Domani l’Opec+. Per Goldman il petrolio tornerà a 80 dollari. Ma questa volta è diverso…


Il petrolio si porta sui livelli pre-pandemia a 70 dollari al barile con gli occhi puntati sul vertice di domani dell’Opec+ a Vienna. Le attese sono per una graduale apertura dei rubinetti della produzione, in linea con la decisione presa all'inizio di maggio.


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Domani l'Opec+. Cosa accadrà

Il petrolio si porta sui livelli pre-pandemia a 70 dollari al barile con gli occhi puntati sul vertice di domani dell’Opec+ a Vienna. Le attese sono per una graduale apertura dei rubinetti della produzione, in linea con la decisione presa all'inizio di maggio.

Greggio a 70 dollari ma la corsa non è finita, il target di Goldman Sachs è ancora più su a 80. Domani a Vienna si riunirà l’Opec+ e le attese sono per un altro aumento della produzione. Durante la scorsa riunione i membri dell'organizzazione avevano stabilito una strategia progressiva, fatta di passaggi mensili, finora definita fino a luglio. All'ordine del giorno di martedì c'è la valutazione di questa politica e la sua possibile proroga fino ad agosto.

L'Opec+ "si atterrà al cauto programma concordato ad aprile", spiega Helima Croft, analista di RBC. La Russia, leader degli alleati, "cercherà probabilmente di accelerare il passo" come ha fatto dall'inizio dell'anno, ma con ogni probabilità si scontrerà con l'Arabia Saudita, peso massimo del cartello che, di fronte alla recrudescenza del Covid in Asia, è promotore della cautela.

Questa volta è diverso

Secondo un’analisi di Bloomberg "Questa volta è diverso". I grandi big all’esterno dell’Opec stanno affrontando fortissime pressioni per ridurre le emissioni, il petrolio ha attirato un’ombra oscura su di sé, non più solo l’opposizione della maggioranza della popolazione, ma anche da parte di molti investitori e fondi, sempre più attenti ai flussi che portano le tematiche Esg.

E quello che accade è che le grandi major anche a fronte del rialzo del prezzo del greggio, non investono e non hanno alcuna fretta di aumentare la produzione. Se nel recente passato, infatti, è stato proprio lo shale oil, ovvero il gas estratto dalle rocce scistose in Usa, a competere con la produzione di greggio e trascinare al ribasso le quotazioni, stavolta i trivellatori Usa rimangono alla finestra impegnati a restituire più denaro agli azionisti tramite dividendi.

Un dato su tutti: prima della pandemia le aziende dello scisto riutilizzavano il 70-90% dei loro flusso di cassa in ulteriori perforazioni, ora lo stanno mantenendo la metrica intorno al 50%.

Il risultato è che la produzione di greggio degli Stati Uniti è rimasta piatta a circa 13 milioni di barili al giorno da luglio 2020. Secondo i dati di Baker Hughes, fuori da Stati Uniti e Canada, le prospettive sono ancora più cupe: alla fine di aprile, il numero di piattaforme petrolifere dell'ex Nord America era di 523, inferiore rispetto a un anno fa, e quasi il 40% in meno rispetto allo stesso mese due anni prima.

Il grafico sotto mostra la produzione di petrolio in Usa. Prima della Pandemia, si producevano 13 milioni di barili giorno, oggi siamo a 11 milioni di barili.

Sulle major il vento è cambiato

Non se la passano bene neppure le major. Settimana scorsa un tribunale dell'Aia ha ordinato Royal Dutch Shell di ridurre le sue emissioni di co2 del 45% entro il 2030, in linea con l'obiettivo di mantenere l'aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi.

Sempre il 26 maggio gli azionisti di Exxon hanno votato per nominare almeno due attivisti green nel consiglio di amministrazione della società di fronte alla dura opposizione del management. A riuscire nell’impresa è stato Engine N.1, piccolo fondo attivista con il nome di un libro di bambini. Con dalla sua solo lo 0,02% del capitale il fondo è riuscito a vincere una battaglia persa in precedenza da fondi ben più grandi. La richiesta di un’accelerazione nella riduzione delle emissioni ha trovato il sostegno anche di Calpers, il fondo pensione degli insegnanti della California.

I nomi dei due membri green del nuovo cda di Exxon presentano un curriculum di rilievo: Gregory Goff è l’ex amministratore delegato di Andeavor, che è stata una delle più grandi società di raffinazione di idrocarburi degli Stati Uniti, mentre Kaisa Hietala è stata vicepresidente esecutiva per i prodotti rinnovabili presso la società di raffinazione finlandese Neste Oyj.

Forse sorprendentemente, i dissidenti di ExxonMobil sono stati supportati anche da gestori patrimoniali tradizionali come BlackRock. Dopo il voto, il colosso numero uno al mondo nell’asset management ha tuonato: “Exxon e il suo Consiglio di amministrazione devono valutare ulteriormente la strategia dell’azienda e le competenze del consiglio di amministrazione rispetto alla possibilità che la domanda di combustibili fossili possa diminuire rapidamente nei prossimi decenni. L’attuale riluttanza a farlo presenta una questione di governance che ha il potenziale di minare la sostenibilità finanziaria a lungo termine dell’azienda”.

Greggio a 80 dollari, Goldman Sachs

Dove andrà il prezzo del greggio

Per Goldman Sachs i conti sono presto fatti: 80 dollari al barile.Tra ripresa economica e fine dei lockdown, gli esperti della banca d’affari americana stimano un aumento della domanda globale di 4,6 milioni di barili al giorno. Dato un deficit globale di 1,8 milioni di barili al giorno nel secondo trimestre, Goldman sottolinea come un potenziale aumento dell'offerta iraniana a luglio (circa 3-3,5 milioni) non sarà sufficiente, servirà ancora un aumento cumulativo di 2,8 milioni di barili al giorno da parte dell’Opec+ entro il 21 dicembre.

L’idea, infatti, è che alla corsa per aumentare la produzione non parteciperanno più tutti gli attuali produttori. Un ruolo importante sarà giocato dall’Opec+ ma gli altri esterni al cartello potrebbero rimanere alla finestra impegnati a riconvertire le proprie società in produttori di energia più pulita o a restituire i soldi agli investitori, riducendo gli investimenti.

Dove andranno le quotazioni delle oil company

“Questa volta è diverso”. A guardare il grafico la risposta è già sotto gli occhi di tutti. Il petrolio ha recuperato terreno, le compagnie petrolifere no.

La scommessa non è se lo faranno nel breve e a che prezzo. La scommessa è cosa faranno nel medio lungo periodo. Saranno in grado di convertirsi da oil company a green company? In quanto tempo, con che margini, su quali fronti? In molti parlano di idrogeno, che ricordiamo è da considerarsi più un accumulatore di energia.

Parlando dell’Italia, si è più volte rumoreggiato di un matrimonio tra Eni ed Enel, entrambe controllate dal Tesoro insieme riuscirebbero a gestire meglio la transizione verde del cane a sei Zampe. Enel infatti è la prima utility al mondo per produzione di energia elettrica con fonti rinnovabili con alle spalle una forte capacità di implementazione delle nuove tecnologie green.

Il 2020 è stato l’anno del sorpasso della capitalizzazione di Enel su Eni che ha conquistato il primo posto nel FtseMib. Lo stesso movimento lo abbiamo registrato in molti altri mercati dell’unione europea.

Anche qui , Francia, Spagna, Olanda, Inghilterra, la risposta potrebbe essere univoca, una fusione tra compagnie petroliferi e utility, diretta dagli stessi governi. Questo avrebbe a nostro parere il pregio di creare sinergie e di non far crollare le quotazioni delle società petrolifere.

Dall’altra parte la scommessa sul petrolio è differente, il greggio nel breve periodo potrà continuare ad apprezzarsi, ma la sua correlazione con le major è destinata a cambiare.

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