Il punto di Antonio Tognoli

17/02/2022 07:15
Il punto di Antonio Tognoli

Secondo Tognoli, considerato per il momento il mancato aumento dei tassi e il presistente scenario di inflazione, probabilmente gli investitori continueranno a privilegiare i titoli value anche per la rimanente parte del 2022. Rotazione settoriale che andrà a privilegiare i titoli di quelle società che presentano una redditività e una produzione di cassa sostenibili in modo da garantire un flusso costante e in crescita di dividendi (altra componente del rendimento complessivo da privilegiare spostandosi sui titoli value).

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PhillyFed di febbraio in uscita oggi alle 14:30 (stima 20 punti contro 23,2 di gennaio) e richiesta di sussidi alla disoccupazione USA WoW (stima 220k contro 223 della settimana precedente). Siamo alla metà di febbraio e, nonostante gli indici azionari non si siano mossi in modo significativo rispetto alla chiusura d’anno, in realtà la loro composizione interna è invece cambiata. Come era nelle attese, con l’aumento dei tassi alle porte gli investitori hanno acquistato i titoli value e venduto quelli growth, e questo si è ovviamente riflesso nella loro performance: dall’inizio dell’anno infatti il complesso dei titoli value ha infatti decisamente sovraperformato quello dei titoli growth, più sensibili alla variazione dei tassi interesse.

Considerato che per il momento i tassi non sono ancora stati aumentati e che siamo entrati in uno scenario di inflazione più persistente delle attese, è facile prevedere che gli investitori continueranno a privilegiare i titoli value anche per la rimanente parte del 2022. Rotazione settoriale dunque che andrà a privilegiare i titoli di quelle società che presentano una redditività e una produzione di cassa sostenibili in modo da garantire un flusso costante e in crescita di dividendi (altra componente del rendimento complessivo da privilegiare spostandosi sui titoli value). Chiaro che comunque la scelta tra componente value o growth del portafoglio dipende dall’orizzonte temporale dell’investimento: non sono infatti da temere le società growth se l’orizzonte di investimento è a medio e lungo termine.

Ci sono tuttavia almeno tre fattori che potrebbero in qualche modo inficiare la crescita dei mercati. Il primo problema rimane l’inflazione, impennatasi per effetto delle strozzature dell’offerta e del prezzo dell’energia, che ha fortemente ridotto il potere d’acquisto dei consumatori. Il secondo fattore riguarda le tensioni geopolitiche che continuano a minacciare la pace mondiale, ma che non sembrano riflesse nel valore dei CDS. L’ultimo tema riguarda l’atteggiamento della FED, che a gennaio si è dimostrata meno favorevole ai mercati e che potrebbe privilegiare una rientro dei tassi reali negativi più veloce del previsto.

La nostra visione sui mercati azionari continua ad essere moderatamente positiva e non vediamo la fine del fenomeno TINA (There Is No Alternative), almeno fintantoché i tassi di interesse reali rimarranno negativi. Siamo comunque convinti che occorra ancora un po’ di tempo perché il testimone della performance dei prezzi passi dalla liquidità alla crescita degli utili. In questo frangente la strategia che riteniamo corretta è quella che prevede la copertura del portafoglio attraverso l’acquisto/vendita di call/put.

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