Ecco perché le banche volano in Borsa. Bofa: saliranno ancora del 30%


In una settimana l’indice del settore ha guadagnato il 14%. Draghi vuole dire fiducia, e con la fiducia sale il valore dei titoli di Stato in portafoglio alle aziende di credito. Intesa ne ha per 93 miliardi, Unicredit per 45 miliardi. Quella che sembrava una debolezza degli istituti italiani, improvvisamente diventa un punto di forza.


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Il rendimento del Btp a 10 anni è sceso a 0,53%, spread sotto i 100 punti base

Sono le banche a guidare la riscossa di Piazza Affari, galvanizzata dall’idea che Mario Draghi guiderà il nuovo governo. A metà della seduta di venerdì 5 febbraio Unicredit guadagna il 4,1%, Intesa sale del 3,7% prima della diffusione dei risultati del 2020, Mediobanca +2,8%, Banco Bpm +3,1%, Bper +5,2%.

L’indice del settore banche della Borsa di Milano si appresta a chiudere la settimana con un guadagno del 14%, migliore settimana da un anno e mezzo a questa parte.

Perché gli investitori puntano soprattutto sulle banche per festeggiare Draghi? I motivi sono due: uno è legato alla scommessa che sotto la guida dell’ex presidente della Bce l’economia italiana saprà riprendersi celermente e gli utili delle banche, si sa, sono strettamente legati al ciclo dell’economia. Più le aziende di qualsiasi settore (industria, servizi, agricoltura) crescono e investono, più il sistema creditizio lavora e guadagna.

Il secondo motivo non è una scommessa sui numeri futuri, ma è già una realtà dei numeri di oggi. Per gli investitori internazionali Draghi vuole dire soprattutto fiducia, e se c’è più fiducia calano gli interessi che l’Italia deve pagare sul debito pubblico, una tendenza che è partita immediatamente non appena Mattarella ha pronunciato il nome dell’ex banchiere centrale. Il rendimento del Btp decennale benchmark è sceso da 0,67% di settimana scorsa a 0,53% di oggi, lo spread con il Bund tedesco si è ristretto a meno di 100 punti base per la prima volta negli ultimi tre anni.

Così aumenta il coefficiente patrimoniale CET1 senza fare accantonamenti

Per le banche questo è una manna, perché a una discesa dei rendimenti corrisponde un incremento di valore dei titoli di Stato posseduti in portafoglio. Spesso criticate dagli analisti perché troppo esposte ai bond governativi italiani, le nostre banche si trovano adesso a festeggiare rivalutazioni che permettono di aumentare i coefficienti di patrimonializzazione senza dovere fare accantonamenti.

Gli analisti calcolano che un calo di 100 punti base dello spread si traduce in un incremento medio del parametro CET1 di 15-20 punti base. Secondo Bank of America (Bofa), grazie al calo dei rendimenti dei Btp le banche italiane hanno un potenziale di rialzo complessivo del 30%. Per Unicredit Bofa fissa un target price di 10 euro, che vuole dire un upside del 16% rispetto al prezzo di oggi. Per Intesa il target price è 2,5 euro, con un potenziale di rivalutazione del 25%.

Stando agli ultimi dati disponibili, quelli al 30 settembre scorso, le due principali banche italiane negli ultimi mesi hanno aumentato la loro esposizione ai titoli di Stato. Per Intesa il totale dei titoli di Stato posseduti in portafoglio ammontava a 40,35 miliardi per l’attività bancaria rispetto ai 36,86 miliardi di fine giugno, mentre per l’attività assicurativa il dato era lievemente salito da 52,69 a 53 miliardi. Si arrivava così per l’istituto guidato da Carlo Messina a un totale di 93,35 miliardi di Btp e altri titoli di Stato in portafoglio a fine settembre (89,54 miliardi al 30 giugno 2020), dato che sale a 104,9 miliardi contando anche il contributo di Ubi Banca, entrata nel perimetro del gruppo Intesa a seguito dell’Opas dei mesi scorsi.

La prudenza di Mustier alla fine si è rivelata un errore?

L’incremento di Unicredit è stato più modesto per la scelta dell’ex Ceo, Jean Pierre Mustier, di frenare l’esposizione verso una forma di investimento che il manager francese riteneva rischiosa. In portafoglio a fine settembre Unicredit aveva 45,1 miliardi di bond governativi italiani, rispetto 44,7 miliardi di tre mesi prima.

Anche col senno di poi non si può dire che Mustier abbia sbagliato, perché quest’estate era davvero difficile immaginarsi una soluzione Draghi per la situazione politica italiana. L’ex Ceo di Unicredit si è comportato con la corretta prudenza di tutti i principali banchieri internazionali.

Il fatto è che nel 2020 tutti i governi europei, alle prese con la pandemia, hanno fortemente aumentato il debito e le banche sono state direttamente o indirettamente, chiamate ad appoggiare le politiche di sostegno acquistando bond governativi.

Tanto è vero che nel 2020 l'esposizione delle banche dell'eurozona al debito sovrano del proprio paese è cresciuta di quasi il 19% in termini nominali, il maggior aumento dal 2012. Lo ha certificato poche settimane fa la Bce in un intervento sulla Financial Stability Review, in cui si sottolinea come questo riproponga in prospettiva il rischio di un legame fra debito sovrano e debito bancario come avvenuto nella grande crisi finanziaria del 2008-2009. La percentuale di asset investita nei titoli sovrani varia da Paese a Paese. "Dall'inizio del 2020 - si legge nel rapporto - è aumentata in una forbice compresa fra lo 0% e l'1,6%. E’ ora uguale all'11,9% per le banche italiane, al 7,2% per quelle spagnole e vicina al 2% per quelle francesi e tedesche".

Attualmente circa il 27% del debito governativo italiano è detenuto dalle banche nazionali, contro il 22% in Spagna. Si tratta di valori più elevati rispetto alla media dell’Eurozona, dove il valore si assesta al 16%.

E adesso grazie a Mr. Draghi quello che sembrava un punto di debolezza delle banche italiane diventa improvvisamente un motivo di rafforzamento delle loro quotazioni in Borsa.

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