BCE, tutto pur di stroncare l’inflazione


Con un'inflazione in Europa al 9,9% a settembre, i dati non lasciano dubbi sull'entità degli aumenti dei tassi che verranno decisi dalla BCE il 27 ottobre. Per Tognoli la BCE potrebbe cambiare idea sui tassi solo in presenza di una decrescita dei prezzi maggiore delle attese già visibile nei prossimi mesi.


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Indice IFO di ottobre in uscita oggi alle 10:00 (stima 83,3 punti contro 84,3 di settembre) e fiducia dei consumatori USA MoM di ottobre alle 16:00 (stima 106,5 contro 108 di settembre).

Ieri il PMI composito USA di ottobre è risultato minore delle stime (47,3 punti contro 49,3 delle attese), cosi come il PMI servizi (46,6 punti contro 49,2 delle attese) e il PMI manifatturiero (49,9 punti contro 51 delle attese), segnale evidente che anche gli USA cominciano a sperimentare un rallentamento dell’attività economica e produttiva.

Gli investitori sono in attesa delle decisioni che la BCE prenderà giovedì prossimo. Le nostre attese sono che la Lagarde il 27 ottobre aumenterà i tassi di 75 bp e il 15 dicembre di ulteriori 50 bp. Nell’ultimo meeting dell’8 settembre la Lagarde ha ribadito che l’entità degli aumenti sarebbe stata decisa sulla base dei dati, che non sembrano però lasciare molto spazio all’immaginazione: come noto l’inflazione ha raggiunto il 9,9% a settembre.

Inflazione determinata, come sappiamo, sostanzialmente da due componenti che la BCE non può controllare: i costi dell’energia e debolezza dell’euro che apre la porte all’importazione di inflazione. A questi si somma il gap temporale richiesto dalla politica monetaria – pari a circa 6/9 mesi – prima di vederne gli effetti.

I numeri, per quanto freddi e sterili, sono piuttosto chiari: le stime del PIL della BCE prevedono una crescita del 3,1% nel 2022 (2,8% la stima precedente), dello 0,9% nel 2023 (dal 2,1%) e dell’1,9% nel 2024 (dal 2,1%). Per contro, l’inflazione media attesa è stata rivista al rialzo: 8,1% (dal 6,8%) nel 2022, 5,5% (dal 3,5%) nel 2023 e 2,3% (dal 2,1%) nel 2024.

Quello che si trovano di fronte i mercati è una banca centrale che continua a diminuire le stime di crescita economica e aumentare quelle dell’inflazione, ben sapendo che il rialzo dei tassi porterà il sistema economico in recessione. In altre parole, la BCE accetta una recessione pur di ridurre l’inflazione, sperando di poterla controllare. Cosa piuttosto difficile, perché entrano in gioco gran parte delle variabili che abbiamo visto ieri relative all’economia comportamentale.

Chiaramente questo genera una serie di incertezze e di domande negli investitori. Tra queste: quanto si ridurranno gli utili delle imprese? che cosa succederà al tasso cambio? etc. La Lagarde ha provato a rassicurare i mercati sostenendo che una recessione è prevedibile nel 2023 solo con il completo stop alla fornitura di gas Russo (che attualmente copre solo il 10% della domanda Europea), che potrebbe verificarsi qualora diventi operativo il price-cap dinamico. Tradotto, se con il 10% di gas in meno scivoliamo in recessione, significa che di fatto ci siamo già.

L’incertezza ha come risultato di aumentare il premio per il rischio implicito che può trovare soddisfazione solo a rendimenti più elevati. In altre parole, i prezzi dei titoli scendono fintanto che il rendimento richiesto non sia commisurato al maggiore rischio.

In assenza di interventi strutturali che riportino i costi sotto controllo, che riguardano più la sfera politica, riteniamo che nel 2023 l’Europa scivolerà verso una recessione che potrebbe anche essere piuttosto pesante, quale effetto dell’agire congiunto dell’aumento dei tassi e della flessione dei consumi dovuta al minore reddito reale disponibile “mangiato” dall’inflazione, che non accenna a diminuire. Certo, “grazie” alla recessione l’inflazione è destinata a ridursi diventando causa ed effetto della sua stessa riduzione.

Quello che potrebbe far cambiare idea alla BCE sui tassi, è una decrescita dei prezzi maggiore delle attese già visibile nei prossimi mesi. Flessione che potrebbe avvenire solo in due casi: con una forte contrazione dei consumi e degli investimenti e per questa via del PIL, oppure con un accordo definitivo sul prezzo del gas che ne riporti il prezzo sotto controllo e che lo veda stazionare nell’intorno dei 100 euro al Mwh.

Se non riportiamo il prezzo dell’energia sotto controllo, l’inflazione non è destinata a scendere in modo significativo e quindi la politica monetaria è destinata a rimanere restrittiva schiacciando oltremisura la ripresa del PIL. Detto in altre parole, più tempo si aspetta a ridurre il costo dell’energia più lunga e profonda sarà la recessione, che potrebbe trasformarsi in depressione. I mercati fanno fatica a capire i motivi per i quali la politica reagisca con ritardo di fronte all’evidenza e si comportano di conseguenza.

Non cambia la nostra strategia, che prevede innanzitutto la verifica di alcune condizioni prima di comprare. Queste sono: i managers devono aver realmente aumentato nel tempo i guadagni degli azionisti, al momento dell’acquisto il prezzo deve essere almeno inferiore del 25% al valore intrinseco, i manager devono essere in grado di convertire le vendite in profitti, l’impresa deve evitare l’eccesso di debito, e deve mantenere nel tempo un ROE superiore a quello medio del proprio settore. Nel medio e lungo periodo l’insieme di queste condizioni dovrebbe mettere al riparo il portafoglio dall’oscillazione dei prezzi che caratterizza il breve periodo

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