Bolla dell’AI, tra euforia consapevole e rischio sistemico

L’intelligenza artificiale domina non solo i mercati ma anche le paure degli investitori. La cosiddetta “AI equity bubble” è oggi percepita come il principale rischio sistemico globale, davanti a inflazione e geopolitica. Mentre gli investitori istituzionali temono l’eccesso, quelli retail continuano a scommettere sul rialzo. In mezzo, la consapevolezza che ogni grande bolla nasce proprio da questa contraddizione.
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L’euforia consapevole dei mercati
Il mercato oggi parla di sé con una lucidità quasi paradossale. Come spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro, gli operatori sanno di essere euforici, ma continuano ad alimentare quella stessa euforia. Ogni segnale di rischio diventa carburante per la corsa, ogni dubbio una conferma. L’ultimo sondaggio mensile di Bank of America fotografa perfettamente questo stato d’animo: il 54% dei fund manager globali ritiene che le azioni legate all’intelligenza artificiale (AI) siano in una bolla, contro il 41% registrato appena un mese prima.
Nello stesso tempo, la AI equity bubble è salita al primo posto tra i rischi sistemici percepiti, davanti a inflazione, politica monetaria e tensioni geopolitiche. Eppure, il 69% degli investitori globali giudica ancora solido il ciclo economico, con livelli di liquidità ai massimi dal 2021. La paura della bolla, sottolinea Debach, convive con la fiducia di poterla cavalcare. È una doppia consapevolezza che alimenta la vertigine del mercato contemporaneo, sospeso tra razionalità analitica e impulso speculativo.
Una “bolla a memoria corta”
Se gli investitori istituzionali parlano di eccesso, quelli retail restano ottimisti. Nel sondaggio RIB di eToro condotto su 1.000 investitori italiani nel terzo trimestre 2025, oltre la metà (51%) prevede un aumento dei prezzi dei titoli AI nel 2025. Tra questi, il 12% si attende un rialzo significativo, il 39% un progresso graduale, mentre solo il 13% prevede un calo e il 28% una stabilità dei prezzi.
Dentro queste percentuali si nasconde però una dinamica generazionale emblematica. La Gen Z guida il gruppo con il 55% di investitori rialzisti, incarnando un entusiasmo privo del ricordo delle crisi passate. I Millennials seguono con il 50%, divisi tra fiducia e prudenza; la Generazione X scende al 48%, più orientata alla stabilità; mentre i Boomers risalgono al 56%, forti dell’esperienza di chi ha imparato a convivere con le bolle. Ne emerge una curva a “U” perfetta, dove agli estremi si trovano l’entusiasmo e nel mezzo la cautela.
Debach la definisce “una bolla a memoria corta”, alimentata da chi non ne ha mai vissuta una e da chi ne ha fatto parte tante volte da accettarla come parte del gioco. È quella fase che William Quinn e John Turner chiamano “lato caldo del triangolo”, quando la convinzione collettiva sostituisce la verifica dei fondamentali e la narrativa prende il sopravvento sull’analisi.
Valutazioni elevate ma ancora razionali
Il report di Goldman Sachs, significativamente intitolato Why We Are Not in a Bubble… Yet, tenta di riportare la discussione sui dati. Le valutazioni del settore tecnologico sono alte, ma ancora inferiori ai picchi della bolla dot-com del 2000. Il P/E medio a 24 mesi forward delle Magnificent 7 è di 27x, circa la metà di quello registrato dalle aziende leader di allora. Il ritorno sul capitale proprio si avvicina al 46% e la leva finanziaria resta negativa. In sintesi, i prezzi sono elevati ma sostenuti da profitti reali.
Tuttavia, osserva Debach, la sostenibilità di questi multipli dipende interamente dal mantenimento della crescita attesa: è la linea sottile che separa il plausibile dal pericoloso. Peter Oppenheimer la definisce “exuberance grounded in fundamentals”, ossia un’euforia ancora radicata nei fondamentali.
Anche Aswath Damodaran contribuisce alla diagnosi, traducendo l’euforia in numeri concreti. L’ERP implicito dell’S&P 500 al 1° ottobre 2025 si attesta al 4,01%, inferiore alla media storica del 4,25%, ma ancora lontano dal 2% che accompagnò la bolla del 1999. Se si riportasse l’ERP alla media, l’indice sarebbe sopravvalutato di circa il 12%. “Le azioni sono riccamente prezzate, ma non siamo in un 1999”, scrive Damodaran, sottolineando che oggi l’apprezzamento è guidato dalla crescita degli utili, non dalla speculazione pura. Eppure, aggiunge, il tempo è la variabile che logora ogni convinzione: se la crescita rallenta o i tassi restano più alti del previsto, il premio al rischio non basterà più a giustificare le valutazioni.
Il "triangolo della bolla"
È proprio qui che la teoria del “triangolo della bolla” di William Quinn e John Turner, illustrata nel volume Boom and Bust, torna attuale. Ogni bolla, si legge nel report di eToro, nasce dall’interazione di tre elementi fondamentali: l’ossigeno della facilità di scambio, il carburante del credito e il calore della speculazione.
Nel caso dell’intelligenza artificiale, l’ossigeno è rappresentato dall’estrema liquidità degli asset legati all’AI, ormai presenti in ogni portafoglio globale. Il carburante è la liquidità persistente e l’ampia disponibilità di credito. Il calore è la dimensione comportamentale: la convinzione collettiva che la tecnologia possa solo salire. I circular deals tra Nvidia, OpenAI, AMD, Broadcom e Oracle ne sono la prova più lampante: un ecosistema che si finanzia da sé, dove chi vende investe in chi compra e viceversa, la forma più sofisticata di autoreferenzialità del capitale.
Come osserva Debach, il valore complessivo degli asset finanziari globali ha raggiunto i 247 trilioni di dollari, pari al 200% del Pil mondiale. Gli Stati Uniti pesano per il 64% dei portafogli globali, mentre la tecnologia da sola rappresenta il 28% della capitalizzazione totale. È una polarizzazione senza precedenti, dove ogni shock può trasformarsi in rischio sistemico.
Anche le istituzioni monetarie si uniscono al coro. Jerome Powell ha definito i mercati “fairly highly valued”, evocando l’“irrational exuberance” di Greenspan e avvertendo che tassi elevati a lungo potrebbero pesare sulle asset class più sopravvalutate. Andrew Bailey della Bank of England parla di valutazioni “stretched” e di vulnerabilità a shock improvvisi. Kristalina Georgieva osserva che le valutazioni AI ricordano quelle di Internet venticinque anni fa. Sul fronte privato, Jamie Dimon parla di “bubble territory”, mentre David Solomon di Goldman Sachs prevede un “drawdown imminente”.
Quando banche centrali e banchieri d’affari usano lo stesso linguaggio, osserva Debach, significa che il mercato ha già superato la soglia della negazione. Per ora, la “bolla AI” è più narrativa che finanziaria, ma ogni bolla nasce da una storia che diventa credenza collettiva. Secondo i dati di Google Trends, l’interesse globale per il termine “AI bubble” ha toccato il suo picco tra il 17 e il 23 agosto 2025, per poi iniziare a calare. Come a dire che, conclude Debach, la paura si è trasformata in abitudine e l’allarme in una convivenza con l’eccesso.
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