KKR nella giungla Tim, dove tutti sono usciti con le ossa rotte


Negli ultimi 20 anni l’andamento di Borsa di Telecom Italia è stato un calvario che ha decimato i fondi e le speranze di migliaia di piccoli investitori e ha costretto Marco Tronchetti Provera a vendere Pirelli. Solo Gnutti e Colaninno hanno guadagnato. Oggi Vivendi ha una minusvalenza di circa 2 miliardi.


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Negli ultimi cinque anni l’azione Telecom Italia ha perso il 56%.

Complimenti a KKR per il coraggio di buttarsi nell’avventura Tim (Telecom Italia), una giungla da cui negli ultimi 20 anni sono usciti tutti con le ossa rotte, da Marco Tronchetti Provera che ci ha rimesso il controllo della Pirelli, a Vincent Bolloré che fino a venerdì scorso aveva sul gobbo una misusvalenza potenziale di 2 miliardi di euro. Per non parlare delle decine di migliaia di piccoli investitori, anche loro vittime di un andamento di Borsa impietoso.

Negli ultimi cinque anni la performance di Telecom Italia, calcolata sul prezzo di chiusura di venerdì scorso, è stata -56%, il risultato peggiore fra le big europee del settore, dato che la francese Orange nello stesso periodo ha perso il 28%, la spagnola Telefonica è scesa del 45% e la tedesca Deutsche Telekom è l’unica con una performance positiva del 18%.

Il fatto è che negli ultimi 20 anni i conti di Telecom Italia sono stati zavorrati dalla montagna di debiti portati gentilmente in regalo da azionisti di controllo che hanno scaricato sui bilanci dell’azienda il costo dell’acquisizione.

Gli inventori del giochetto furono nel 1999 Emilio Gnutti e Roberto Colaninno, improvvidamente definiti dall’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema “capitani coraggiosi”. I due si gettarono come falchi su una Telecom Italia che era stata malamente privatizzata due anni prima da Romano Prodi e vagava senza meta e senza un azionariato di riferimento. Organizzarono una scalata da 30 miliardi di euro, di cui una ventina finirono a gravare su Telecom Italia. Dal 1999 al 2001 il debito netto di Telecom Italia salì da 8,1 miliardi a quasi 22 miliardi.

Nel 2001 l’azione Telecom Italia valeva oltre 12 euro.

Nonostante questo, nel 2001 l’azione Telecom Italia supera i 12 euro e Gnutti e Colaninno sono ben felici di lasciare il passo all’ambizioso Tronchetti Provera, che ottiene il controllo di Telecom comprando il 23% di Olivetti, cassaforte dove “i capitani” avevano inscatolato il 51% della società delle tlc. Tronchetti paga ogni azione Olivetti 4,175 euro a fronte di un prezzo di Borsa di 2,25 euro. Gnutti e Colaninno portano a casa una plusvalenza di 1,5 miliardi: saranno gli unici a guadagnare con Telecom Italia dopo la privatizzazione.

In questa occasione i fregati sono tutti gli azionisti di minoranza di Telecom Italia, che assistono al passaggio della quota di controllo senza che scatti l’Opa.

Tronchetti Provera fa il bis e anche lui fa delicatamente scivolare il costo dell’acquisizione sui bilanci di Telecom Italia che a fine 2006 si trova con un debito netto di 37,3 miliardi.

Nel frattempo il business delle tlc si rivela ben diverso da quella specie di bengodi che analisti e consulenti strategici disegnavano nel 2000. La concorrenza intacca i margini, Telecom Italia dovrebbe reagire facendo investimenti, ma non può perché il cash-flow viene destinato al debito e ai ricchi dividendi per gli azionisti. La società si impoverisce, le quotazioni scendono e Tronchetti è alle strette.

Nel marzo 2007 Walter Galbiati così scriveva su Repubblica: “Sebbene non sia con l'acqua alla gola, la necessità di vendere per Pirelli appare drammaticamente nel bilancio del gruppo presentato ieri agli investitori. Nel 2006 a livello di risultato netto la Bicocca ha perso oltre 1 miliardo di euro, proprio perché ha dovuto adeguare ai prezzi di mercato il valore della quota Telecom. Un titolo acquistato nel 2001 a 4,175 euro e che ieri quotava in Borsa circa 2,12 euro. Nel bilancio Pirelli, quel titolo ora vale 3 euro, una svalutazione che ha prodotto un buco da 2,1 miliardi”.

Nel 2007 Pirelli finalmente esce da Telecom Italia incassando 3,3 miliardi di euro. A comprare è una cordata di istituzioni finanziarie italiane (Mediobanca, Intesa Sanpaolo e Generali), più la spagnola Telefonica. La loro gestione si incentra sulla riduzione del debito che scende nel 2013 a 26,8 miliardi di euro.

Oggi il consensus degli analisti indica un target price di 0,42 euro.

Passano due anni ed ecco arrivare la francese Vivendi che nel 2015 diventa il primo azionista acquistando il 23,7% di Telecom Italia a 1,071 euro per azione. Nel bilancio 2020 del gruppo francese la quota è iscritta per un valore di 3,18 miliardi di euro, secondo il metodo del patrimonio netto, ma il valore di mercato, con le azioni Telecom a 0,377 euro, è di 1,37 miliardi.

Oggi dei 23 analisti censiti da Market Screener, solo sette consigliano di comprare le azioni e tre suggeriscono di vendere. La media dei target price è 0,42 euro, ben inferiore all’offerta di 0,505 di KKR.

Secondo il consensus degli analisti, Telecom Italia si appresta a chiudere il 2021 con un fatturato di 15,5 miliardi, un Ebit di 1,6 miliardi e un utile netto di circa 390 milioni. Il debito netto dovrebbe aggirarsi sui 22 miliardi di euro.

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