Crisi trivellazioni USA nonostante la leadership mondiale nel petrolio

Nonostante gli Stati Uniti mantengano la leadership mondiale nella produzione di petrolio, il settore delle trivellazioni è in stallo. Le principali aziende del comparto affrontano margini compressi, volatilità geopolitica e scarsi investimenti, in un contesto che smentisce ogni ipotesi di boom.
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Trivellazioni al minimo nonostante la supremazia produttiva
La narrativa del “Drill Baby Drill” è oggi più che mai lontana dalla realtà. Come rilevato da Gabriel Debach, market analyst di eToro, solo 438 trivelle risultano operative negli Stati Uniti, il livello più basso dal 2022. Il primato produttivo, con 22,7 milioni di barili al giorno nel 2024, garantisce ancora agli USA il ruolo di primo produttore globale, davanti a Arabia Saudita e Russia. Ma l’efficienza di sistema e i numeri aggregati non bastano a nascondere la crisi strutturale delle aziende di perforazione.
La fragilità del mercato petrolifero globale è messa in luce anche dall’ultimo report dell’OPEC+, che prevede un incremento della domanda nella seconda metà del 2025, trainato soprattutto dall’Asia. Tuttavia, la volatilità dei prezzi del Brent, alimentata da shock geopolitici e da pressioni politiche interne, continua a destabilizzare il settore. I picchi registrati in corrispondenza del Liberation Day o durante l’escalation in Medio Oriente hanno evidenziato un mercato governato più dagli eventi che da logiche industriali, con ricadute pesanti sulla redditività.
Margini compressi e visibilità ridotta per i colossi della perforazione
Le recenti earnings call delle principali società di trivellazione mostrano un quadro complesso e segnato dall’incertezza. Baker Hughes, pur cercando di mantenere un tono ottimista grazie alla tenuta del comparto LNG e gas, ha evidenziato ricavi in calo nel segmento Oilfield Services e una contrazione attesa degli investimenti upstream tra il 7% e il 10%. Il CEO Lorenzo Simonelli, già ad aprile, aveva sottolineato una visibilità ridotta, aggravata dal contesto geopolitico e commerciale.
Helmerich & Payne, a sua volta, si trova a gestire l’impatto negativo delle sospensioni operative in Arabia Saudita e di una domanda interna debole. Il CEO John Lindsay ha parlato apertamente di margini destinati a rimanere sotto pressione per tutto il 2025, con l’incertezza come unico denominatore stabile del mercato.
Neppure Patterson-UTI sfugge alla tempesta. Nonostante gli sforzi per innovare le proprie flotte con alimentazione a gas naturale, il CEO William Hendricks ammette che con prezzi fermi a 60 dollari al barile, le attività di trivellazione rischiano ulteriori riduzioni, ipotizzando la chiusura di 20-30 impianti entro la fine dell’anno.
Volatilità e cautela frenano anche l’offshore
Anche i giganti dell’offshore drilling, come Transocean, si muovono in un territorio instabile. Nell’ultima comunicazione ufficiale, il CEO Jeremy Thigpen ha sottolineato come l’attuale fase ricordi per incertezza quella vissuta durante la pandemia. Le tensioni legate ai dazi statunitensi e la generale volatilità rendono difficile qualsiasi pianificazione strategica a breve termine, e impongono estrema cautela anche ai maggiori operatori globali del settore.
Il messaggio, secondo eToro, è chiaro: l’intero comparto oil services è in sofferenza strutturale, e le compagnie stanno faticando non solo a espandere ma anche a difendere le proprie posizioni nel mercato globale.
Mercati petroliferi in allarme rosso
Lo scenario negativo trova pieno riscontro anche nei mercati azionari. L’ETF Oil Services (OIH) ha perso il 16% da inizio anno, mentre il comparto E&P (XOP) registra un calo di oltre il 4%. Il settore energetico nel suo complesso (XLE) segna un -0,5% YTD, contro un S&P 500 che guadagna oltre il 4%. In questo quadro, titoli come Nabors Industries, Helmerich & Payne e Patterson-UTI accusano ribassi pesanti tra il 30% e il 50%, mentre Baker Hughes e Transocean cercano faticosamente di contenere le perdite.
Debach sottolinea come la combinazione tra prezzi compressi, strategia OPEC+ e tensioni sui dazi USA rappresenti una minaccia sistemica. La spinta a trivellare evocata da Trump rimane un’eco lontana, mentre le società americane del settore si concentrano ormai più sulla sopravvivenza operativa che sull’espansione. Un clima in cui le promesse politiche restano prive di risposta industriale, e in cui la produzione americana, per quanto elevata, rischia di non essere sostenibile senza nuovi impulsi strutturali.
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