La BCE non sembra aver ben capito la situazione. Tassi più alti del 4%?


Un contesto di bassa crescita, tassi di interesse più alti e uno stock di debito crescente, costituisce un mix tossico per qualsiasi economia.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Settimana cruciale per i mercati quella che si apre oggi. Il 14 si riunisce la FED e il 15 la BCE. Settimana inoltre densa di dati. Si inizia la tornata martedì alle 8:00 con la seconda lettura dell’inflazione YoY di maggio della Germania, prevista in flessione al 6,1% dal 7,2% di aprile. Alle 11:00 è atteso invece l’indice ZEW di giugno (stima – 13 punti contro -10,7 di maggio). Alle 14:30 tocca invece all’inflazione USA MoM di maggio prevista rallentare allo 0,3% rispetto allo 0,4% di aprile.

Produzione industriale Italiana MoM di aprile, decisamente sotto le aspettative quella uscita lo scorso venerdì (-1,9% contro +0,1 atteso e -0,6% in aprile).

Discorso molto interessante quello di Draghi tenuto al MIT, dove ha ricevuto il Miriam Posen Prize. Non ci è sembrato molto ottimista nel breve termine, anche se si è detto convinto che alla fine le banche centrali riusciranno a riportare i tassi di inflazione all’obiettivo fissato del 2%. Occorrerebbe capire un po’ meglio che cosa intende Draghi esattamente per “alla fine”. Comunque sia, quando l’inflazione arriverà nell’intorno del 2%, il contesto sarà molto diverso da quello attuale. Di questo ne siamo convinti. Non sappiamo come saranno le condizioni economiche fra tre/cinque anni, ma sicuramente saranno diverse da quelle attuali.

A partire dal conflitto nell'Europa dell'Est, l'ex premier Draghi ha affermato che le conseguenze geopolitiche si stanno rivelando molto significative, motivo per cui l'UE deve rafforzare le sue capacità di difesa e iniziare con l'Ucraina un percorso per l'adesione alla Nato. Le conseguenze della guerra hanno portato ad un periodo in cui l'inflazione sarà strutturalmente più alta in futuro, e contro la quale le autorità monetarie avrebbero dovuto iniziare prima la loro lotta. Anche se in Europa, vista la natura della crescita dei prezzi dovuta ad uno shock sul lato dell’offerta, non è chiaro se un'azione più rapida avrebbe notevolmente frenato l'accelerazione dei prezzi. Probabilmente poco o nulla.

L'inflazione non solo all’inizio è stata sottovalutata, ma si sta rivelando più persistente di quanto inizialmente ipotizzato dalle banche centrali e questo richiederà una prudente prosecuzione della stretta monetaria, sia attraverso ulteriori rialzi dei tassi di interesse, sia allungando i tempi della loro inversione. In altre parole, esattamente in linea con quanto sostenuto dalla Lagarde, il sistema finanziario rimarrà in squilibrio più a lungo di quanto ipotizzato solo 12 mesi fa. E questo non potrà ovviamente non avere conseguenze sull’economia reale.

Inflazione persistente, unita ad uno squilibrio finanziario più lungo del previsto, significano ripensare anche la politica fiscale a sostegno dei consumi che, probabilmente, comporterà un deficit di bilancio permanentemente più elevato. Con i tassi più elevati rispetto agli ultimi 10 anni, è difficile che gli investimenti pubblici possano crescere tanto da trainare l’economia. Diventa quindi vitale dare corso senza indugiare oltre, a tutti gli interventi previsti dal NGEU nei tempi e nei modi previsti.

Chiaro comunque che un contesto di bassa crescita, tassi di interesse più alti e uno stock di debito crescente, costituisce un mix tossico per qualsiasi economia. Motivo questo per il quale la politica monetaria e quindi la BCE dovrebbe porre maggiore attenzione alla crescita economica (ancorchè non facente parte del suo mandato) al fine di evitare inutili difficoltà.

Draghi sembra aver capito molto bene la situazione (e di questo non avevamo dubbi). Probabilmente è la Commissione Europea che non ha ben colto la portata dei cambiamenti socio economici e culturali che pandemia e guerra causeranno nei prossimi anni. Come. Basta guardare alla proposta di riforma del patto di stabilità e crescita, come noto sospeso durante la pandemia.

La Commissione ha proposto un nuovo regolamento, a cui verrà associata una revisione di altri due testi legislativi. Secondo la proposta, ciascun paese sarà chiamato a preparare un piano di risanamento del debito basato sulla spesa pubblica netta (al netto degli interessi e di altre variabili fuori dal controllo del governo). Per i paesi con un debito elevato, i piani nazionali, della durata di quattro anni estendibile a sette anni, dovranno garantire un calo del debito pubblico per almeno dieci anni, senza che siano necessarie ulteriori misure di risanamento. Circostanze attenuanti potranno essere prese in conto, ma quanto più il debito è elevato, tanto meno vi sarà margine di manovra.

Alla fine del periodo di piano il rapporto debito/Pil dovrà essere inferiore a quello dell’inizio e dovrà essere attuato un aggiustamento di bilancio minimo dello 0,5% del Pil all'anno fino a quando il deficit rimarrà al di sopra del 3,0% del PIL. L'aggiustamento di bilancio per l'Italia potrebbe essere dello 0,85% annuo del PIL in un piano di quattro anni, e di 0,45% annuo del PIL in un piano di sette anni, vale a dire rispettivamente di circa 15 e 8 miliardi di euro all'anno.

L'obiettivo della riforma quello di ridurre l'impatto pro-ciclico delle regole precedenti e di rendere la politica di bilancio più trasparente. Quanto questo sarà possibile con le nuove norme, non è ancora ben chiaro. Ovviamente già nella fase di proposta non sono mancate le critiche della Germania che ha fatto sapere di non tollerare deviazioni significative dalla versione precedente, è proprio il caso di dirlo, varata nello scorso millennio.

Riteniamo che le proposte possano funzionare bene, ma solo in presenza di una crescita economica in grado di sostenere gli investimenti e per questa via la crescita del PIL. Nonostante il parametro della spesa netta offra maggiore discrezionalità rispetto alla versione precedente, la Commissione sembra continuare a ritenere che la crescita economica dei prossimi anni sia in grado di autofinanziare gli investimenti, sostenere una riduzione del debito e stimolare i consumi. Gran parte degli economisti non la pensa così. Crediamo nemmeno Draghi.

I rapporti economici mondiali, le catene di approvvigionamento, i prezzi dell’energia, la globalizzazione etc. degli ultimi 40 anni sono in rapido cambiamento. Insistere con ottuse politiche economiche (sia monetarie che fiscali) modellate su un mondo che già oggi non esiste più, è sicuramente strano.

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