Eni con Google e Bill Gates. Quanto vale l’impegno per la fusione nucleare?


Il gruppo italiano è il primo azionista dell’americana CFS, impegnata nel più avanzato progetto a livello mondiale per realizzare energia con la fusione dell’atomo. L’investimento non supera i 500 milioni di euro. Per gli investitori che puntano al dividendo il motore è sempre il petrolio.


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Chiuso un round di finanziamenti da 1,8 miliardi di dollari.

Con un investimento complessivo fra 350 e 500 milioni di euro, Eni guida il più avanzato progetto mondiale per realizzare energia pulita con la fusione nucleare. Dal 2018 Eni è il principale azionista di Commonwealth Fusion System (CFS), uno spin-off del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che punta a produrre energia dalla fusione di atomi di idrogeno portati a temperature incredibilmente elevate, riproducendo sulla Terra quello che avviene all’interno del Sole e delle altre stelle.

CFS ha chiuso nei giorni scorsi il terzo round di raccolta fondi che le ha portato in cassa 1,8 miliardi di dollari. Il round è stato guidato da Tiger Global Management con la partecipazione di molti nuovi investitori tra cui Bill Gates, Google e Jimco Technology Fund. Tra coloro che hanno scommesso di nuovo sull'azienda ci sono Breakthrough Energy Ventures; Engine; Soros Fund Management, Temasek e, ovviamente, la stessa Eni.

La società del Cane a sei zampe aveva partecipato anche alle due precedenti iniezioni di capitale e oggi è il maggiore azionista di CFS. La sua quota non è stata divulgata, ma si suppone sia vicina al 20%. Quello di Commonwealth Fusion Systems è il più grande accordo di finanziamento nell’industria della fusione nucleare: una nuova tecnologia, ancora in fase di sviluppo, diversa dalla “tradizionale” fissione, più sicura e pulita perché non genera rifiuti pericolosi.

Entro il 2025 sarà realizzato un reattore pilota.

Con i fondi raccolti CFS lavorerà per realizzare entro il 2025 un reattore pilota negli Usa, vicino a Boston, in grado di produrre più energia di quanto ne consumi. La tappa successiva, secondo quanto reso noto da Eni, sarà realizzare entro il 2030 un impianto in grado di immettere energia nella rete commerciale.

“Il lavoro di CFS può trasformare l’intero panorama del mondo dell’energia”, ha dichiarato il Ceo di Eni, Claudio Descalzi.

Fino a poco tempo fa la fusione nucleare era considerata più o meno un tema da fantascienza. Ma a settembre CFS è riuscita a sperimentare con successo l’utilizzo di giganteschi magneti per gestire e “confinare” il plasma, la miscela di deuterio e trizio riscaldata da fasci di onde elettromagnetiche. La temperatura raggiunta è vicina a 100 milioni di gradi, quella a cui fondono i nuclei dell’atomo rilasciando energia simile a quella solare.

Secondo Kepler-Cheuvreux, è possibile immaginare che la fusione nucleare controllata riesca a produrre 2.000 Gigawatt di energia elettrica entro il 2055.

L’enorme sforzo di creare valore attraverso la transizione energetica.

Quanto può valere l’impegno di Eni nella fusione per le scelte di un investitore? Al momento zero, o quasi zero, ma è una ciliegina molto interessante posta in cima al grande sforzo di creare valore attraverso la transizione energetica.

In primavera Eni dovrebbe quotare in Borsa la sua controllata in cui ha raggruppato le attività legate all’energia rinnovabile e alla produzione e vendita di energia elettrica al pubblico retail. La società si chiamerà Eni Plenitude e le indiscrezioni che circolano parlano di un valore di circa 10 miliardi di euro, rispetto all’attuale capitalizzazione di 42 miliardi di Eni.

Questa business combination fa di Eni uno dei principali operatori retail green nel mercato europeo con 15 milioni di clienti e 15 GW entro il 2030. Nei prossimi quattro anni Eni Plenitude dovrebbe generare un Ebitda di 1 miliardo di euro.

Il Ceo Descalzi si sta rivelando molto abile nel difficilissimo gioco di equilibrio di puntare con forza sulla transizione energetica, continuando a estrarre valore dall’attività tradizionale negli idrocarburi. Dall’inizio del 2021 Eni ha fatto scoperte per oltre 600 milioni di barili di olio equivalente, soprattutto grazie ai giacimenti in Costa d’Ivorio. Nei prossimi quattro anni la produzione di idrocarburi del gruppo dovrebbe crescere al ritmo del 4% all’anno.

Eni offre il dividendo con il rendimento più interessante del settore.

E’ grazie all’attività petrolifera che Eni può offrire ai suoi azionisti un rendimento da dividendo fra i più alti del settore: il consensus degli analisti si aspetta il 7% per il 2021 e il 7,4% per il 2022. La britannica Royal Dutch Shell pagherà quest’anno dividendi pari al 4,2%, l’americana Chevron è al 4,6% e la francese Total arriva al 6,2%.

Inoltre gli azionisti di Eni possono contare su un piano di buy-back parametrato al prezzo medio del petrolio dell’anno: 400 milioni per un prezzo al barile compreso fra 60 e 65 dollari e 800 milioni oltre i 65 dollari.

Oggi Deutsche Bank ha confermato il giudizio Buy e ha alzato il target price a 14,7 euro, rispetto alla quotazione odierna di 12,08 euro. La media dei prezzi obiettivo fra 26 analisti censiti da MarketScreener è 14,20 euro.

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