Adesso che l'Europa è in recessione, che succede?


Ci aspettavamo che la recessione fosse un problema di quando e non di se.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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La seconda lettura del PIL QoQ dell’Europa del 1Q23 è risultata in flessione rispetto al dato uscito il 16 maggio scorso: -0,1% contro zero della prima lettura e -0,1% del 4Q22, sancendo di fatto che l’Europa è in recessione dal 1Q23. Contenuta e tecnica finchè si vuole, ma recessione. In crescita sia rispetto alle attese il dato di disoccupazione settimanale USA (261k contro 235k stimato) sia rispetto alla scorsa settimana (233k).

Più volte lo abbiamo scritto che il problema non era se l’Europa fosse entrata in recessione, ma quando. La revisione al ribasso rispetto al dato precedente è stata principalmente dovuta al declassamento della Germania, la più grande economia europea, e dell'Irlanda. Il PIL tedesco è sceso dello 0,3% nei primi tre mesi del 2023, rispetto a una precedente stima di crescita zero, poiché lo shock dei prezzi dell'energia dello scorso anno ha avuto un forte impatto sulla spesa dei consumatori.

Le cifre rendono difficile la lettura per i governi che combattono la crisi del costo della vita in Europa innescata dall'invasione della Russia e il conseguente aumento dei prezzi dell'energia unita alla forte pressione sulla Banca centrale europea, che si è impegnata in aumenti dei tassi di interesse senza precedenti per cercare di contenere l'inflazione record. In totale, otto paesi UE hanno registrato una contrazione nei primi tre mesi dell'anno, con l'Irlanda che ha registrato la contrazione maggiore, del 4,6%, a causa del calo delle esportazioni delle multinazionali. In territorio negativo anche Lituania, Paesi Bassi, Estonia, Malta, Ungheria e Grecia.

Su una nota positiva, l'occupazione ha continuato a crescere nell'Eurozona, dello 0,6% nel primo trimestre di quest'anno, rispetto allo 0,3% del trimestre precedente. Come sappiamo, però, i dati sulla disoccupazione sono gli ultimi a reagire di fronte ad una economia che vira in negativo.

La recessione rafforza la posizione di coloro che vorrebbero mettere in pausa l’aumento dei tassi. Non crediamo che questi fermi tuttavia la BCE dall’aumentare i tassi per ridurre l’inflazione, anche perché la crescita del PIL non rientra negli obiettivi della banca centrale.

Non più tardi di lunedì, infatti, davanti ai membri del Parlamento Europeo, la Lagarde ha sostenuto che la BCE è determinata ad aumentare i tassi a livelli sufficientemente restrittivi per riportare l'inflazione al suo obiettivo del 2% nel medio termine.

Le stime della BCE indicano che la stretta monetaria dovrebbe ridurre il PIL in media di 2 punti percentuali nel periodo 2022-2025, con un picco previsto per il 2023. Recessione quindi già messa in conto e che non crediamo spaventi la banca centrale. E con l’inflazione dell’area Euro al 6,1% (e quella core al 5,3%), non ci sembra che le parole della Lagarde lasciano spazi a dubbi: il prossimo 15 giugno la BCE aumenterà i tassi di ulteriori 25 bp.

Che succede ora? Beh, mettendo insieme le tessere del puzzle riteniamo che probabilmente anche il PIL del 2Q23 risulterà in contrazione. E questo per diversi motivi, tra i quali: gli effetti del rialzo dei tassi che si fanno sempre più concreti e visibili sull’economia reale, la crescita dei prezzi che sta riducendo i consumi (numerosi analisti indicano che il paniere dei beni che determina il dato di inflazione, non rappresenti la reale flessione del potere d’acquisto).

L’inflazione è in calo. E questo è vero. Come però è vero che il calo è contenuto e permangono rischi che la crescita dei prezzi riprenda vigore. Se, come dice Draghi, l'inflazione dovesse rimanere elevata a lungo e/o i prezzi dell'energia aumentare di nuovo, è probabile che la crescita dei salari possa aumentare più del previsto per compensare la perdita di potere d’acquisto. Gli aumenti salariali renderebbero l'inflazione di fondo più persistente.

Potremmo anche sottovalutare quanto le due crisi consecutive (Covid ed energia) abbiano danneggiato la capacità produttiva dell'Europa e aumentato ulteriormente i rischi di inflazione. Sebbene le aziende abbiano trovato modi per migliorare l'efficienza energetica nell'ultimo anno, riteniamo che i prezzi dell'energia costantemente più elevati ridurranno la produzione dell'area dell'euro in media di oltre l'1% nel medio termine, con perdite maggiori nelle economie a più alta intensità energetica come la Germania o l'Italia.

Parallelamente, il cambiamento della struttura del lavoro che ci ha lasciato il Covid, può ridurre durevolmente l'offerta di lavoro e complicare l'abbinamento dei lavoratori con i posti di lavoro vacanti.

Più in generale, riteniamo che i calcoli degli economisti tendano a sottovalutare il danno permanente delle crisi - e quindi a sopravvalutare l'entità del rallentamento economico - realizzando la loro piena portata solo con un ritardo. Storicamente, nei periodi di ripresa, le stime di debolezza economica nei paesi europei sono state riviste al ribasso di un intero punto percentuale un anno dopo il fatto e anche di più successivamente. Beh, almeno non possiamo dire di annoiarci.

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