Banche italiane: la sovra performance può continuare?


Nonostante la sovra performance, le banche Italiane continuano a trattare a sconto rispetto a quelle europee.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Prezzi al consumo della Germania YoY di febbraio in uscitg oggi alle 8:00 (stima 8,7% invariato rispetto a gennaio) e tasso di disoccupazione USA di febbraio alle 14:30 (stima 3,4% invariato rispetto a gennaio).

Ieri i sussidi settimanali alla disoccupazione sono risultati più elevati delle attese (211k contro 195k atteso e 190k della scorsa settimana). Probabilmente i licenziamenti annunciati mesi fa da diverse aziende, cominciano ad essere visibili. Questo potrebbe preludere anche ad una crescita del tasso di disoccupazione atteso per oggi. Che poi è quello che si aspetta di vedere la FED.

Dall’inizio dell’anno l’indice del settore bancario italiano (FTSE Italia banche), è cresciuto del 30% circa, sovraperformando nettamente l’indice generale cresciuto del 14%. La domanda è se la sovra performance delle banche possa continuare. Cerchiamo di capirlo.

Le attese per una crescita del PIL sostenibile e con tassi di interesse neutrali al momento sono tramontate sotto i colpi di una inflazione difficile da contenere e che potrebbe durare molto più a lungo di quello che le stime attuali delle banche centrali indicano.

Nonostante la crescita media dell’indice, le banche Italiane continuano a trattare a sconto rispetto alla media delle banche Europee, prendendo come riferimento il rapporto P/BV. Le ragioni sono diverse. Abbiamo cercato di individuarne alcune. La prima e più ovvia: previsione di perdite nette che riducano il patrimonio netto. Ma se le banche realizzano utili netti, dopo aver svalutato NPL, UTP etc, ha senso economico e finanziario che la capitalizzazione di borsa delle nostre banche sia inferiore al patrimonio netto? La risposta è si, ma solo nell’ipotesi che la redditività media (misurata dal ROE) sia stabilmente inferiore a quella del settore Europeo. In particolare, se la media del rapporto P/BV delle principali banche italiane sul 2022 è 0,58x (La media delle banche europee è 0,80x), sembrerebbe che il mercato si attenda perdite che vadano a ridurre il patrimonio grosso modo del 30%.

Le stime degli analisti sulle prime 5 banche italiane indicano al momento una contrazione media degli utili del 15% nel 2023 rispetto al 2022. Il minor utile o le perdite nette di bilancio potrebbero arrivare dalle rettifiche su crediti (NPL e UTP) che riducono l’utile netto, oppure dall’applicazione del principio contabile IFRS 9 (che riguarda le rettifiche sui crediti) e delle raccomandazioni dell’EBA.

Secondo la Banca d’Italia i crediti deteriorati lordi complessivi nel 2022 ammontano a circa 67,9 miliardi, in calo del 29% su base annua (erano 95,7 miliardi nel 2021). Di questi, la componente delle sofferenze si attesta a 27,2 miliardi, in calo rispetto ai 45,4 miliardi del giugno 2021 (-39%), le inadempienze probabili risultano pari a 36,5 mld (-21% anno su anno), e i finanziamenti scaduti a 4,1 miliardi (in aumento del 9% sull’anno). Nonostante questi dati, positivi sia in termini di livelli sia di dinamica, l’indebolimento ciclico di fine 2022 lascia tuttavia prevedere un incremento del flusso in ingresso dei nuovi crediti deteriorati.

A questi si aggiungono circa 300 miliardi in bonis stadio 2 (come richiesto dal IFRS 9). Questi sono però i crediti le cui esposizioni hanno manifestato un aumento significativo del rischio di credito dal momento della rilevazione iniziale, ma che non hanno evidenze oggettive di riduzione del valore. Considerato che secondo i dati dalla Banca d’Italia il patrimonio netto (i mezzi propri) dell’intero sistema bancario Italiano ammontavano a dicembre 2022 a 390 mld di euro, significa prevedere perdite per l’intero sistema per 130/150 miliardi di euro (ammontare enorme e non ipotizzabile). Dall’altra parte, le banche Europee non sono sicuramente messe meglio in termini di NPL/UTP e rettifiche su crediti.

Sembra inoltre che siano saltati i tradizionali sistemi di valutazione delle banche. Una delle metodologie di calcolo del valore di una banca è il DDM, Dividend Discount Model, ovvero lo sconto del flusso dei dividendi. Siccome il Covid ha portato ad uno stop dei dividendi, facendo venire meno la costanza di pagamento, è chiaro che il modello valutativo basato su un flusso costante dei dividendi diventa non significativo. Proprio perché il dividendo potrebbe non essere costante. Eppure le stime di rendimento legate al dividendo delle principali 5 banche analizzate indicano un rendimento medio del 7,8% e 8,2% per il 2022 e 2023 rispettivamente. Quindi il mercato non si aspetta uno stop ai flussi di dividendo, al contrario, si aspetta una loro crescita.

La discriminante potrebbe quindi essere nel rischio di percepire o meno il dividendo stesso. In altre parole, il rendimento potrebbe essere elevato proprio perché è elevato il rischio. E questo avvalorerebbe il fatto che il DDM non offre al momento un valore attendibile. La redditività misurata dal ROE nel 2022 sempre delle prime 5 banche è pari all’8,1, mentre quello medio di tutte la tre banche europee è dell’8,2% (quindi uguale).

Una forte disintermediazione dell’attivo, unita ad uno spread fra tassi attivi e passivi che comprima il margine di interesse, potrebbe essere un’altra motivazione?. A questo proposito occorre rilevare che la disintermediazione dell’attivo è sicuramente un tema (PSD 2 e Fintech mordono sempre di più), ma a fronte di questa, l’aumento dei tassi di interesse tende ad aumentare lo spread fra tassi attivi e passivi beneficiando il margine di interesse. Inoltre le banche più avvedute stanno aumentando i ricavi da servizi che, uniti al crescente margine di interesse, consente una positiva performance del margine di contribuzione. La lenta e costante disintermediazione libera significative risorse, visto che la tendenziale flessione dei crediti alla clientela riduce il rischio e quindi gli accantonamenti ai fini del patrimonio netto ai fini di vigilanza e riduce al tempo stesso il rischio di un aumento di NPL e UTP.

Quanto ai tassi, non so come questi saranno fra tre anni, ma è probabile che saranno strutturalmente più alti di quelli attuali, favorendo un allargamento dello spread fra tassi attivi e passivi e per questa via un ulteriore aumento del margine di interesse.

Quanto al cost income ratio, l’altro elemento da tenere sotto controllo, questo dipende unicamente da quanto la singola banca vuole investire in innovazione di processo e di prodotto. Esattamente al pari di tutte le imprese, solo gli investimenti sono in grado di consentire una crescita della redditività.

Pur rilevando dei rischi, con una guerra alle porte dell’Europa e una recessione che non si sa ancora se sarà soft, hard e se non ci sarà, ci sembra tuttavia che il mercato stia sovrastimando il rischio complessivo del sistema bancario in questo momento.

E’ possibile quindi stimare nel medio periodo un graduale ritorno ad un rapporto tra capitalizzazione e mezzi propri almeno pari a quello medio delle principale banche Europee. Che significherebbe ipotizzare un recupero di prezzo, a parità di tutte le altre condizioni, importante.

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