Fed più cauta sul rialzo dei tassi


Rendimenti alle stelle e timori sulla tenuta dei debiti nazionali a cui si aggiungono le incertezze di ormai due guerre, Ucraina e Medi Oriente, hanno portato diversi membri Fed a rilasciare dichiarazioni molto più da colomba sui prossimi rialzi.


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Le ultime dichiarazione dei membri Fed

L’ultima a parlare è stata la presidente della Federal Reserve Bank di San Francisco, Mary Daly, secondo cui il recente aumento dei rendimenti obbligazionari potrebbe significare che la banca centrale «non deve fare altrettanto». I rendimenti dei bond più alti potrebbero avere lo stesso effetto di un aumento dei tassi da parte della Fed.

Daly, che non voterà sulle decisioni sui tassi quest’anno, è tra i funzionari della Fed che segnalano come condizioni finanziarie più restrittive potrebbero sostituire un altro aumento del denaro.

La Daly è sempre stata indicata colomba, fino a quando, nell’ultimo anno si è schierata con i cosiddetti falchi, votando a favore del rialzo dei tassi. Lei stessa ha chiarito che il suo approccio è sempre stato molto pragmatico e legato ai dati. La sua ultima dichiarazione non è molto diversa da quanto detto solo una settimana fa "Se le condizioni finanziarie, che si sono notevolmente inasprite negli ultimi 90 giorni, rimarranno tese, la necessità per noi di intraprendere ulteriori azioni è diminuita".

Alla Daly fa eco il presidente della Fed di Atlanta, Raphael Bostic: “Non credo sia più necessario aumentare i tassi”.

Ad aggiungersi al coro lunedì è stato il presidente della Fed di Dallas, Lorie Logan, membro votante: "Se i tassi di interesse a lungo termine rimarranno elevati a causa di premi a termine maggiori, potrebbe esserci meno bisogno di aumentare il tasso dei fondi federali".

Il vicepresidente della Fed Philip Jefferson, membro del gruppo dirigente del presidente della Fed Jerome Powell, lunedì ha dichiarato che i funzionari "sono consapevoli della stretta delle condizioni finanziarie dovuta ai rendimenti obbligazionari più elevati e questo inciderà sulla loro scelta nel determinare se aumentare nuovamente i tassi quest'anno.

Le stime

Tutte insieme queste dichiarazioni suggeriscono che la Fed è sulla buona strada per mantenere i tassi stabili nella riunione del 31 ottobre-1 novembre.

Il grafico mostra come sono cambiate le probabilità di aumento dei tassi secondo i dati raccolti dal Chicago Mercantile Exchange & Chicago Board of Trade

La Fed a luglio ha alzato il tasso di riferimento dei fondi federali a un intervallo compreso tra il 5,25% e il 5,5%, il massimo degli ultimi 22 anni. I funzionari hanno mantenuto i tassi stabili nella loro riunione del mese scorso e hanno indicato che erano sulla buona strada per aumentare i tassi in una delle loro ultime due riunioni quest'anno.

Il rendimento del Treasury a 10 anni ha chiuso al 4,654% martedì, in calo dal 4,783% di venerdì, poiché gli investitori hanno cercato la sicurezza delle obbligazioni dopo l'attacco di sabato a Israele da parte di Hamas. Tuttavia, i rendimenti sono saliti dal 4,346% del 20 settembre, il giorno dell'ultima riunione della Fed, e dal 3,850% del 26 luglio, il giorno dell'ultimo aumento dei tassi della Fed.

Ora però la situazione sembra cambiata e alla prossima riunione di fine ottobre potrebbe esserci un’altra pausa.

Il timore sulla tenuta dei debiti pubblici

La domanda di fondo rimane perché i rendimenti dei mercati dei bond sono saliti nelle ultime settimane? Finora l’aumento dei tassi è sempre stato legato alle decisioni della Fed e ai dati macroeconomici che indicano un’economia Usa ancora solida e un’inflazione resiliente. Il Fondo monetario internazionali ieri ha alzato le stime di crescita del Pil Usa dello 0,3% per quest’anno portandole al 2,1% e dello 0,5% il prossimo all’1,5%.

Ma secondo alcuni osservatori il rialzo dei tassi, a fronte delle dichiarazioni dei membri della Fed meno falchi, è legato al timore sui debiti pubblici sovrani. Quello americano che rischia lo shutdown, ovvero il blocco delle attività amministrative negli Stati Uniti se il Congresso non approva la legge di bilancio. Con i tassi al 5% gli Usa arriverebbero a pagare la cifra monstre di mille miliardi di dollari di interesse l’anno. Ma non è finita secondo le proiezioni dell’ufficio di bilancio del congresso senza un’inversione di rotta gli Stati Uniti rischiano di pagare dal 2053 fino a 5.400 miliardi di interesse l’anno più delle singole voci di previdenza sociale, medicare e spesa medica e difesa come mostra il grafico sotto.

Sotto il grafico che mostra l’evoluzione del debito Usa se non intervengono delle correzioni.

Non cambia la situazione per molte altre nazioni che si trovano l’impennata dei tassi con maggiori costi del debito che sottrae forza alle politiche fiscali.

Il cambio di pendenza della curva dei tassi

A testimoniare questo timore sarebbe il cambio della pendenza della curva dei rendimenti. Detto così il concetto appare un po’ ostico. Da diversi mesi, i rendimenti dei tassi a 2 anni Usa hanno superato quelli a lungo (10 anni). Questa è un’anomalia, in quanto, generalmente un investitore, a fronte di un investimento a lungo termine richiede un rendimento più alto rispetto a investimento a breve termine. L’inversione della curva, in genere, l’abbiamo quando si teme una recessione in arrivo che porta con sé un forte calo dei tassi. Quindi nel breve i tassi sono alti per adeguarsi a un’economia forte e anche con inflazione, nel lungo sono bassi perché la recessione dovrebbe portare a un calo dell’inflazione.

Ora stiamo assistendo a una normalizzazione della curva dei dei tassi, non tanto perché scendono quelli a breve ma perché salgono quelli a lungo periodo. Questo si spiega con una percezione di maggiore timore della capacità di onorare il proprio debito, o visto al contrario, gli investitori richiedono tassi più alti rispetto a prima per prestare soldi a lungo termine ai governi.

“No, gli Stati Uniti non stanno per andare in default. Ma la portata e la traiettoria verso l'alto del prestito degli Stati Uniti e l'assenza di qualsiasi correttivo politico minacciano i mercati e l'economia in modi che non hanno fatto per almeno una generazione”, scrive il Wall Street Journal. Il quotidiano Usa sottolinea però che la maggior parte dell'aumento è dovuto alla parte dei rendimenti chiamata premio a termine, che non ha nulla a che fare con l'inflazione o i tassi a breve termine. Numerosi fattori influenzano il premio a termine e l'aumento dei disavanzi pubblici è uno dei principali sospettati.

Il grafico sotto mostra l’andamento del differenziale dei tassi di interesse a 10 anni sul 2 anni americano. L’area rosso indica l’inversione della curva con i tassi a breve che rendono di più di quelli a lungo.

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