Banche: il risultato della nuova tassa? Mutui e commissioni più alte


I profitti delle banche Italiane sono cresciuti molto negli ultimi due anni, ma il sistema presenta tuttavia alcune anomalie.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Nessun dato rilevante per i mercati in uscita oggi. Gli investitori sono chiaramente in attesa dei dati di inflazione USA che saranno resi noti domani. Ieri l’inflazione della Germania YoY di luglio, pari al 6,2%, è risultata in linea con le attese e in flessione rispetto al 6,4% di giugno.

Il Governo Italiano ha annunciato ieri un prelievo straordinario sul 40% degli extraprofitti delle banche. Il prelievo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere limitato al 2023. Dalla misura potrebbero arrivare, secondo le prime stime, circa 5 miliardi di euro che, secondo le intenzioni del Governo, andranno a finanziare il taglio del cuneo fiscale e un fondo per i mutui. L’ammontare è rilevante, ed è circa il 30% del totale degli utili di tutte le banche italiane del 2022.

Il calcolo della base imponibile non è dei più semplici. Questa sarà l’ammontare del margine di interesse dell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2023 che eccede per almeno il 5% il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022. Inoltre conterà anche l’ammontare del margine di interesse relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024 che eccede per almeno il 10% il medesimo margine nell’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2022. La nuova tassa sarà quindi calcolata come il 40% del maggiore tra differenziale del margine di interesse 2022 e il 2021 per l’ammontare eccedente per almeno il 5% del 2021 e il differenziale tra il 2023 e il 2021 per l’ammontare eccedente almeno il 10% del 2021.

Che le banche Italiane abbiano registrato profitti in netta crescita nel 2022 (l’utile netto adjusted è cresciuto del 40% circa) e nel primo semestre del 2023, è sotto gli occhi di tutti. Grazie all’aumento dei tassi di interesse e alla resilienza dell’economia, il margine di interesse ha raggiunto livelli storicamente elevati, mentre lo stock di crediti deteriorati si è ridotto ad un livello molto basso e oramai in linea con quello delle altre banche europee. Il lavoro di contenimento dei costi di struttura ha permesso inoltre di arrivare ad un cost/income ratio tra i migliori a livello europeo (per lo meno di alcune banche).

Se tuttavia guardiamo a fondo, notiamo che le banche Italiane presentano alcune anomalie che meritano qualche approfondimento e che per certi versi potrebbero avvicinarle a molti istituti americani in difficoltà e ai problemi che hanno dovuto affrontare.

La prima anomalia riguarda la dimensione dei titoli pubblici domestici detenuti dal sistema bancario. A fine giugno le banche italiane possedevano titoli pubblici per circa 360 miliardi di euro, pari al 9,3% del totale del loro attivo, contro una media degli altri paesi dell’area dell’euro del 2,7%. L’avere all’attivo una quantità di titoli pubblici domestici ha due debolezze: può nascondere perdite occulte se i titoli sono stati acquistati negli anni di bassi tassi d’interesse e messi in bilancio con l’impegno a detenerli fino a scadenza; espone il sistema bancario al rischio spread nel momento in cui questo dovesse per qualsiasi ragione salire.

È quello che viene definito il diabolic loop, ovvero il circolo vizioso tra rischio sovrano e rischio bancario che tanto preoccupa l’Europa. Europa, che tuttavia non ancora approvato la terza risoluzione della BRRD che prevede la garanzia unica europea sui depositi bancari e che, secondo alcuni analisti, spezzerebbe il diabolic loop.

Secondo l’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia, con riferimento al portafoglio in essere a fine dicembre 2022, l’impatto stimato delle perdite potenziali sul CET1 ratio (pari al 15,3%) ammontava in media a circa 200 punti base. Fatti i conti, significa che le banche italiane hanno in pancia circa 45 miliardi di perdite latenti, pari ad oltre due anni e mezzo circa di profitti. Chiariamo subito che l’ammontare è rilevante, ma si tratta di perdite potenziali (non è detto che si trasformino in perdite realizzate) e comunque non dovrebbero intaccare più di tanto la stabilità del sistema.

La seconda stranezza del sistema bancario italiano riguarda la raccolta che dipende in buona parte dai fondi a più lungo termine raccolti dalla BCE. Come già ha messo in luce dal FMI nel suo “Global Financial Stability Report”, non solo le banche italiane sono state le principali beneficiarie del programma di Tltro, ma anche le uniche per le quali i fondi raccolti dalla BCE sono superiori ai loro depositi presso la banca centrale al netto della riserva obbligatoria.

Le banche Italiane sopportano una pressione fiscale maggiore rispetto a quella di tutte le altre imprese (IRES al 27,5% contro il 24% delle altre imprese), oltre a sottoscrivere una parte rilevante del debito pubblico del paese. Ci sembra abbastanza scontato che, al pari di tutte le altre imprese, il maggiore onere sarà pagato dai clienti delle banche che si vedranno aumentare il costo di ogni singola operazione bancaria, con il risultato finale che il prelievo forzoso farà aumentare ulteriormente il costo del debito per famiglie e imprese.

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