per esempio per i broker online.

I Forex-CFD broker possono quindi utilizzare questo servizio secondo modalità differenti:

  • Dealing Desk (DD): il broker ha al suo interno un gruppo di analisti (desk) che riceve i prezzi dei cambi da una o più banche e sulla base di proprie elaborazioni decide quali prezzi girare ai propri clienti-trader e con quale spread di ricarico. Si tratta di un sistema che più di altri si può prestare a manipolazioni dei prezzi da parte dei broker, che con questo sistema non garantiscono di fornire con precisione ai propri trader i prezzi di riferimento presenti sul Forex;
  • No Dealing Desk (NDD): dichiarando di essere un NDD, il broker si vanta di non avere un desk interno che può creare opacità nella diffusione dei prezzi ai suoi trader. Questa dichiarazione equivale a dire: i prezzi non ve li forniamo noi direttamente ma ci arrivano da fonti autorevoli e noi ve li giriamo così come sono (sempre però applicando uno spread aggiuntivo).

Questo tipo di modello può avere a sua volta due diverse articolazioni: l’STP (Straight Through Processing, cioè “elaborazione diretta”) e l’ECN (Electronic Communication Network, “rete di comunicazione elettronica”).

L’STP è una via di mezzo tra il DD e l’ECN, in quanto il broker riceve dai fornitori di liquidità i prezzi, li verifica e successivamente invia loro gli ordini dei clienti per l’esecuzione; il trader non vede quindi i prezzi sui sistemi dei fornitori di liquidità ma solo dopo che sono transitati dai sistemi del broker. È un livello di garanzia maggiore rispetto al DD ma inferiore a quello che invece si avvale degli ECN, grandi circuiti di scambio organizzati (per lo più statunitensi) che operano quasi come mercati regolamentati. In quest’ultimo caso, infatti, i trader vedono i prezzi dei cambi dell’ECN che potranno poi effettivamente applicare.

La differenza tra DD, STP ed ECN non è solo nella trasparenza ma è anche nella velocità di esecuzione (DD e STP sono più veloci perché comportano meno passaggi, pur restando sempre nell’ambito dei millisecondi) e nei costi, perché STP e ECN possono richiedere il pagamento di commissioni aggiuntive (pretese dai circuiti di appoggio), oltre al normale spread di ricarico applicato dal broker.

Sinteticamente si può quindi dire che il DD comporta un evidente conflitto d’interesse del broker, ma è il più economico e l’esecuzione degli ordini è veloce; l’STP è più trasparente e un po’ meno economico ma sempre veloce; l’ECN può non essere veloce come gli altri due ed è più costoso per via di commissioni fisse aggiuntive, ma è molto più trasparente e riduce fortemente il conflitto d’interesse del broker nei confronti del cliente.

Spread e commissioni

Abbiamo più volte citato lo spread come un elemento fondamentale del trading sul Forex e sui CFD. La parola spread può essere tradotta come “variazione” o “differenziale” tra due valori e su Forex e CFD viene utilizzata per indicare il ricarico che il broker applica sui prezzi dei cambi.

Questo elemento fornisce due indicazioni importanti: non è vero che sul Forex e sui CFD non si pagano commissioni e la fonte dei prezzi può essere determinante per un trading profittevole.

Nella pubblicità di molti Forex e CFD broker si fa spesso riferimento al fatto che “non si pagano commissioni”, che è un’attività “a commissioni zero” e altre simili espressioni.

Tecnicamente è vero, perché in termini legali (definiti dall’art. 1731 del Codice Civile), lo spread non è una commissione, ma in soldoni per fare trading sul Forex si paga quella che di fatto è una sorta di “commissione variabile”, cioè appunto lo spread.

Se si opera su azioni, obbligazioni o derivati con un broker online si possono infatti pagare commissioni fisse (es 3 euro per ogni eseguito) o variabili (es. l’1,9 per mille sull’ammontare dell’eseguito), mentre su Forex e CFD viene applicato uno spread aggiuntivo ai prezzi sui cambi ottenuti dai fornitori.

L’unità di misura dello spread è il pip (vedere il prossimo paragrafo) che il broker deve sempre dichiarare; solitamente sui cambi major lo spread è molto contenuto (anche solo 1 pip), mentre sugli altri può essere significativo.

La variazione minima del prezzo del cambio: il pip

Un PIP (acronimo per Price Interest Point o anche di Percentage In Point) è la misura della più piccola variazione possibile del prezzo del cambio; corrisponde alla variazione della quarta cifra decimale visualizzata, cioè alla variazione di un decimillesimo (0,0001), tranne che nelle coppie con lo yen giapponese in cui corrisponde alla seconda cifra decimale, cioè alla variazione di un centesimo (0,01).

Per esempio, nel caso del cambio EUR/USD la variazione di 1 pip corrisponde al passaggio da 1,8284 a 1,8285, mentre nel caso dell’USD/JPY al passaggio da 149,47 a 149,48 (come si vede, quindi, il pip è sempre la variazione della quinta cifra visualizzata).

Su cambi major più liquidi spesso i broker richiedono spread minimi, mentre più cambi sono esotici più lo spread è decisamente più ampio.

Calcolare il valore del pip è importante perché per il trader rappresenta il costo vivo di un’operazione sul Forex e sui CFD. Per farlo però è necessario conoscere l’entità dei lotti minimi.

Lotti minimi

Sui mercati regolamentati è possibile negoziare anche una sola azione, ma sul Forex e con i CFD questo non è possibile: si possono effettuare ordini solo per quantità predefinite di unità della valuta base e queste quantità standard vengono appunto chiamate “lotti minimi”, cioè la quantità minima negoziabile.

Nel Forex e con i CFD l’originario “lotto standard” nel corso del tempo è stato affiancato da lotti di minore entità per favorire la negoziazione telematica da parte dei trader privati.

Quindi oggi vi sono:

  • Lotto standard da 100.000 unità della valuta base;
  • Mini lotti da 10.000 unità della valuta base;
  • Micro lotti da 1.000 unità della valuta base;
  • Nano lotti da 100 unità della valuta base.

Ogni Forex e CFD broker può decidere autonomamente quali tipi di lotti mettere a disposizione dei propri clienti trader.

Calcolo dei pip

Per capire quanto costa un eseguito sul Forex dobbiamo prima di tutto verificare se sul cambio da noi scelto è presente lo yen come valuta.

La formula per calcolare il costo dei pip per un eseguito su un lotto standard è quindi la seguente:

Se non c’è lo yen > (0,0001 / tasso di cambio) * lotto

Es. il cambio GBP/USD vale 1,3245 > il costo dei pip sarà (0,0001 / 1,3245) * 100.000 = 7,55 dollari

Se c’è lo yen > (0,01 / tasso di cambio) * lotto

Es. il cambio USD/JPY vale 128,37 > il costo dei pip sarà (0,01 / 128,37) * 100.000 = 7,79 yen

Commissioni

Oltre allo spread espresso in pip, su Forex e CFD possono essere applicati altri costi nel caso in cui si utilizzi un sistema di trading con STP o ECN.

La maggior parte dei Forex e CFD broker offre un servizio in DD, mentre solo un numero limitato offre diverse opzioni a costi diversi. Le diverse opzioni vengono solitamente offerte come Conto Trading (cioè il normale conto in versione DD), Conto STP o Conto ECN e possono prevedere uno spread aggiuntivo di 1-3 pip per l’STP e una commissione fissa di 3-5 euro per l’ECN (ma con spread più bassi); inoltre questi ultimi due tipi di conto rendono necessario l’uso di piattaforme di trading diverse rispetto a quelle utilizzate nei sistemi DD.


Capitolo 10
I broker online e i soldi dei trader

Prima di operare sul Forex è importante approfondire i modelli di attività dei broker online, visto l’impatto diretto sul capitale dei trader di questo tipo di negoziazione.

In precedenza, abbiamo rilevato come la denominazione di “broker online” non sia adeguata a tutte le società finanziarie che offrono servizi di negoziazione su Forex e CFD, ricordando che broker significa appunto intermediario.

Sul mercato esistono infatti due tipi di modello di business, uno che possiamo definire basato sul flusso di commissioni e l’altro basato sul flusso di clienti.

Gli intermediari puri e il modello a “flusso di commissioni”

Le società che offrono trading sui mercati regolamentati (azioni, obbligazioni, derivati) sono membri delle borse e fungono da intermediari tra i trader e le borse stesse. Quindi permettono agli ordini dei clienti di transitare attraverso i propri sistemi per poi inoltrarli ai mercati, trattenendo una commissione fissa o variabile per ogni eseguito. Si tratta quindi di intermediari puri, che mettono in connessione i trader con le borse. Il loro guadagno deriva in questo caso dalle commissioni generate dai clienti e questo significa che più la “vita” del cliente (la sua operatività) sarà lunga e intensa, più l’intermediario guadagnerà.

L’obiettivo dell’intermediario puro – del broker vero e proprio – è quindi quello di prolungare la vita del cliente il più possibile e, se necessario, sostenerlo nella sua crescita con corsi di formazione o consigli, verifica delle sue reali competenze, vigilanza a protezione dell’operatività e così via.

Viceversa, se il cliente perde tutto il flusso di commissioni si interrompe e il broker smette di guadagnare. In questo caso, gli obiettivi del cliente e del broker coincidono.

I market maker e il modello “a flusso di clienti”

Le società che offrono trading su Forex e con i CFD hanno un approccio al business completamente differente rispetto a quello precedente. Fatti salvi i Conti ECN, come abbiamo ormai compreso, qui non c’è un mercato o un circuito di cui essere intermediari perché la negoziazione dei tassi di cambio avviene direttamente con il fornitore del servizio. Non si tratta quindi realmente di un “broker”, ma di una controparte che è anche market maker e con cui il trader tratta direttamente.

Quando si utilizza questo tipo di servizio la società finanziaria è direttamente coinvolta nella negoziazione e questo significa che quando il trader guadagna la società perde e quando il trader perde la società guadagna.

Si tratta di un modello di business che prevede l’applicazione degli spread come fonte di entrate costanti, ma in cui per la gran parte dei broker Forex e CFD il vero guadagno è un altro: è l’intero capitale che il trader ha versato sul Conto Trading per operare.

Questo modello prevede infatti che il trader (possibilmente poco esperto) apra un Conto Trading, versi almeno qualche migliaio di euro, operi, anche supportato da un tutor, e inizialmente guadagni piccole somme. Progressivamente, da solo o incentivato dal tutor assumerà rischi maggiori e nel giro di poche settimane o pochi mesi vedrà il suo capitale assottigliarsi fino all’estinzione.

Un modello di questo tipo, potrebbe essere l’obiezione, può però funzionare solo per poco tempo, perché se tutti i clienti perdono i loro soldi l’attività si ferma. Ecco perché abbiamo definito questo modello “a flusso di clienti”: chi lo adotta necessita di un continuo ricambio di clienti che versino sempre capitali freschi.

È questo il motivo per cui molti Forex e CFD broker effettuano massicce campagne pubblicitarie, soprattutto via web o con insistenti telefonate, per indurre l’idea che operare sul Forex e con i CFD sia semplice e anche grazie alla leva tutti possono diventare ricchi rapidamente, spesso incentivati da ricchi “bonus” d’entrata (per esempio 1.000 o 2.000 euro di commissioni gratuite), device informatici in omaggio e così via.

Questo tipo di modello è ovviamente legale, ma ha un problema di scarsa trasparenza e di evidente conflitto d’interesse, visto che la società non è, come si pensa erroneamente, al di sopra delle parti ma, appunto, controparte diretta, e che il più delle volte punta a rivolgersi a trader non particolarmente esperti i quali possono non cogliere le implicazioni dell’operare con un market maker.

Un modello così aggressivo ha quindi portato non solo un grande discredito alle società che operano nel settore del Forex e dei CFD in maniera corretta, ma negli ultimi dieci anni hanno costretto gli enti di vigilanza europea a intervenire più volte con l’aggiornamento delle regole su informazioni ai clienti, leva ed altri aspetti a protezione degli investitori privati.

Per esempio, l’utilizzo della leva per i trader privati è stato fortemente limitato, ma per “rimediare” a questo problema molte società propongono ai loro clienti di aprire conti con società affiliate con sede al di fuori dell’UE (Seychelles, Dubai, Isole Vergini britanniche, etc.) attraverso cui si può tornare a utilizzare anche una leva 1:400. Con tutti i rischi che ciò comporta.

A questo proposito, la normativa europea impedisce di offrire servizi finanziari di società non autorizzate a operare nell’UE, a meno che non sia il cliente che spontaneamente li cerchi e li richieda: una norma, come si può intuire, facilmente aggirabile.

Questa severità nel far rispettare le norme a protezione dei clienti ha spinto inoltre gran parte di questo tipo di società (quasi tutte con quartier generale extra-UE) a creare succursali in Paesi dell’UE in cui le autorità di vigilanza hanno un approccio meno rigido: è questo il motivo per cui in Italia le succursali dei Forex e CFD broker si contano sulle dita di una mano mentre per esempio a Cipro ve ne sono centinaia.

Scegliere un broker online

Il mercato del trading su Forex e CFD è un mare magnum di società “non-broker” che negli ultimi vent’anni si sono buttate in un settore di facili, rapidi e ingenti guadagni contando sull’attrazione esercitata dal miraggio di un arricchimento senza troppi sforzi sui trader meno esperti.

Distinguere le società solide e affidabili dagli scam non è quindi sempre facile, anche perché in passato realtà consolidate, anche quotate in borsa, sono state soggette a pesanti sanzioni (fino alla chiusura) per attività contrarie alla buona fede dei clienti.

I consigli da seguire per evitare brutte sorprese possono essere i seguenti:

  • studiare bene il funzionamento del Forex e dei CFD, le variabili che impattano sui prezzi dei diversi cambi, l’analisi tecnica, le strategie nelle diverse fasi di mercato: Forex e CFD sono strumenti complessi non adatti a trader inesperti;
  • non concentrare mai tutto il capitale in attività ad alto rischio;
  • aprire un conto solo con società autorizzate da Consob a operare in Italia; se venite contattati telefonicamente o via web da una società verificate che sul sito sia indicata l’autorizzazione e controllatela sul sito della Consob;
  • verificate da quanti anni la società è attiva in questo settore: un’attività di oltre cinque anni senza sanzioni o segnalazioni (rilevabili sul sito Consob o su quello dell’ente di vigilanza del Paese Ue di origine) ma anche senza cambiamenti di sede o di marchio può essere un’indicazione utile, pur non esaustiva;
  • prima di aprire un conto, controllate con quale società lo state realmente facendo (spesso sui contratti allo stesso marchio possono corrispondere società con sedi in diversi Paesi);
  • fate attenzione ai siti web che pubblicizzano o recensiscono Forex e CFD broker: nella maggior parte sono pubblicità, quando non sono gestiti direttamente dalle società stesse.

Capitolo 11
Book, grafici e piattaforme operative

Nei mercati regolamentati, il prezzo degli strumenti quotati si forma sulla base di regole tecniche molto precise e valide per tutti i partecipanti. Tutti gli ordini che arrivano ai sistemi della borsa vengono esposti in un book pubblico, aggiornati in tempo reale e suddivisi tra ‘offerte in acquisto’ (anche bid o denaro) e ‘offerte in vendita’ (ask o lettera) sulla base del prezzo.

Ogni partecipante al mercato può infatti inviare ordini al prezzo che più ritiene opportuno per la sua strategia, e il sistema lo metterà comunque a disposizione dei partecipanti; ovviamente, se i prezzi sono lontani dalla realtà del mercato in un dato momento difficilmente verranno eseguiti, cioè non troveranno una controparte interessata.

Proprio per il fatto di avere molti partecipanti, il book di titoli quotati di un mercato regolamentato può avere diverse “profondità”; i broker online possono quindi decidere di offrire ai trader, di solito a costi crescenti, book a 5 o a 20 livelli o addirittura a livelli illimitati.

Sul Forex, come in tutti circuiti di scambio non regolamentati, tutto questo invece non accade.

Il book presenta un solo livello, cioè un unico prezzo per acquistare (bid) e un unico prezzo per vendere (ask).

Questo comporta il fatto che le piattaforme per il trading su Forex o CFD siano apparentemente più facili da usare, con meno complicazioni e interminabili liste di numeri che si aggiornano in tempo reale. Solo un pulsante verde per gli acquisti e uno rosso per la vendita.

Per il resto, le piattaforme riportano gli stessi strumenti per l’elaborazione delle strategie di analisi tecnica di qualunque altra piattaforma operativa: grafici lineari e a candele giapponesi, spesso con la possibilità di effettuare eseguiti dal grafico stesso (chart trading), dotazione completa di strumenti di analisi tecnica (indicatori e oscillatori), possibilità di tracciare linee e di utilizzare trading system o di svilupparne di propri e, negli ultimi tempi, prove di integrazione con l’intelligenza artificiale.


Capitolo 12
Fisco e Forex

Calcolare le imposte sui guadagni da trading sul Forex o sui CFD non è difficile, perché la normativa italiana li considera “redditi diversi” di natura finanziaria e li assoggetta a un’imposta sostitutiva del 26%.

In caso di regime amministrato sarà il broker online o la banca a calcolare, trattenere e versare automaticamente all’erario quanto dovuto, mentre nel caso di regime dichiarativo, cioè di compilazione autonoma del modello Redditi Persone Fisiche, andrà compilato il quadro RT, sezione II-B dedicato alla tassazione separata delle plusvalenze.

Bisogna infatti ricordare che banche e società finanziarie possono essere “sostituti d’imposta” (cioè essere autorizzati alla gestione del regime amministrato per conto dei clienti) solo se hanno sede legale – anche come succursale – in Italia. Poiché la stragrande maggioranza dei Forex broker e CFD ha sede in Paesi dell’UE se non addirittura extra-UE e non è quindi sostituto d’imposta, nel caso si abbia un conto con uno di essi sarà meglio rivolgersi a un commercialista per la compilazione corretta della dichiarazione.

Anche perché il Fisco italiano consente sul Forex la compensazione delle minusvalenze con le plusvalenze. Cosa significa? Se in un dato anno fiscale operando sul Forex dapprima si ottiene un guadagno di 1.000 euro e successivamente una perdita di 300 si pagherà il 26% di imposta solo sulla differenza tra attivo e passivo, cioè su 700 euro.


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