Il punto di Antonio Tognoli


Il Piano RePowerEU, appena lanciato dalla Commissione europea, punta a risolvere le criticità riscontrate nel mercato energetico globale a seguito della guerra in Ucraina.


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Nessun dato interessante oggi per il mercato. L’Europa mette sul piatto 300 miliardi circa di investimenti entro il 2030 attraverso il piano RepowerUe per azzerare la dipendenza dal gas e dal petrolio Russo, già a partire dalla fine del 2027. Il piano ruota intorno a tre punti fondamentali: accelerazione sulle rinnovabili, diversificazione delle forniture, risparmio energetico. Ma anche nucleare e carbone, entrambe previste crescere entro il 2030 fino a raggiungere il 5% del mix energetico: significa aumentare di 44 TWh e 100 TWh la produzione di energia proveniente rispettivamente dal nucleare e dal carbone. E’ stato inoltre deciso di creare una piattaforma Europea per l’acquisto congiunto di gas, gnl e idrogeno per proteggere le importazioni ed eliminare la concorrenza tra gli stati membri. Il piano sarà finanziato in gran parte da prestiti del Recovery and Resilience Facility – RRF già previsto dal NGeu e prevede 225 miliardi di prestiti e 72 miliardi di sovvenzioni.

Piuttosto massicci gli interventi previsti per le rinnovabili, in particolare nel solare. Verranno per esempio semplificate le procedure di autorizzazione, con la possibilità di dichiarare i nuovi progetti eolici e solari come impianti di interesse pubblico prioritario.

Il punto fondamentale è che occorre tempo prima che gli effetti degli investimenti nelle rinnovabili comincino ad essere visibili e portare il loro contributo alla capacità elettrica complessiva dall’attuale 33% circa al 67% come indicato negli obiettivi del RepoweUe. E Inoltre, francamente la riduzione di due terzi del consumo di gas Russo entro la fine del 2022, prevista dal piano, ci sembra piuttosto utopistica (il 2023/2024 è più realistica). Nel breve termine il gas Russo non può essere sostituito dalle rinnovabili e occorrerà cercare fonti alternative da paesi come Egitto, Israele, Algeria e Qatar. Il piano delle decisioni si sposta però da quello economico a quello politico. I paesi citati hanno davanti uno scenario dove entro il 2030 (che è dopodomani) il consumo di energia elettrica sarà in gran parte sostenuto dalle rinnovabili. Ovvio quindi che si chiedano che cosa possa accadere quando l’Europa smetterà di essere loro cliente. Bene quindi il doppio accordo che la Commissione Europea dovrebbe proporre loro che prevede la fornitura a breve termine del combustibile fossile di cui abbiamo bisogno e la loro inclusione in un progetto globale a lungo termine per la produzione e uso di idrogeno verde.

Come dicevamo, il 2023/2024 ci sembra una stima più realistica per pensare alla sostituzione di due terzi del gas Russo, soprattutto alla luce dei progetti in corso che dovrebbero vedere il loro completamento nel corso del 2023. Questi sono l’interconnettore del gas tra Polonia e Lituania, l’interconnessione Polonia-Slovacchia, il Baltic Pipe tra Polonia e Danimarca e il gasdotto Grecia-Bulgaria (IGB), ma anche nuovi terminali di gas naturale liquefatto a Cipro e in Grecia, e a Danzica in Polonia e diversi progetti di stoccaggio di gas in corso in Grecia, Romania e Bulgaria.

Il 2021 ha visto investimenti mondiali nell’energia rinnovabile pari a 366 miliardi di dollari (+6,5% rispetto al 2020) e 273 miliardi di dollari nel trasporto elettrificato che include veicoli e infrastrutture associate. Abbiamo calcolato che per raggiungere lo zero netto globale di emissioni di gas serra entro il 2050, in linea con 1,75 gradi di surriscaldamento globale, gli investimenti dovrebbero quasi triplicare e raggiungere una media di 2.000 miliardi medi l’anno tra il 2023 e il 2026 per raddoppiare nei cinque ani seguenti a circa 4.000 miliardi. L’Europa sembra incamminata sulla strada corretta.

Largo quindi agli investimenti nella green economy, da quelli relativi alla costruzione di infrastrutture (pipeline, stoccaggi gnl, trasporto di energia etc) ai produttori di energia rinnovabile.

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