FED: ancora due aumenti, ma i mercati non ci credono. Sbagliano o hanno ragione?


L’economia USA continua a pompare posti di lavoro. Ci sono 1,77 posti vacanti ogni persona in cerca di lavoro.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Dati USA di giugno in arrivo oggi alle15:45: PMI manifatturiero (stima 48,3 punti contro 48,4 di maggio) e PM servizi (54 punti contro 54,9 di maggio).

Ieri le richieste USA di sussidi settimanali alla disoccupazione sono risultate leggermente superiori alle attese (264k contro 260k attese) e in linea con la scorsa settimana.

Nel corso dell’ultimo discorso alla Camera, Powell si è dimostrato particolarmente falco. Ci chiediamo che cosa abbia spinto la FED dal wait and see di giugno a ritenere sempre più possibili ulteriori due nuovi aumenti. Cominciamo con il dire che a volte non fare nulla è davvero qualcosa. La domanda degli investitori ora diventa: niente dalla FED è qualcosa per il mercato? Cerchiamo di capirne di più.

L’economia americana è come un motore che non si ferma e continua a pompare posti di lavoro. I dati continuano a evidenziare che i posti di lavoro vacanti e le assunzioni sono entrambe aumentate, mentre la disoccupazione è vicina ai minimi degli ultimi di 53 anni. Gli investitori, già alle prese con le ricadute della crisi bancaria, gli effetti persistenti delle turbolenze sul tetto del debito e il rallentamento economico in Cina e in Europa, non guardano con favore ai dati di disoccupazione.

Il numero di posti di lavoro disponibili negli Stati Uniti è aumentato inaspettatamente ad aprile dopo tre mesi di calo: i posti vacanti sono cresciuti a 10,1 milioni (secondo i dati Bureau of Labor Statistic) con le attese degli analisti che si fermavano a circa 9,4 milioni. Ora ci sono 1,77 posti di lavori vacanti per ogni persona in cerca di lavoro. Anche l'attività di assunzione è cresciuta, mentre i licenziamenti sono diminuiti.

E’ chiaro che la crescita dell'occupazione è salutare e fa bene all'economia. La fiducia delle imprese e dei consumatori rimane resiliente e anche la spesa e gli investimenti si stanno dimostrando relativamente robusti. Ma questo potrebbe essere un altro caso di "buona notizia è cattiva notizia" per la FED. Il presidente della FED ha infatti affermato di voler vedere una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. Ma se permane lo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, i salari aumenteranno e si aggiungeranno alla pressione al rialzo dei prezzi.

La decisione di mantenere costante il tasso nel meeting di giugno non deve quindi essere letta nel senso che la FED ha raggiunto il tasso massimo per questo ciclo, ma unicamente di vedere la conferma o meno dell’agire di 500 bp di aumenti negli ultimi 12 mesi.

Le cose si complicano esaminando l'indicatore di inflazione preferito dalla FED, l’inflazione core, che pur se in leggera flessione al 5,3% a maggio dal 5,5% di aprile, rimane significativamente elevata e sopra quella complessiva (al 4%). Inflazione core sostenuta anche dalle spese per consumi personali, il cui indice è risultato in accelerazione in aprile raggiungendo il 4,4% (dal 4,2% di marzo).

Ci sembra che la FED continui a parlare come se fosse su di un sentiero di guerra per raddrizzare l'inflazione, ma il mercato del lavoro non sembra seguire. Siamo consapevoli che, di solito, i dati di disoccupazione sono gli ultimi a segnalare un raffreddamento economico. Ma non dimentichiamo che la maggiore domanda di lavoro attuale rispetto all’offerta, può incontrarsi solo a salari crescenti. E questo non genera sicuramente disinflazione.

I dati economici più forti del previsto, i dati sull'inflazione più vischiosi delle attese e i discorsi sempre più aggressivi della FED (l’ultimo quello di Powell cui facevamo riferimento), non sembrano lasciare molti spazi all’immaginazione. Appare quindi sempre più probabile che la FED alzi di ulteriori 25 bp i tassi nel meeting del 25-26 luglio prossimo.

Nonostante le dichiarazioni di Powell, dall’ultimo meeting di giugno il rally del mercato azionario sembra aver cambiato marcia, aiutato dalle prospettive di una FED che sembrava diventata meno aggressiva. A seguito delle recenti dichiarazioni, non pensiamo tuttavia che il mercato debba restituire tutti i recenti guadagni (30% circa dal picco minimo degli ultimi 12 mesi), ma crediamo che gli investitori possano però aspettarsi qualche singhiozzo a seguito delle mutevoli aspettative delle mosse della FED, guidate dai dati economici e sugli utili del 1H23 delle imprese in arrivo. Riteniamo comunque che queste siano condizioni a cui gli investitori a lungo termine possono fare riferimento, acquistando sui ribassi e ribilanciando il portafoglio in modo proattivo.

La linea di fondo che ci sentiamo di sposare in questo momento rimane l'incertezza. I mercati desiderano un pivot dalla FED, ma è ovvio che il desiderio non è una strategia. Vero è che se vediamo il bicchiere mezzo pieno occorre considerare che se le decisioni di politica monetaria sono guidate dai dati, non è detto che questi siano sempre peggiori rispetto alle attese. E’ appunto l’incertezza.

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