La caduta di Wall Street è per il fondamentalismo di mercato ciò che la caduta del muro di Berlino è stata per il comunismo (J. Stiglitz)


Tognoli si interroga sul perché l’inflazione non scenda, nonostante gli aumenti dei tassi e gli annunci di una politica monetaria ulteriormente restrittiva. Tra le leve che possono essere manovrate contro l’inflazione troviamo quella della politica monetaria e quella della politica dei redditi.

Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso CFO Sim


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Vendite al dettaglio YoY di luglio della Germania in uscita oggi alle 8:00 (stima -8% contro -8,8% di luglio), PMI manifatturiero di agosto dell’Europa alle 10:00 (49,7 punti contro 49,8 di luglio), tasso di disoccupazione di luglio dell’Europa alle 11:00 (stima 6,6% invariato rispetto a giugno), richiesta sussidi USA alla disoccupazione WoW alle 14:30 (stima 249k contro 243ki della scorsa settimana), PMI manifatturiero USA di agosto alle 15:45 (stima 51,3 punti contro 52,2 di luglio), ISM manifatturiero di agosto alle 16:00 (stima 52 punti contro 52,8 di luglio). I prezzi al consumo Europei di ieri hanno fatto segnare l’ulteriore crescita al 9,1% (atteso 9%), dopo quelli più elevati degli ultimi 70 anni registrati in Germania.

Ma perché l’inflazione non scende, nonostante gli aumenti dei tassi e gli annunci di una politica monetaria ulteriormente restrittiva? Vista la diversità delle cause tra le due sponde dell’Atlantico (più da costi in Europa e più da domanda negli USA), le ricette per ridurla dovrebbero essere parzialmente diverse. Esistono tuttavia azioni comuni che possono essere messe in campo. La prima è quella di implementare una politica di controllo dei prezzi di alcuni beni e servizi strategici (p.e. sul prezzo del gas). Un’altra possibile soluzione è la tassazione sugli extra-profitti in alcuni settori, come quello dell’energia e l’utilizzo del gettito per ridurre i prezzi pagati dai consumatori. Dell’una e dell’altra azione se ne parla da tempo, ma di fatto ancora non sono state messe in campo. Questo è uno dei motivi per i quali la crescita dei prezzi non si arresta. Vengono curati i sintomi, ma non le cause che tengono elevata l’inflazione, nella speranza che prima o poi la recessione aiuti a far guarire il paziente.

Secondo la teoria economica, ci sono due leve che possono essere manovrate contro l’inflazione: quella della politica monetaria e quella della politica dei redditi. Nel primo caso la banca centrale può ridurre la moneta in circolazione, per esempio aumentando i tassi di interesse ufficiali, innalzando il coefficiente di riserva obbligatoria, vendendo di titoli di Stato. Nel secondo caso, secondo Keynes occorre invece agire sulla politica dei redditi cercando di non aumentare i salari che alimenterebbero i consumi sostenendo per questa via la crescita dei prezzi (certo, da un punto di vista politico, occorre una forte coesione sociale).

Anche la politica fiscale, oltre a quella monetaria, può avere un forte impatto sull’inflazione. Per esempio, una diminuzione della tassazione delle imposte indirette (IVA) genera una riduzione dei prezzi, mentre una flessione delle imposte dirette (IRPEF) aumenta il reddito disponibile. Per ridurre l’inflazione occorrerebbe quindi aumentare le imposte dirette e diminuire quelle indirette. Da non sottovalutare infine l’efficacia della diminuzione della spesa pubblica nella lotta contro l’inflazione. La riduzione di quest’ultima può essere attuata diminuendo la spesa corrente (interessi passivi o salari) e/o riducendo la spesa in conto capitale (costruzione di opere pubbliche).

Nessuno pensi la lotta all’inflazione non comporti costi sociali, fra tutti una maggiore disoccupazione. Come noto, esiste infatti una relazione inversa tra i due fenomeni: se l’inflazione aumenta, la disoccupazione tende a diminuire e viceversa (vedi Phillips). Quindi se si vuole ridurre l’inflazione occorre accettare un aumento della disoccupazione. Viceversa, se vogliamo diminuire la disoccupazione occorre tollerare un aumento generale dei prezzi.

Quale strategia seguire per gli investimenti? Nelle fasi di elevata incertezza economica che causa elevata volatilità dei mercati, è importante costruire il portafoglio avendo ben chiari i propri obiettivi, sia in termini di rischio/rendimento sia in termini temporali, in modo da non subire il mercato in modo pro-ciclico. In questo momento riteniamo che occorra occuparsi più del rischio che del rendimento, in modo da mettere al riparo il portafoglio di lungo periodo da shock esterni. Riteniamo quindi corretta una strategia bottom up che vada a privilegiare i titoli di quelle società che producono cassa, hanno una redditività mediamente superiore a quella del proprio settore di riferimento e sono leader nel mercato nel quale operano.

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