Il punto di Antonio Tognoli

11/03/2022 07:45
Il punto di Antonio Tognoli

Inaspettata l'accelerazione della BCE sulla riduzione degli stimoli monetari, che segnala la maggior preoccupazione per l’inflazione record che per una crescita economica più debole poiché l’invasione russa dell’Ucraina minaccia di spingere i prezzi ancora più in alto.

Secondo Tognoli, se la liquidità lo permette, l’investimento a medio termine dovrebbe privilegiare le società che possono aumentare i prezzi a fronte di una crescita dei costi di produzione

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Fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di marzo in uscita oggi alle 16:00 (stima 61,3 punti contro 62,3 di febbraio). La BCE ha inaspettatamente accelerato la riduzione degli stimoli monetari del programma APP, (prima di quanto il mercato si aspettasse), a 40 miliardi in aprile, 30 miliardi a maggio e 20 miliardi a giugno (erano 40 miliardi tutti i mesi), segnalando così che è più preoccupata per l’inflazione che per la debolezza della crescita economica. Il fine tuning della politica monetaria del terzo trimestre dipenderà dalle prospettive, ovvero le decisioni dipenderanno dai dati. Il consiglio dei governatori è infatti pronto a rivedere le sue decisioni in termini di scadenze e di volume usando tuttavia la massima condizionalità di fronte alla forte instabilità attuale. Da non dimenticare che tutti titoli acquistati dalla BCE nell’ambito dei diversi programmi, alla scadenza verranno rinnovati. Il rialzo delle aspettative della BCE per il 2022 relative all’inflazione e alla riduzione della crescita economica dovute alla guerra sono significative: la stima d’inflazione passa dal 3,2% di inizio d’anno al 5,1% attuale mentre la stima di crescita del PIL passa dal 4,2% al 3,7%.

Nel corso della conferenza stampa la Lagarde ha precisato più volte che le decisioni prese non rappresentano una svolta da falco, ma altro non sono che la logica conseguenza della flessibilità, in linea con quanto deciso lo scorso dicembre e annunciato a febbraio, di fronte ai materiali effetti della guerra sull’inflazione, l’attività economica, la fiducia e il commercio. Sull’aumento dei tassi, pur non indicando una data, la Lagarde ha precisato che questo potrebbe avvenire mesi dopo la fine del QE oppure settimane dopo, ribadendo con questo la flessibilità operativa che contraddistingue in questo momento l’azione della BCE. In altre parole, riteniamo che la BCE abbia lasciato intendere che se l’inflazione persisterà su livelli troppo elevati, terminerà il QE alla fine del secondo trimestre e preparerà un rialzo dei tassi probabilmente già nel mese di settembre.

Sull’altra sponda dell’Atlantico, Powell sembra proseguire sulla strada tracciata (la conferenza stampa si terrà il prossimo 16 aprile). L’attuale shock geopolitico non rinvierà però l’aumento dei tassi previsto in 25 bp, ha dichiarato espressamente il presidente della FED, forte di un florido mercato del lavoro e di una crescita prezzi che non sembra voler diminuire (il dato di febbraio è pari al 7,9%, in ulteriore crescita rispetto al 7,5% di gennaio). Powell ha tenuto inoltre a sottolineare che se l’inflazione sarà più elevata del previsto, è pronto a muoversi in modo più aggressivo, aumentando il FED Funds di oltre 25 bp nelle prossime riunioni. Per Powell l’inflazione è comunque prevista scendere durante l’anno grazie ad una domanda aggregata più contenuta e una progressiva risoluzione dei problemi della supply chain.

Secondo il nostro modello tuttavia, per consentire all’inflazione di scendere al 2,5% (valore del gennaio 2020) sarebbe necessario che i prezzi del petrolio rimanessero sotto gli 85 dollari al barile per il resto dell’anno e che i prezzi dei prodotti agricoli diminuissero del 20% dai livelli attuali. Riteniamo che entrambi gli obiettivi siano, ad oggi, difficilmente raggiungibili.

Per quanto riguarda le decisioni di investimento è chiaro che queste dipendono da come il portafoglio è entrato nella crisi. In ogni caso, se la liquidità lo permette, crediamo che l’investimento a medio termine debba privilegiare le società che possono aumentare i prezzi a fronte di una crescita dei costi di produzione (ovvero quello che producono cassa e hanno una redditività superiore a quella media del proprio settore).

Per quanto riguarda invece i bond, le opportunità di trovare rendimenti reali positivi sono limitate, a meno di forti cali dell’inflazione o dell’assunzione di un livello di rischio elevato. I titoli protetti dall’inflazione rappresentano una garanzia contro il fallimento della FED e della BCE nel contenere l’inflazione. Se quest’ultima dovesse rimanere alta gli investitori potrebbero anche guardare a strategie alternative, come per esempio gli hedge fund, per proteggersi dall’aumento dei tassi e dall’ampliamento degli spread.

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