Il punto di Antonio Tognoli


Vale la pena di investire in Cina? Secondo Tognoli, nonostante il 2021 non sia stato particolarmente brillante per i mercati finanziari cinesi, nel 2022, grazie alle nuove priorità politiche di lungo termine imperniate sui pilastri precedenti, le autorità hanno definitivamente chiarito che gli obiettivi primari si sono spostati verso la stabilizzazione della crescita, l’autosufficienza e la tutela dell’ambiente.


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Richiesta di sussidi alla disoccupazione USA WoW (stima 173k contro 166 k della scorsa settimana) e vendite al dettaglio USA MoM di marzo alle 14:30 (stima 0,6% contro 0,3% di febbraio), Fiducia dei consumatori Università del Michigan di aprile alle 16:00 (stima 58,8 punti contro 59,4 di marzo).

Cosa sta succedendo in Cina? L’inflazione è salita a marzo dell’1,5% (dallo 0,9% di febbraio e 1,2% stimato dagli analisti), mentre frenano leggermente i prezzi alla produzione, che a marzo hanno evidenziato una crescita dell’8,3% (dall’8,8% di febbraio e 7,9% stimato dagli analisti). Il 2021 è stato un anno di forte volatilità per la Cina. Anno caratterizzato dal Covid e dalle carenze energetiche in cui il governo ha voluto mettere mano al riordino dell’espansione del capitale (leggi per esempio il settore immobiliare).

Appare chiaro ed evidente che quest’ultima strategia non ha prodotto i risultati attesi, tanto è vero che le autorità hanno dato corso ad un allentamento monetario il cui risultato più evidente è proprio un aumento dell’inflazione, anche se questa appare meno preoccupante rispetto a quella degli USA e dell’Europa. In quest’ottica va letta la mossa della Banca popolare di Cina che, nell’intento di incoraggiare le banche a concedere più prestiti alle imprese, ha ridotto dello 0,5% la proporzione di depositi bancari da tenere come riserve, raggiungendo una media dell’8,4%. La riduzione delle riserve, che sono note come required reserve ratio (RRR), consentirà d’immettere gradualmente nell’economia 1.200 miliardi di yuan (circa 190 miliardi di dollari).

Quello che continua a trainare il PIL sono le esportazioni, grazie al fatto che le catene di distribuzione globali dipendono in larga parte dalla Cina. L’aumento dei costi della manodopera ha tuttavia portato ad una compressione dei margini di profitto, con le imprese del settore manifatturiero che sono quindi sempre più esposte al rischio di oscillazione dello yuan e alla volatilità della domanda globale. I consumi interni risentono inoltre del rallentamento della crescita della popolazione, nonostante l’abolizione della politica del figlio unico avvenuta nel 2013 e la recente autorizzazione governativa ad avere tre figli: la crescita dei consumi quale effetto della crescita demografica richiede infatti tempi lunghi.

Gli obiettivi economici e finanziari per il 2022

Dall’8 al 10 dicembre scorsi l’annuale Central Economic Work Conference ha posto per il 2022 alcuni obiettivi e tra questi: continuare a implementare politiche fiscali pro-attive insieme a politiche monetarie prudenti, stimolare la vitalità degli attori del mercato mediante politiche microeconomiche, promuovere una concreta crescita delle politiche orientate alla tecnologia e alla scienza, dare nuovo impulso allo sviluppo economico mediante riforme e aperture, promuovere uno sviluppo equilibrato tra le diverse regioni, assicurarsi che le politiche sociali salvaguardino il benessere della popolazione.

Le tendenze di medio periodo sono invece state dettate nel marzo scorso dalla Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese e dall’Assemblea Nazionale del Popolo (le due sessioni) che hanno dato il via libera al quattordicesimo Piano Quinquennale contenente importanti linee guida di riforma sociale, economica ed industriale e che lasciano intravedere un quinquennio di grandi cambiamenti. L’impostazione generale poggia su alcuni pilastri:

  • Dual Circulation: è la strategia di sviluppo economico basata sul mercato interno (internal circulation) ed in modo articolato sull’integrazione globale (external circulation), confermando di fatto le impostazioni di politica economica del tredicesimo PQ, i cui obiettivi non sono stati raggiunti per effetto della pandemia. Le direttrici riguardano l’uscita della Cina dallo stato di Paese in via di sviluppo, con un PIL pro-capite stimabile intorno ai 30.000 dollari nel 2035. Non sono completamente chiari invece gli obiettivi dell’integrazione globale che fanno leva sull’indipendenza tecnologica;
  • Indipendenza Scientifica e Tecnologica. Già il programma Made in China 2025 (MiC2025), lanciato nel 2015, conteneva gli elementi per una profonda trasformazione industriale, spostando l’accento dalla quantità alla qualità e individuando 10 settori strategici in cui la Cina avrebbe dovuto raggiungere la leadership entro il 2049. Gli obietti del nuovo PQ sono di fatto gli stessi del MiC2025, rivisti alla luce dei mutamenti tecnologici intervenuti;
  • Nuova Urbanizzazione. L’intento è quello di ridurre il divario tra le fasce di popolazione più povere e più ricche. Gli obiettivi della Nuova Urbanizzazione prevedono grandi trasformazioni del modello economico basato sull’agricoltura e la trasformazione del settore dei servizi, lasciando intravedere grandi opportunità di business. Il nuovo PQ non prevede però una nuova liberalizzazione del mercato fondiario che avrebbe dato ulteriore impulso ai redditi delle famiglie rurali;
  • Green Development. Pur essendo indicato come indispensabile, il PQ non ha dato indicazioni precise e obiettivi specifici del green development, contenuti comunque nella deliberazioni dell’ultimo State Council che strutturavano un preciso percorso di trasformazione economica e sociale verso la carbon neutrality, non presente nelle pianificazioni precedenti. E’ uno sforzo immane che comporta la dismissione di circa 700 GW di centrali a carbone (simile alla capacità di potenza installata in Europa) e l’eliminazione di 12GtCO2e/l’anno. Gli investimenti sono enormi e pari a circa 140 tn di RMB (circa 16 tn di dollari) in 10 anni.

Fin qui la teoria. Occorre poi metterla in pratica sia nel breve che nel medio periodo. Tra gli ostacoli da superare c’è l’armonizzazione dei diversi portatori di interessi. Per esempio, tra i principali obiettivi per l’anno 2022 c’è quello che i vertici Cinesi chiamano il “benessere condiviso”, ovvero una condizione condivisa da tutti sia in termini materiali che in termini culturali, con una riduzione del gap tra regioni, aree urbane e rurali e tra entrate individuali e l’impegno nella ridistribuzione della ricchezza che, secondo il Governo è possibile suddividere in tre obiettivi che però sono ben lontani dall’essere raggiunti: ridurre i costi delle abitazioni, aumentare le entrate e dare alla popolazione maggiori opportunità di creare ricchezza.

Vale la pena di investire in Cina? Nonostante il 2021 non sia stato particolarmente brillante per i mercati finanziari cinesi, nel 2022 riteniamo che grazie alle nuove priorità politiche di lungo termine imperniate sui pilastri precedenti, le autorità abbiano definitivamente chiarito che gli obiettivi primari si sono spostati verso la stabilizzazione della crescita, l’autosufficienza e la tutela dell’ambiente. Chiaro che i primi passi verso il nuovo equilibrio non sono stati facili, soprattutto alla luce della debolezza del settore immobiliare, della pandemia che ne hanno frenato l’implementazione e della guerra. In questo scenario, siamo tuttavia convinti che le azioni di alcune società cinesi, la cui attività è concentrata principalmente sul mercato interno, abbiano il potenziale per performare relativamente bene nel 2022 e possano anche mettere al riparo il portafoglio dal rischio geopolitico. Il generalizzato de-risking sulle azioni cinesi degli ultimi 6 mesi ha creato diverse opportunità in particolare nei settori healthcare, IT e dei consumi.

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