Il petrolio dovrebbe scendere. Ma è la politica a fare il prezzo

Le stime parlano chiaro: l’offerta globale supera largamente la domanda e il Brent potrebbe scivolare verso i 50 dollari. Ma tra OPEC+, tensioni Usa–Venezuela, sanzioni alla Russia e maxiacquisti cinesi, la geopolitica continua a dettare le regole di un mercato tutt’altro che razionale
Indice dei contenuti
- 1. Dall’inizio dell’anno il greggio è sceso del 23%
- 2. Troppo petrolio in circolazione
- 3. Dalle crisi geopolitiche rischi moderati
- 4. OPEC+ gioca una partita a lungo termine
- 5. Venezuela, Russia e gli altri: scenari da monitorare
- 6. Conclusione: prezzi orientati al ribasso, ma con un “pavimento politico”
Dall’inizio dell’anno il greggio è sceso del 23%
Il 2025 doveva essere l’anno della stabilizzazione del petrolio. Invece, il mercato si trova in equilibrio precario: domanda debole, scorte elevate, strategie dei Paesi produttori tutt’altro che allineate e una geopolitica che sembra il vero “regista” dei movimenti del Brent. In una recente analisi Barron’s osserva che, nonostante le tensioni internazionali, il prezzo del greggio è sceso di oltre il 23% dall’inizio dell’anno. Un dato sorprendente se si pensa alla mole di rischi geopolitici oggi sul tavolo.
Il Brent viaggia intorno ai 63 dollari, circa venti dollari sotto i massimi toccati a gennaio. Un calo che favorisce i consumatori, ma che rischia di comprimere i margini delle major petrolifere e di raffreddare i titoli energy in Borsa. Tuttavia, per gli investitori pazienti potrebbe generarsi un terreno fertile per cogliere interessanti opportunità nel corso del 2026.
Troppo petrolio in circolazione
Secondo Dan Pickering di Pickering Energy Partners, citato da Barron’s, l’offerta mondiale supera la domanda di circa un milione di barili al giorno. È questa sovrapproduzione, più ancora della geopolitica, a guidare i prezzi.
Le vie per riassorbire l’eccesso sono due, e nessuna appare semplice:
- Nuovi tagli OPEC, difficili da immaginare dopo mesi di graduale aumento dell’offerta.
- Riduzione della produzione americana, soprattutto dello shale, che però potrà avvenire solo se i prezzi scenderanno a livelli sufficientemente bassi da scoraggiare l’attività.
Su questo punto, gli analisti non sono concordi. Le stime sul surplus 2026 oscillano da uno a quattro milioni di barili al giorno: una forbice enorme, che rende complessa ogni previsione. In uno scenario estremo, il petrolio potrebbe scivolare anche sotto i 55 o 50 dollari.
Dalle crisi geopolitiche rischi moderati
Paradossalmente, l’abbondanza di offerta attenua l’impatto delle crisi internazionali. Infatti, il mercato ha reagito con sorprendente freddezza persino alle tensioni tra Stati Uniti e Venezuela, Paese con enormi risorse di idrocarburi. Anche l’ipotesi di una distensione tra Russia e Ucraina – che potrebbe riportare sul mercato milioni di barili russi oggi sanzionati – non ha provocato scossoni significativi.
Secondo Ed Morse di Hartree Partners, gli scenari più probabili vedono il Brent dirigersi gradualmente verso i 50 dollari, con un rischio limitato di cadute più traumatiche verso quota 40. Il mercato sa che, in presenza di un crollo, OPEC+ avrebbe la forza e la volontà di intervenire, proprio per evitare il bis del 2015, quando i prezzi precipitarono sotto i 40 dollari.
OPEC+ gioca una partita a lungo termine
Da aprile a oggi l’alleanza OPEC+ ha aumentato i target produttivi di quasi 3 milioni di barili al giorno, salvo poi annunciare una pausa nell’espansione dell’offerta per il primo trimestre 2026. Una strategia che Francisco Blanch, analista di Bank of America, definisce una “guerra dei prezzi lunga e superficiale” contro i produttori extra-OPEC.
Blanch stima un surplus di circa 2 milioni di barili al giorno e ritiene che serviranno almeno 18 mesi per rivedere un mercato più bilanciato. Nel frattempo, vede i prezzi oscillare nel range 60–65 dollari, sostenuti anche da un attore spesso sottovalutato: la Cina.
Pechino ha infatti incrementato in modo significativo gli acquisti per le proprie riserve strategiche e, secondo le stime, potrebbe accumulare altri 200 milioni di barili nel 2026, contribuendo a mantenere una domanda minima stabile.
Venezuela, Russia e gli altri: scenari da monitorare
Il Venezuela resta un’incognita. Anche qualora un cambio politico aprisse la strada alla piena reintegrazione del Paese nel mercato energetico occidentale, la sua capacità produttiva è compromessa da anni di investimenti insufficienti e da un pesante esodo di tecnici specializzati. Oggi Caracas produce circa un milione di barili al giorno, ovvero un terzo del livello massimo raggiunto in passato.
Sul fronte russo, invece, eventuali accordi diplomatici – scenario su cui alcuni trader scommettono – potrebbero rimettere in circolo un volume significativo di barili oggi soggetti a embargo. Ma l’Europa resta scettica verso un’intesa che non garantisca la sicurezza dell’Ucraina, e difficilmente allenterà le sanzioni senza un consenso unanime dei 27 membri.
Conclusione: prezzi orientati al ribasso, ma con un “pavimento politico”
I fondamentali indicano chiaramente un eccesso di offerta destinato a prolungarsi nel 2026. La logica suggerirebbe un petrolio più debole, forse anche vicino ai 50 dollari.
Eppure, come sottolinea Barron’s, “la geopolitica non permetterà ai ribassisti di dormire sonni tranquilli”. Ogni movimento OPEC, ogni gesto diplomatico tra Washington, Mosca o Caracas, ogni acquisizione cinese di riserve strategiche può riscrivere gli scenari in poche settimane.
Per gli investitori, questo significa una sola cosa: il petrolio non è oggi un mercato da seguire, ma da interpretare. I numeri dicono che dovrebbe scendere. La politica suggerisce che non potrà scendere troppo. E nel mezzo si apre uno spazio potenzialmente interessante per chi sa cogliere i momenti di volatilità con una prospettiva di lungo termine.
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