Banche centrali e mercati in conflitto?


Banche centrali e mercati sembrano giocare al gatto e il topo. La ragione è che i mercati hanno previsioni più ottimistiche sull’inflazione delle banche centrali e ritengono che nel corso del 2023 queste possano abbandonare l’orientamento da falco e cominciare a ridurre i tassi.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Settimana cruciale per i mercati quella che si apre oggi, i cui dati saranno probabilmente in grado di condizionarne l’andamento per i prossimi mesi. L’1 e il 2 febbraio ci saranno infatti i meeting della FED e della BCE nel corso dei quali verrà decisa la dinamica degli aumenti dei tassi di interesse. Come noto, ci aspettiamo che entrambe le banche centrali, sia pure per ragioni parzialmente diverse, alzino i tassi di 50 bp.

Powell non ha mai cambiato idea sulla rigidità della politica monetaria, anche a costo di far scivolare il sistema economico in una recessione che, al momento, è attesa essere soft. La BCE, pur sottolineando che la lotta all’incremento dei prezzi rimane una priorità, parla invece con più voci che non sempre appaiono in armonia, disorientando i mercati finanziari.

Se guardiamo quello che è accaduto lo scorso anno, è facile vedere come le banche centrali e i mercati sembrano giocare al gatto e il topo. Prendiamo per esempio gli ultimi meeting della BCE del 14 dicembre e della FED del 4 gennaio. Poco prima dei rispettivi meeting, i mercati sono saliti nella speranza di un segnale di allentamento della stretta monetaria. Ma sono rimasti delusi e nell’arco di poco tempo le azioni hanno azzerato i guadagni precedenti.

Perché i mercati e le banche centrali sono in conflitto? La ragione, forse anche un po’ semplicistica, è che i mercati hanno previsioni più ottimistiche sull’inflazione delle banche centrali e ritengono che nel corso del 2023 queste possano abbandonare l’orientamento da falco e cominciare a ridurre i tassi.

Capiamo meglio di che cosa stiamo parlando. Le banche centrali ritengono che per riportare l’inflazione ad un livello (2%) compatibile con la crescita economica di lungo periodo, i tassi di interesse necessitino non solo di ulteriori aumenti, ma che questi rimangano elevati (in territorio restrittivo sono i termini usati) per un certo periodo di tempo.

C’è tuttavia una leggera confusione su che cosa significhi restrittivo. Secondo la definizione dei mercati finanziari, ci si trova in territorio restrittivo quando il tasso dei Fed fund è più alto del tasso neutrale di interesse. L’attuale tasso dei Fed fund, pari al 4,25-4,5%, è già ad un livello superiore a quello neutrale, compreso tra il 2-3% (c’è però un po’ di confusione sul suo livello). In Europa, il tasso di deposito della BCE è del 2%, superiore al tasso neutrale stimabile tra l'1-1,5%.

Secondo un’altra definizione invece, in territorio restrittivo si entra quando il tasso d'interesse reale è positivo. L'inflazione USA americana è al 6,5%, mentre quella dell’area euro è al 9,2% ed entrambi sono superiori rispetto ai tassi nominali: quindi i tassi reali sono ancora negativi. Secondo questa definizione, i tassi non sono ancora in territorio restrittivo. Se la crescita dei prezzi rallentasse in linea con le attese e i tassi nominali fossero mantenuti ai livelli di picco per un periodo sufficientemente lungo, l’evidente disequilibrio che si verrebbe a creare porterebbe il sistema economico verso la recessione.

I mercati si aspettano che quest’ultima metta pressione alle banche centrali per tagliare i tassi. L’ipotesi dei mercati è tutto sommato ragionevole, soprattutto alla luce del comportamento che le banche centrali stesse hanno tenuto negli ultimi 25 anni nel momento in cui l'inflazione è stata bassa e stabile. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Ovvero che l’azione delle banche centrali per ridurre l’inflazione non abbia successo, ma il sistema economico scivoli comunque in recessione.

La domanda diventa quindi se in caso di una recessione nel 2023 che sia accompagnata da un’inflazione core che si mantiene elevata, le banche centrali abbasseranno comunque i tassi? A questa domanda i mercati rispondono in modo affermativo. Attualmente infatti stanno anticipando due tagli dei tassi di 25 bp da parte della FED alla fine del 2023. Nessun taglio previsto invece per l'area euro.

Sono però aspettative dei mercati, visto che in realtà le banche centrali non hanno ancora iniziato a parlare di tagli dei tassi. La conditio sine qua non, è probabilmente una moderazione della crescita salariale che passi dal 5-6% medio annuo attuale a circa il 3-4%. Livelli questi considerati coerenti con l'obiettivo di inflazione del 2%.

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