Dollaro debole, quali sono le implicazioni?

La debolezza del dollaro sta dando una mano alla crescita degli utili delle imprese, soprattutto le Mag 7. Un dollaro più debole non è la panacea di tutti i mali. Se da un lato favorisce le esportazioni, dall’altro aumenta il costo delle importazioni, alimentando l’inflazione interna
A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM
Serie di PMI dell’Europa e degli Stati Uniti in uscita domani e che vede una settimana comunque avara dati macroeconomici.
Il vento contrario nel primo trimestre si è trasformato in un vento favorevole nel secondo trimestre per gli utili aziendali statunitensi, grazie alla direzione del dollaro il cui indice risulta in calo del 7% nel corso 2Q25. Come si sta scoprendo dai recenti report sugli utili, la debolezza del dollaro ha fornito una spinta agli utili delle multinazionali statunitensi che ricavano una quota significativa dei propri ricavi all’estero. Un dollaro più debole aumenta la competitività di prezzo di beni e servizi all’estero, poiché i profitti realizzati in valuta locale valgono di più in dollari quando vengono rimpatriati negli Stati Uniti. Inoltre, la debolezza del dollaro rappresenta anche una potenziale compensazione rispetto all’impatto imminente dei dazi. Da questa prospettiva, l’indebolimento del dollaro non appare così minaccioso per gli Stati Uniti, in contrasto con chi sostiene che l’eccezionalità finanziaria degli Stati Uniti o lo status di valuta di riserva siano a rischio.
È vero che i movimenti valutari hanno rappresentato un freno netto per gli utili dell’S&P 500 a inizio anno, ma si sono trasformati in una spinta di 60-70 punti base nel secondo trimestre grazie al deprezzamento del dollaro. Secondo le stime di BofA Global Research, una diminuzione del 10% del dollaro si traduce in un aumento del 3% dell’utile per azione. Questo beneficio riguarda soprattutto le aziende con maggiore esposizione ai ricavi esteri, in particolare le large cap che, dal punto di vista dimensionale, hanno il doppio dell’esposizione internazionale rispetto alle small cap, e i gruppi tecnologici o affini, che ricavano gran parte dei loro ricavi all'estero. Sebbene le vendite internazionali rappresentino il 28% dei ricavi per l’S&P 500, la debolezza del dollaro avvantaggia in modo sproporzionato i “Magnifici 7”, che generano il 49% dei loro ricavi all’estero, o il Nasdaq 100 Index, con il 45% di esposizione internazionale.
Sebbene il dollaro fosse sopravvalutato all’inizio di quest’anno, gli analisti ritengono che continuerà ad indebolirsi (anche se più gradualmente). A rafforzare il calo contribuiscono anche investitori istituzionali e non statunitensi che, detenendo asset denominati in dollari, hanno aumentato le coperture contro il rischio di cambio. La questione è quindi che le azioni statunitensi continuano la loro ascesa verso nuovi massimi storici, sostenute dal momentum e da solidi utili, dovuti in parte all’effetto favorevole della traduzione degli utili grazie al dollaro più debole.
Detto così sembrerebbe quindi facile, ma un dollaro più debole non la panacea di tutti i mali. Se da un lato favorisce le esportazioni, dall’altro aumenta il costo delle importazioni, alimentando l’inflazione interna. Prodotti come il petrolio, i beni di consumo elettronici e altre materie prime, spesso denominati in dollari, diventano più costosi per i consumatori americani. Questo potrebbe ridurre il potere d’acquisto delle famiglie, specialmente in un contesto di incertezza economica globale.
Inoltre, un deprezzamento troppo rapido o marcato del dollaro potrebbe minare la fiducia degli investitori internazionali, che vedono il dollaro come una valuta di riserva globale. La Fed, che monitora attentamente questi equilibri, potrebbe essere costretta a intervenire con politiche monetarie restrittive, come l’aumento dei tassi di interesse (o non ridurre i tassi), per stabilizzare la valuta, con possibili ripercussioni sulla crescita economica.
L’attuale indebolimento del dollaro, combinato con le dinamiche dei dazi, pone gli Stati Uniti di fronte a un’opportunità strategica. Un dollaro più debole potrebbe fungere da cuscinetto per mitigare le tensioni commerciali, stimolando le esportazioni e attirando investimenti. Tuttavia, la gestione di questa dinamica richiede un approccio equilibrato: un deprezzamento controllato può essere un vento favorevole, ma un crollo improvviso rischierebbe di destabilizzare l’economia.
In conclusione, un dollaro più debole può essere visto come un alleato per gli Stati Uniti in un contesto di guerre commerciali e dazi, ma il suo impatto dipende dalla capacità dei policymaker di bilanciare i benefici per l’export con i rischi di inflazione e perdita di fiducia. In un’economia globale interconnessa, la forza del dollaro rimane un’arma a doppio taglio, da maneggiare con cautela.
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