Il punto di Antonio Tognoli

30/03/2022 07:00
Il punto di Antonio Tognoli

La guerra potrebbe avere un impatto concreto sull’economia e sull’inflazione Europea, maggiore delle aspettative per effetto dell’indebolendo del commercio internazionale e del clima di fiducia generale.

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Prezzi al consumo della Germania YoY di marzo in uscita oggi alle 14:00 (stima 6,1% contro 5,1% di febbraio), occupati USA ADP di marzo alle 14:15 (stima 438k contro 475k di febbraio) e PIL USA del 4Q alle 14:30 (stima 7,1% contro 2,3% del 3Q). Che l’invasione Russa dell’Ucraina facesse più male all’Europa che agli Stati Uniti, è stato chiaro fin da subito. E i primi segnali non hanno tardato molto a manifestarsi. Il PIL della Germania, secondo l’Istituto Economico IWF, è infatti previsto crescere del 2,2% nel 2022, anziché del 4% indicato nella stima precedente. E se la locomotiva Europea riduce il traino, difficilmente gli altri paesi riusciranno a fare meglio. Questo significa che le nuove stime di crescita della BCE rilasciate a valle del meeting del 10 marzo (nel 2022 il PIL è atteso crescere del 3,7%), potrebbero quindi essere troppo ottimistiche. In altre parole, la guerra potrebbe avere un impatto concreto sull’economia e sull’inflazione Europea, maggiore delle aspettative per effetto dell’indebolendo del commercio internazionale e del clima di fiducia generale. Ovviamente si tratta di stime, la cui realizzazione o meno dipende in buona parte dagli sviluppi del conflitto e/o dagli effetti delle sanzioni.

In passato le recessioni economiche sono state provocate da un improvviso rialzo dell’inflazione. In seguito, le frenate dell’economia causate da un aumento dei tassi di interesse ed un aumento del credito, hanno scatenato la paura degli investitori (i.e. la bolla internet del 2001 o il fallimento di Lehman Brothers nel 2008). L’inflazione, scesa a seguito della frenata economica, si manteneva però bassa. Oggi assistiamo invece ad una forte espansione del debito per via di tassi d’interesse particolarmente bassi e un altrettanto forte balzo dell’inflazione. Parallelamente le famiglie hanno ridotto l’indebitamento rispetto alla crisi del 2008, mentre le imprese lo hanno invece aumentato.

In circostanze normali la BCE avrebbe già aumentato i tassi d’interesse per anticipare e limitare l’incremento dei prezzi. Ma ha preferito non farlo (almeno per il momento) per il timore di creare tensioni sui mercati obbligazionari e mettere in difficoltà i paesi a debito più elevato e perché agire sul costo del denaro è decisamente penalizzante in un contesto di potenziale stagflazione. La situazione è complessa anche per i governi, alle prese con elevati livelli di debito pubblico in uscita dalla pandemia. Un ulteriore aumento del debito rischia infatti di creare preoccupazioni presso gli investitori e di pesare sull’economia: potrebbe essere una buona occasione per spostare i programmi di spesa a livello comunitario in modo da evitare di pesare sulle finanze pubbliche nazionali. Per la verità qualche esperimento è già stato fatto: in piena pandemia è stato per esempio creato il piano SURE, ideato per finanziare sussidi alla disoccupazione. Questo ha preso a prestito sui mercati 94,3 miliardi di euro, e ha distribuito a 19 paesi su 27 un totale di 89,6 miliardi di euro. Un qualcosa di analogo potrebbe essere vincente anche in questa circostanza per aiutare le imprese in crisi, proteggere i consumatori dal forte aumento dell’energia, diversificare le fonti energetiche.

In tema di strategia, riteniamo che un successo dei colloqui di pace consentirebbe un incremento del beta del portafoglio anche attraverso una rivalutazione tra titoli growth e value. Sempre comunque avendo un occhio di riguardo alla diversificazione. Qualora viceversa la guerra dovesse prolungarsi ulteriormente, crediamo che la strategia più corretta possa essere quella esattamente contraria e che vede una diminuzione del beta del portafoglio.

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