Il dato sulla disoccupazione indirizzerà la politica monetaria della FED

Tognoli si interroga su quanto tempo Powell è disposto ad aspettare per vedere l’inflazione raggiungere l’obiettivo e, quindi, quanto a lungo è disposto a tenere i tassi in una situazione di squilibrio. Perché è chiaro che da questa decisione dipende gran parte della strategia di investimento per il 2023.
A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM
Nessun dato importante per i mercati, almeno fino a giovedì 29, quando saranno resi noti i sussidi alla disoccupazione USA WoW (previsti in aumento a 225k contro 216k della scorsa settimana) da dove si potrà cominciare a delineare il dato della disoccupazione di dicembre, che uscirà il 6 gennaio prossimo, le cui attese indicano una crescita al 3,8% (dal 3,7% di novembre).
Dato particolarmente importante per la FED al fine di indirizzare la politica monetaria. Una disoccupazione in linea con le attese o più alta del previsto farebbe probabilmente propendere la FED per un rialzo di 50 bp nel prossimo meeting fissato per il 1° febbraio. Viceversa un calo della disoccupazione potrebbe suggerire ai membri del FOMC un rialzo di ulteriori 75 bp, nonostante l’inflazione stia mostrando segnali di riduzione.
Lo scenario è quanto mai incerto anche tra gli analisti. Credit Suisse, per esempio, che stima una probabilità di recessione per gli USA del 40%, si attende per l’intero 2022 una crescita vicina allo zero e con un 4Q23 ancora in calo dello 0,5% rispetto 4Q22. E’ vero che l'inflazione inizia a moderarsi, sostiene Credit Suisse, ma quella core relativa alle spese per consumi personali, rimarrà probabilmente ancora alta, attorno al 3%, fino a fine 2023. Di fronte a questi numeri la FED non potrebbe fare altro che continuare in modo aggressivo la sua politica restrittiva alzando i tassi di interesse di ulteriori 100 punti base entro il 1Q23 e raggiungere un tasso terminale del 4,75%–5,0% (che dovrebbe rimanere a quei livelli per la gran parte del 2023).
Parzialmente diverse invece le attese di Goldman Sachs, secondo cui l’ottimismo sull'inflazione potrebbe indurre la FED ad essere più accomodante. Secondo Goldman Sachs, gli USA potrebbero scansare la recessione per un soffio, visto che l'inflazione core rallenterà dal 5% al 3% di fine 2023 e il tasso di disoccupazione dovrebbe aumentare di mezzo punto percentuale e raggiungere il 4,2%.
Recessione che sarebbe evitata anche stimando, come fa la banca d’affari americana, rialzi dei tassi di interesse per ulteriori 125 bp fino ad un picco del 5-5,25% anche al fine di operare il corretto aggiustamento del mercato del lavoro. Galdman Sachs, al pari di Credit Suisse, non prevede tagli dei tassi nel 2023.
Tentiamo di fare il punto. Powell ha sempre sostenuto che i tassi di interesse sarebbero stati in territorio di non equilibrio tutto il tempo necessario per consentire di portare l’inflazione nell’intorno dell’obiettivo del 2%, anche sacrificando la crescita economica e quindi l’occupazione. La domanda è quanto tempo Powell è disposto ad aspettare per vedere l’inflazione raggiungere l’obiettivo e, quindi, quanto a lungo è disposto a tenere i tassi in una situazione di squilibrio. Perché è chiaro che da questa decisione dipende gran parte della strategia di investimento per il 2023.
Da uno sguardo alle componenti dell’inflazione, notiamo come il recente calo al 7,1% sia per lo più dovuto all’impatto disinflazionistico del recente rilassamento delle catene di approvvigionamento e dei mercati degli alloggi in affitto. Ma la strada per una loro completa normalizzazione, stabilmente visibile sull’inflazione, richiede almeno ancora 12/18 mesi di tempo (in assenza di ulteriori schock esterni). Non va meglio per le aspettative di inflazione a lungo termine, che sono in fase di crescita, considerato come questa sia ormai trasversale a tutti i settori produttivi e ai servizi.
La FED non sembra tuttavia trovarsi in una posizione peggiore rispetto a 12/18 mesi fa. Nel corso del 2022 ha alzato i tassi di interesse sei volte per complessivi 375 bp, facendo scendere l’inflazione dal picco di giugno del 9,1% al 7,1% di novembre, anche se quella core al 6% è ancora troppo elevata per gli standard della FED (ma sta scendendo). Nel contempo il PIL del 3Q22 ha fatto registrare una crescita del 3,2% portando in tendenziale annuo all’1,4% (secondo il FMI) e la disoccupazione è ai minimi storici.
L’effetto di trascinamento al 2023 della crescita del 2022 sarà molto contenuto, ma è probabile che, continuando di questo passo, l’economia possa effettivamente planare verso un 2023 che si annuncia meno negativo si quanto fosse possibile stimare sei mesi fa. Vedremo.
Intanto non abbiamo cambiato idea sulla strategia da seguire nelle fasi in incertezza, privilegiando le imprese in grado di traslare sui prezzi finali di vendita i maggiori costi, che producano cassa, che siamo market leader nel proprio settore di riferimento e che abbiamo una marginalità mediamente più elevata e sostenibile rispetto ai propri comparables.
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