L'inflazione corre, tutta colpa della supply chain

02/12/2021 11:30
L'inflazione corre, tutta colpa della supply chain

Quanto prima si sbloccheranno le strozzature nella supply chain, tanto minore sarà il rischio per l’economia.

A cura di Eric Winograd, Susan Hutman, Robert Hopper presso AllianceBernstein

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I problemi delle filiere sono alla base dell’impennata dei prezzi dei beni

Dopo anni di attesa, l’inflazione è tornata e, nonostante le rassicurazioni dei mesi scorsi, da temporanea si è trasformata in una lunga permanenza a causa della domanda sostenuta e delle struzzature lungo le filiere produttive. Eric Winograd, Susan Hutman, Robert Hopper di AllianceBernstein si domandano allora in che misura i problemi della supply chain minaccino le nostre prospettive economiche.

L’inflazione dei beni e quella dei servizi hanno seguito traiettorie separate per circa 10 anni; la componente dei beni ha evidenziato una tendenza al ribasso, mentre quella dei servizi è rimasta stabile intorno al 2,5%. Poi a metà 2020 l’inflazione dei beni ha registrato un’impennata a due cifra a causa di una combinazione di domanda inespressa e di interruzioni delle filiere produttive. “Un fatto del tutto inedito nella storia economica moderna - spiega il team - e che sta provocando un aumento significativo dell’inflazione complessiva e di fondo”.

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Come raffreddare allora l’inflazione? Servirebbe “risolvere i problemi della supply chain”, afferma il team, secondo cui le difficoltà lungo le filiere non possono essere imputabili esclusivamente alle carenze di manodopera dovuta allo scarso interesse dei lavoratori verso i loro impieghi precedenti.

Per misurare i problemi della supply chain, Winograd, Hutman e Hopper si affidano ai dati mensili dell'Institute for Supply Management sull’arretrato di ordini che, dopo il picco segnato a giugno, “rimane ancora al di sopra della norma a causa delle diffuse segnalazioni di difficoltà nell’approvvigionamento di parti e materiali, dell’aumento dei prezzi delle materie prime e dei problemi di trasporto, in aggiunta alla difficoltà di richiamare e trattenere i dipendenti”.

Districare gli sviluppi della supply chain

Gli esperti di AB hanno realizzato un indicatore aggregato (Aggregate Supply Chain Indicator) che utilizza dati giornalieri per misurare lo stato di salute della supply chain: in questo modo si possono rilevare cambiamenti inerenti alle filiere produttive più velocemente dei dati tradizionali.

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Il grafico mostra che, dopo un’impennata durante la pandemia, l’indicatore sembra essersi stabilizzato, seppure su livelli elevati. “Il contributo più rilevante all’impennata è giunto dai prezzi dei container per le spedizioni, che stanno diminuendo ma sono ancora piuttosto alti”, nota il team di AB.

I problemi della supply chain preoccupano i dirigenti

Un altro strumento utilizzato da AllianceBernstein per valutare le pressioni sulla supply chain è stato analizzare quanto spesso i dirigenti delle imprese parlano di problemi della supply chain e in che toni. Grazie a una soluzione basata sui big-data, AllianceBernstein ha analizzato 4.000 trimestrali sugli utili statunitensi dal 2010 ad oggi andando alla ricerca di menzioni riguardanti filiere, logistica, trasporto e spedizioni. Ebbene, è emerso che “nel 2020 e 2021 i dirigenti delle imprese hanno accennato a problemi della supply chain più spesso che in qualsiasi altro momento degli ultimi dieci anni, con toni decisamente più negativi” e da inizio anno questa tendenza è stata più marcata per i settori automotive, commercio al dettaglio, tecnologia, servizi di trasporto e materiali.

Stesso problema, ma cause diverse da un settore all’altro. I vincoli maggiori sono giunti dall’inadeguatezza dei fornitori per le carenze di componenti, che hanno impedito in molti casi alle imprese di far fronte alla ripresa della domanda con un’espansione dell’offerta. Per i settori del trasporto, ospitalità, ristorazione e tempo libero, la difficoltà maggiore è stata l’incapacità di trovare nuovo personale, insieme all’aumento del costo del lavoro. Infine, i problemi logistici (ad esempio l’incapacità di spostare le merci da un punto all’altro o un incremento sostanziale dei costi di trasporto) ha penalizzato i settori delle vendite al dettaglio, in particolare di generi alimentari.

Questi vincoli “continuano a offuscare le previsioni sui margini delle imprese, le cui stime sono diventate molto meno ottimistiche nel corso dell’anno”, ma secondo quanto afferma il team di AB “le prospettive sui margini post-COVID-19 sono comunque positive per la maggior parte dei settori, e le aspettative per il 2022 rimangono superiori a quelle del 2019 e 2020”.

La pandemia ha costretto quasi tutti i paesi del mondo a lockdown e chiusure che hanno fortemente vulnerato la catena mondiale degli approvvigionamenti con chiare ripercussioni sui margini aziendali e sull’inflazione. Tuttavia, almeno per ora, le famiglie dispongono di denaro a sufficienza per continuare a consumare nonostante i prezzi in aumento. “Questo significa - conclude il team - che i problemi delle filiere produttive non hanno inciso sensibilmente sulle nostre prospettive di crescita globale”. Serve comunque stare in allerta e individuare eventuali segnali di rifiuto da parte dei consumatori: se apparissero prima della risoluzione dei problemi delle filiere potrebbero far peggiorare le prospettive di crescita. “Ecco perché riteniamo estremamente importante monitorare la supply chain: quanto prima si sblocca, tanto minore sarà il rischio per l’economia”.

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