Il punto di Antonio Tognoli


Tognoli analizza il rialzo di 0,50 bp deciso da Powell. Secondo l'esperto, la sensazione è che la FED si sia mossa troppo in ritardo rispetto ai dati che chiedevano interventi più rapidi e magari meno invasivi e possa ora creare movimenti disordinati soprattutto nel settore creditizio, dove la politica monetaria incontra l’economia reale.


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Richiesta sussidi alla disoccupazione USA WoW in uscita oggi alle 14:30 (stima 180k, invariato rispetto alla scorsa settimana). Contrariamente alle nostre previsioni, Powell ha preferito alzare i tassi di 0,50 bp, ma ridurre meno del previsto il proprio bilancio: 47,5 miliardi da giugno fino a salire a 95 miliardi a settembre. I tassi d riferimento dei FED funds sono ora all’interno di una forchetta compresa tra 0,75% e 1%. Secondo Powell, le spese dei consumatori e gli investimenti rimangono forti e l’economia è alla piena occupazione.

Per quanto riguarda i prossimi rialzi, Powell ha detto chiaramente che questi potrebbero essere di ulteriori 0,5 bp per i prossimi due meeting (0,75 bp non è qualcosa che il FOMC sta prendendo seriamente in considerazione), anche se le decisioni finali verranno prese in concomitanza dei singoli meeting.

Gli squilibri causati da due anni di pandemia, esasperati dalla guerra e da tutti gli eventi a questa collegati, stanno creando ulteriori pressioni verso l’alto dell’inflazione e peseranno probabilmente sull’intera attività economica (il primo campanello d’allarme è stata la variazione del PIL negativo dell’1,4%).

Francamente vediamo una FED che si muove sui mercati con non poche difficoltà. Il convincimento di Powell è che i prezzi si stabilizzino presto e senza recessione (ma il PIL del 1Q22 è stato inaspettatamente negativo), così come diverse volte ha affermato che l’inflazione è “too high” (ma solo tre/quattro mesi fa diceva che era sicuramente transitoria). Molto vaga ed evasiva è stata poi la risposta alla domanda che chiedeva se i rialzi previsti non avrebbero finito per uccidere la crescita economica.

E’ vero che l’inflazione è elevata (ha toccato l’8,5% ad aprile) ma gran parte è dovuta alla crescita dei costi sui quali l’azione della FED può fare ben poco. Quello su cui possono far leva i tassi sono invece i consumi, visto che oltre il 70% è finanziato da debito. La flessione dei consumi porta sicuramente ad un raffreddamento della crescita dei prezzi, ma si porta dietro anche una riduzione del PIL. Da capire se con i rialzi “programmati”, l’economia possa scivolare in stagflazione. La sensazione è che la FED si sia mossa troppo in ritardo rispetto ai dati che chiedevano interventi più rapidi e magari meno invasivi e possa ora creare movimenti disordinati soprattutto nel settore creditizio, dove la politica monetaria incontra l’economia reale.

Non cambia la nostra strategia. In questa fase riteniamo quindi che gli investitori dovrebbero guardare con cautela ad un allungamento della duration del portafoglio obbligazionario. Inoltre, considerato l’appiattimento relativo della curva, il rendimento incrementale per detenere scadenze più lunghe potrebbe non essere del tutto compensato dal più elevato rischio. Da non sottovalutare lo scenario geopolitico, non solo fra Russia ed Ucraina, ma anche fra la Cina e Taiwan (stranamente se ne parla poco), dove la guerra civile si è fermata solo formalmente con la firma del trattato di pace, ma i due paesi sono tecnicamente ancora in stato di guerra. Nel lungo periodo, continuiamo a preferire le azioni piuttosto che le obbligazioni.
La nostra convinzione continua ad essere quella di privilegiare l‘investimento in azioni, almeno fintanto che i tassi di interesse reale rimarranno negativi, privilegiando le aziende di quei settori che sono in grado di aumentare i prezzi finali di vendita ad un aumento dei costi complessivi di produzione.

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