Eurozona: inflazione + recessione = stagflazione


Le stime della BCE indicano un’inflazione del 6,3% per il 2023; secondo S&P la flessione del PIL per l’Eurozona attesa per il 2023 è dello 0,9%. È una parola che non vorremmo sentire, ma inflazione più recessione, significa stagflazione.


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Inflazione dell’Italia YoY di dicembre alle 11:00 (stima 11,7% contro 11,8% di novembre), occupati ADP USA di dicembre alle 14:15 (stima 145k contro 127k di novembre), richiesta dei sussidi alla disoccupazione WoW USA alle 14:30 (stima 230k contro 225 k della scorsa settimana), PMI composito USA di dicembre (stima 44,6 punti contro 46,4 di novembre) e scorte WoW USA di petrolio (stima -1,52 mln di barili contro 0,718 mln della scorsa settimana).

Ieri anche l’inflazione della Francia YoY di dicembre (dopo quella della Germania) ha mostrato una riduzione del tasso di crescita maggiore delle attese (5,9% contro 6,4% attesa). Positivi anche i dati PMI composito e PMI servizi dell’Europa (49,3 punti contro 48,8 atteso e 49,8 punti contro 49,1 atteso, rispettivamente).

I mercati finanziari Europei continuano la serie positiva di rialzo sulle aspettative che, visti i dati di inflazione, la BCE possa essere meno falco. Non ci scommetterei troppo, visto che seppur in riduzione, la dinamica inflattiva continua a rimanere elevata. E non crediamo neppure che la levata di scudi di alcuni governi Europei (tra i quali l’Italia) contro ulteriori e cospicui aumenti dei tassi possano sortire un qualche effetto.

La BCE proseguirà per la propria strada fintanto che l’inflazione non avrà mostrato evidenti segnali di una significativa e stabile riduzione, anche se questo dovesse comportare una flessione del PIL.

E le attese di numerosi economisti sull’inflazione non sono positive per i prossimi anni. Pur in calo rispetto al 2022, l’inflazione nella zona euro dovrebbe rimanere stabilmente al di sopra dell’obiettivo della BCE del 2% per almeno altri due anni (l’inflazione è un razzo a salire e una piuma a scendere). Le stime stesse della BCE indicano infatti un’inflazione del 6,3% per il 2023 e del 3,4% per il 2024 (diversi economisti stimano una riduzione maggiore).

I salari sono previsti crescere del 5,2% (stima BCE). Occorrerà più avanti valutare se l’incremento previsto dei salari sarà in grado di contenere la flessione dei consumi e per questa via smorzare la flessione del PIL. E’ una parola che non vorremmo sentire, ma un’inflazione al 6% e un PIL in riduzione dello 0,9%, significa stagflazione.

Lo capiremo meglio nei prossimi mesi, soprattutto perché in stagflazione l’incremento dei prezzi è elevato e persistente e la domanda aggregata è stagnante. Se le attese della BCE per il biennio 2023-24 fossero corrette, l’inflazione non sarebbe persistente e la domanda aggregata non sarebbe stagnante (grazie soprattutto agli investimenti del NGeu, alla spesa pubblica e al saldo tra export e import).

Intanto, crediamo che con le aspettative attuali la flessione del PIL non tarderà molto a manifestarsi. Secondo S&P la flessione del PIL per l’Eurozona attesa per il 2023 è dello 0,9%, mentre nel 2024 e 2025 la crescita dovrebbe attestarsi allo 0,8% e 1,4% rispettivamente. L'economia mondiale e ancor più quella dei paesi Europei, si trova ad affrontare un doppio rischio di ribasso. Da una parte le pressioni inflazionistiche persistenti che, seppur in riduzione, rimangono elevate e richiedono una politica monetaria restrittiva più lunga di quanto ci si potesse aspettare solo sei/nove mesi fa. Dall’altro il trascinarsi della guerra Russia-Ucraina, che esaspera la crisi energetica in corso comportando un aumento dell'avversione al rischio.

In altre parole, difficilmente il sistema economico mondiale potrà trovare un equilibrio stabile se la guerra in corso continua a mantenere elevato il rischio e se l’inflazione non si riduce ad un livello compatibile con la crescita della produttività.

Dove investire con questo scenario? Partiamo dalle cose certe. L’accordo raggiunto il 21 luglio 2020 tra i leader dell'UE ha previsto articolato pacchetto di risorse finanziarie, inizialmente pari a 1.824,3 miliardi di euro (di cui 1.074,3 dal Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) e 750 dallo strumento Next Generation EU), incrementate dopo l’accordo del 10 novembre a 1.835,3 miliardi di euro a prezzi 2018 (di cui 1.085,3 provenienti dal QFP).

Gli obiettivi di investimento indicati dalla Commissione Europea sono i seguenti (iniziative faro):

  1. Utilizzare più energia pulita (Power up) - Utilizzare prontamente tecnologie pulite adeguate alle esigenze future e accelerare lo sviluppo e l'uso delle energie rinnovabili.
  2. Rinnovare (Renovate) - Migliorare l'efficienza energetica degli edifici pubblici e privati.
  3. Ricaricare e rifornire (Recharge and Refuel) - Promuovere tecnologie pulite adeguate alle esigenze future per accelerare l'uso di sistemi di trasporto sostenibili, accessibili e intelligenti, stazioni di ricarica e rifornimento e l'estensione dei trasporti pubblici.
  4. Collegare (Connect) - Estendere rapidamente i servizi veloci a banda larga a tutte le regioni e a tutte le famiglie, comprese le reti in fibra ottica e 5G.
  5. Modernizzare (Modernise) - Digitalizzare la pubblica amministrazione e i servizi pubblici, compresi i sistemi giudiziari e sanitari.
  6. Espandere (Scale-up) - Aumentare le capacità di cloud industriale europeo di dati e lo sviluppo dei processori più potenti, all'avanguardia e sostenibili.
  7. Riqualificare e migliorare le competenze (reskill and upskill) - Adattare i sistemi d'istruzione per promuovere le competenze digitali e la formazione scolastica e professionale per tutte le età.

Siamo convinti che gli investimenti profittevoli nei prossimi anni possano essere quelli che indirizzati verso quelle imprese toccate dagli investimenti del QFP e dal NGeu

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