Google, nuova indagine dell’antitrust UE. Sotto la lente la pubblicità online


L’antitrust Ue contesta lo strapotere di Google nella pubblicità online, il settore che nel 2020 ha garantito alla società entrate pari a circa 147 miliardi di dollari, l'81% del fatturato.


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Pubblicità online nel mirino dell’Antitrust Ue

Le multe record dell’Europa degli anni passati sembreranno briciole a confronto. Ora l’Unione Europea fa sul serio. Nel mirino non sono le attività accessorie di Google, il problema non è qualche app all’interno del sistema operativo Android. Sotto accusa è il cuore pulsante di Mountain View: la pubblicità, 147 miliardi di ricavi, l’81% di tutte le vendite del gruppo.

Ieri la Commissione Europea ha aperto un'inchiesta formale per valutare se Google ha infranto le regole di concorrenza, favorendo i propri servizi di inserzione pubblicitaria a scapito di terzi. Nel dettaglio, l’indagine esaminerà se Google stia distorcendo la concorrenza limitando l’accesso da parte di terzi ai dati degli utenti per scopi pubblicitari.

La maximulta da 4,3 miliardi di euro del 2018 inflitta a Google dalla Commissione UE per aver sfruttato Android con fine di “dirottare” tutto il traffico sul motore di ricerca Google, ha avuto un impatto minimo sulla salute finanziaria della società.

Le accuse dell’antitrust

Se la responsabile europea della concorrenza Margrethe Vestager riuscirà a trovare le prove che Google abbia abusato della sua posizione dominante allora le richieste dell’Antitrust saranno pesanti, oltre alle multe potrebbe chiedere lo scorporo di alcune attività.

Il business della pubblicità online è di gran lunga il più importante per Google, un settore che nel 2020 ha garantito alla società entrate pari a circa 147 miliardi di dollari. Questo significa che ora la posta in gioco è alta. Se l’antitrust ritenesse che Google abusi della sua posizione dominante, i cambiamenti che la società potrebbe essere costretta a compiere avrebbero un impatto molto profondo.

Ad oggi la rete di Google per offrire spazi di inserzione e amplissima, il motore di ricerca è un di cui. Google sceglie le app per i telefonini da mettere nel suo marketplace, gestisce milioni di caselle postale gmail, legge con dei software il contenuto di quelle mail e propone pubblicità sull’argomento, ha una presenza molto forte negli streaming video e traccia la navigazione web degli utenti e anche quella reale tramite i cellulari Android.

Ma questa è solo una parte. Gli annunci online sono un panorama complesso, in cui i siti web vendono agli inserzionisti l'accesso in tempo reale ai loro visitatori. Potremmo pensare a Google come a una casa d'aste in cui gli inserzionisti fanno costantemente offerte l'uno contro l'altro per mostrare i propri annunci agli utenti in un miglior posizionamento. E Google, ovviamente, è la casa d'aste di spazi pubblicitari più grande del mondo.

Allo stesso tempo Google è il motore di ricerca che può determinare la visibilità o meno di un sito e ancora Google gestisce migliaia di siti on line da gmail a youtube ai vari servizi di news. Insomma offre spazi pubblicitari, dirotta il traffico internet e gestisce moltissimi siti di informazione on line. Google o meglio i suoi algoritmi, ad esempio, potrebbero essere stati impostati per dirottare la pubblicità su youtube o il traffico degli utenti dove vi sono siti gestiti Google o dove il colosso Usa beneficia di margini maggiori. Ora provate a mettervi nei panni di un concorrente, che fa solo una cosa, vende pubblicità on line. Non gli rimangono molti spazi per fare business.

Per l’antitrust il problema è che Google detiene tutto il potere, essendo presente in quasi tutti i livelli della catena di approvvigionamento per la pubblicità on line. Tornando all'esempio della casa d'aste, Google sarebbe l'agente dell'acquirente, l'agente del venditore e spesso anche il venditore! Google raccoglie i dati, vende gli spazi pubblicitari e ha anche il ruolo di intermediario pubblicitario online. La società si trova quindi in una posizione tale da poter favorire i propri prodotti a discapito di quelli di aziende concorrenti.

L'indagine

La domanda a cui dovrà rispondere l’Antitrust è se davvero Google approfitta di questi vantaggi, e per capirlo si sta basando su precedenti indagini della Britain’s Competition and Markets Authority e dell’Australia’s Competition and Consumer Commission.

Nel 2020 l’autorità britannica ha stabilito che "la forte posizione di Google a ogni livello della catena del valore dell'intermediazione crea chiari conflitti di interesse".

Anche se indubbiamente quello dell’antitrust è un passo significativo per regolamentare il potere smisurato di Google nella navigazione online e nell’online advertising, c’è la possibilità che l'indagine finisca con un buco nell'acqua o col raccomandare misure inadeguate o inefficaci. C'è molto in gioco non solo per Google, ma anche per la stessa Commissione.

Nel comunicato stampa dell’Antitrust Europeo si legge “siamo preoccupati che Google abbia reso più difficile per i servizi pubblicitari online rivali competere nel cosiddetto stack ad tech. La parità di condizioni è essenziale per tutti nella catena di approvvigionamento. La concorrenza leale è importante: sia per gli inserzionisti per raggiungere i consumatori sui siti degli editori sia per gli editori per vendere il proprio spazio agli inserzionisti, per generare entrate e finanziamenti per i contenuti. Esamineremo anche le politiche di Google sul monitoraggio degli utenti per assicurarci che siano in linea con una concorrenza leale.“

Molti editori si affidano alla pubblicità display online per finanziare contenuti online gratuiti per i consumatori. Nel 2019, la spesa per la pubblicità display nell'UE è stata stimata in circa 20 miliardi di euro. L'indagine della Commissione si concentrerà sulla pubblicità display in cui Google offre una serie di servizi sia agli inserzionisti che agli editori. Nell'ambito della sua indagine approfondita, la Commissione esaminerà in particolare:

  1. L'obbligo di utilizzare i servizi di Google Display & Video 360 ("DV360") e/o Google Ads per acquistare annunci display online su YouTube.
  2. L'obbligo di utilizzare Google Ad Manager per pubblicare annunci display online su YouTube e potenziali restrizioni imposte da Google sul modo in cui i servizi concorrenti di Google Ad Manager sono in grado di offrire annunci display online su YouTube.
  3. L'apparente favore dell'ad exchange di Google "AdX" di DV360 e/o Google Ads e il potenziale favore di DV360 e/o Google Ads di AdX.
  4. Le restrizioni imposte da Google alla capacità di terzi, come inserzionisti, editori o intermediari di pubblicità display online concorrenti, di accedere ai dati sull'identità o sul comportamento dell'utente disponibili per i servizi di intermediazione pubblicitaria di Google, incluso l'ID Doubleclick.
  5. I piani annunciati di Google per vietare il posizionamento di "cookie" di terze parti su Chrome e sostituirli con il set di strumenti "Privacy Sandbox", compresi gli effetti sulla pubblicità display online e sui mercati di intermediazione della pubblicità display online.

Google ha annunciato l'intenzione di smettere di rendere disponibile l'identificatore pubblicitario a terzi sui dispositivi mobili intelligenti Android quando un utente rinuncia alla pubblicità personalizzata e gli effetti sui mercati della pubblicità display online e dell'intermediazione della pubblicità display online.

“La Commissione, - si legge nel comunicato - terrà conto della necessità di proteggere la privacy degli utenti, in conformità con le leggi dell'UE in materia, come il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). Il diritto della concorrenza e le leggi sulla protezione dei dati devono lavorare di pari passo per garantire che i mercati della pubblicità display operino in condizioni di parità in cui tutti i partecipanti al mercato proteggano la privacy degli utenti allo stesso modo.

La Commissione effettuerà ora la sua indagine approfondita in via prioritaria.

Per leggere l’intero comunicato clicca qui

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