Euforia razionale o irrazionale: come si spiegano i rialzi dell'azionario?


Alliance Bernstein ritiene che i guadagni dei listini da inizio anno siano più razionali di quanto sembri, visto l’impatto delle misure di stimolo sulle valutazioni.​

A cura di MARK PHELPS, Chief Investment Officer, Concentrated Global Growth presso Alliance Bernstein


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Il contatto con la realtà

All’inizio di settembre i mercati azionari globali hanno subito una battuta d’arresto dopo una fase di straordinario vigore che è parsa sfidare la realtà delle recessioni in atto in tutto il mondo. Nonostante la recente volatilità, Alliance Bernstein ritiene che i guadagni dei listini da inizio anno siano più razionali di quanto sembri, visto l’impatto significativo delle misure di stimolo e dei tassi contenuti sulle valutazioni azionarie.

Quasi 24 anni fa il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha coniato l’espressione “euforia irrazionale” per descrivere un mercato azionario inflazionato che poteva aver perso il contatto con la realtà. Nel 2020, la pandemia di COVID-19 ha provocato un crollo della crescita economica. Tuttavia, i mercati azionari mondiali sono in rialzo da inizio anno; l’indice NASDAQ, con la sua elevata componente tecnologica, ha guadagnato quasi il 25% dal 1° gennaio al 15 settembre. Come si conciliano dunque i terribili dati economici di quest’anno con l’euforia che ha prevalso sui mercati fino ai primi di settembre? È una situazione razionale o irrazionale?

Gli investitori azionari “non combattono contro la Fed”

Per certi versi, i rialzi dei listini da fine marzo a settembre risultano sorprendentemente razionali. Un vecchio adagio nel mondo degli investimenti recita: “Non combattere contro la Fed.” Ciò significa che quando i tassi d’interesse diminuiscono e le banche centrali adottano politiche monetarie espansive, una parte del denaro si fa strada nel mercato azionario e spinge verso l’alto le quotazioni. Si tratta di una risposta razionale, perché le condizioni monetarie più accomodanti dovrebbero stimolare l’attività economica, il che a sua volta dovrebbe dare impulso alla redditività delle imprese, giustificando un aumento dei corsi azionari.

Negli ultimi sei mesi le banche centrali hanno attuato interventi senza precedenti per fornire liquidità al sistema finanziario. Da quando i mercati sviluppati hanno iniziato ad adottare misure di contenimento nel tentativo di controllare la nuova pandemia di coronavirus, le banche centrali hanno tagliato i tassi d’interesse ai minimi storici e varato programmi di quantitative easing, come l’utilizzo dei propri bilanci per acquistare obbligazioni corporate e titoli di Stato. Non si era mai visto niente del genere, nemmeno al culmine della crisi finanziaria globale. Gli acquisti aggressivi di titoli di Stato da parte delle autorità monetarie negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone e nel Regno Unito (cfr. Grafico) consentono ai governi di emettere più debito e di ridurre il costo dell’indebitamento, con un effetto molto potente.

Dove sono finiti tutti questi enormi stimoli? Non certo in investimenti di capitale, a eccezione di alcuni beneficiari dello smart working, come Amazon.com, e della spesa sanitaria pubblica. Una quota significativa si è tradotta invece in maggiori risparmi, una parte dei quali è finita nel mercato azionario.

Oltre agli stimoli monetari delle banche centrali, stimoli fiscali senza precedenti sono giunti dalle autorità di governo (cfr. Grafico). Forse il nuovo detto dovrebbe quindi recitare: “Non combattere contro la Fed e il Dipartimento del Tesoro.”

L’inflazione dovrebbe restare contenuta

Per quanto tempo ancora continueranno queste inusuali misure di politica fiscale e monetaria? Alla fine di agosto, le banche centrali di tutto il mondo hanno deciso di mantenere i tassi “bassi per un periodo di tempo più lungo”. In particolare, la Fed è passata a un regime di “average inflation targeting”, con un obiettivo di inflazione media pari al 2%. Ciò significa che, anziché alzare i tassi d’interesse quando l’inflazione raggiungerà il target del 2%, l’istituto centrale statunitense lascerà che questa superi per qualche tempo il 2%, per compensare il periodo in cui è rimasta inferiore a tale livello. Dal momento che la crescita dei prezzi è da tempo più bassa del 2%, il tasso d’inflazione potrebbe rimanere al di sopra del 2% per diversi anni prima che un rialzo dei tassi divenga probabile.

Di solito, all’aumentare dell’inflazione, i rendimenti obbligazionari salgono per remunerare gli investitori del rischio associato a quest’ultima. Tuttavia, nel contesto attuale, è prevedibile che le banche centrali utilizzino i propri bilanci per mantenere ridotti i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine, appiattendo la curva dei rendimenti. In questo contesto di condizioni monetarie accomodanti, stimoli fiscali significativi e gestione della curva dei rendimenti, riteniamo che sia razionale per gli investitori continuare a privilegiare le azioni, che offrono un potenziale di performance più elevato. Inoltre, i tassi d’interesse contenuti riducono i tassi di sconto utilizzati per valutare le azioni, provocando un aumento delle valutazioni azionarie.

Cosa succede invece se l’inflazione aumenta?

Avendo illustrato il motivo razionale per investire in azioni, perché i guadagni di quest’anno potrebbero essere irrazionali? AB individua due ordini di preoccupazioni. In primo luogo, se l’inflazione aumenta in misura significativa e le vendite di obbligazioni vanificano gli sforzi delle banche centrali di gestire la curva dei rendimenti, le autorità monetarie potrebbero essere costrette ad attuare ulteriori interventi per rallentare l’attività economica.

Detto questo, AB stenta a credere che nell’attuale contesto si possa registrare un aumento pronunciato dell’inflazione. La crisi del COVID-19 e la successiva contrazione economica tenderanno ad alimentare la disoccupazione, accentuando probabilmente l’output gap. La produttività continua a migliorare, mentre l’aumento dei risparmi e i timori per la sicurezza occupazionale frenano i consumi. Al contempo, la Cina sta procedendo nella sua transizione verso un modello di crescita più lenta ma più sostenibile, che dovrebbe ridurre la domanda globale di materie prime. Inoltre, nonostante le guerre commerciali in corso, i produttori sono ancora alla ricerca di soluzioni a basso costo. Naturalmente, se la globalizzazione giunge al capolinea e le tensioni commerciali si intensificano, l’inflazione è destinata ad accelerare, ma non siamo ancora arrivati a questo punto.

Una riduzione del sostegno pubblico potrebbe indebolire l’azionario?

La seconda preoccupazione riguarda lo stimolo fiscale. Se i governi cominciassero a ridurre le misure di stimolo prima che l’attività economica abbia registrato una ripresa sufficiente a sostenere un’ulteriore espansione, la politica di bilancio finirebbe per danneggiare la ripresa e causare potenzialmente un nuovo rallentamento della crescita.

I governi si trovano quindi a gestire un difficile equilibrio, cercando di conciliare i timori relativi all’aumento dell’indebitamento e la disperata necessità di rilanciare l’economia, in particolare alla luce delle probabili nuove ondate di infezioni da COVID-19. Le autorità australiane e alcuni governi europei hanno già esteso i programmi di congedo straordinario fino al prossimo anno, e ci aspettiamo che altri paesi facciano altrettanto. Negli Stati Uniti, le dinamiche politiche legate al ciclo elettorale rendono difficili questi negoziati.

Quindi, tirando le somme, è razionale o irrazionale aspettarsi ulteriori rialzi dei mercati azionari? Riteniamo che le condizioni necessarie per un aumento delle valutazioni azionarie siano un’evoluzione favorevole della ricerca di un vaccino contro il COVID-19 – che al momento sembra procedere secondo i piani –, un’espansione monetaria sostenuta e uno stimolo fiscale significativo. Attualmente tutte queste condizioni sono ancora presenti, per cui riteniamo che i rialzi dei mercati azionari da inizio anno siano razionali, anche se forse dettati da un’euforia leggermente maggiore di quanto avevamo inizialmente previsto.

Chiaramente, vi sono importanti rischi che non devono essere sottovalutati, ed è probabile che la volatilità rimanga elevata. Un motivo di preoccupazione, in particolare, è l’ampiezza complessiva del mercato, in cui alcune società dalle valutazioni molto elevate svolgono un ruolo di traino. In questo contesto, i ribassi di settembre sono un monito per gli investitori ad aspettarsi possibili ulteriori flessioni. Crediamo pertanto che gli investitori dovrebbero costruire un portafoglio bilanciato composto da imprese in costante crescita, che registrano un buon andamento nonostante la pandemia, e di un gruppo di società che sono state penalizzate nel 2020, ma che dovrebbero recuperare velocemente terreno con il ritorno alla normalità.

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