Le guerre commerciali provocano sempre conseguenze impreviste

Il sentiment commerciale anti americano sta aumentando in tutto il mondo con ricadute sui conti delle aziende che il dollaro debole potrebbe smorzare
A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM
Lettura finale del PIL QoQ del 1Q25 della Germania, che non dovrebbe risultate in linea con il +0.2% della lettura flash (-0.2% nel 4Q24).
IFO di maggio, pari a 87.5 punti, leggermente maggiore delle attese (87.4) e in crescita rispetto agli 86.9 punti di aprile. PMI di maggio dell’Europa tutti in calo e sotto la soglia dei 50 punti che, come noto indica recessione: Manifatturiero (48.4 punti contro 49.2 atteso e 49 di aprile), Servizi (48.9 punti contro 50.4 atteso e 50.1 di aprile) e Composito (49.5 punti contro 50.7 atteso e 50.4 di aprile). Economia Europea che, a causa soprattutto della debolezza delle economie della Germania e della Francia, fa sempre più fatica a crescere. E questo considerato che il NGeu è comunque operativo.
Diverso il tenore dei PMI degli Stati Uniti di maggio: Manifatturiero (52.3 punti contro 49.9 atteso e 50.2 di aprile) e Servizi (52.3 punti contro 51 atteso e 50.8 di aprile). Leggermente inferiori alle attese i sussidi settimanali alla disoccupazione (227k contro 230k attesi e 229k della scorsa settimana).
Orami lo abbiamo capito tutti: le guerre commerciali provocano sempre conseguenze impreviste, e questa volta non è diverso. A causa della linea dura degli Stati Uniti sul commercio, il sentiment dei consumatori globali verso gli USA in generale, e verso i beni e servizi statunitensi in particolare, è peggiorato. Anche con la recente moratori, il mondo non ha né dimenticato né perdonato l'America per il "Giorno della Liberazione". E risente ancora di numerosi punti di tensione geopolitica suscitati dall'Amministrazione Trump.
Ecco qualche esempio. I consumatori danesi stanno boicottando popolari alimenti e bevande statunitensi, a causa delle discussioni sull'acquisto della Groenlandia dalla Danimarca da parte degli USA. I consumatori canadesi non sono né acquirenti di beni statunitensi (come la birra) né di servizi (viaggiano meno negli USA) a causa del deterioramento delle relazioni USA-Canada. I consumatori messicani sono scontenti della linea dura dell'Amministrazione sull'immigrazione e sul commercio e hanno recentemente evitato alcuni prodotti statunitensi. I consumatori cinesi mostrano le stesse tendenze, acquistando meno marchi statunitensi a favore di alternative domestiche.
Nel frattempo, in tutta Europa, il sentimento anti-americano è aumentato insieme all'imposizione da parte degli USA di una tariffa reciproca del 20% sui beni europei. Secondo la BCE i dazi commerciali statunitensi stanno facendo riflettere i consumatori europei su ciò che mettono nel loro carrello della spesa. E questi sembrano sempre più disposti ad allontanarsi attivamente dai prodotti e servizi statunitensi. Secondo un recente rapporto di Bloomberg, in Germania e in Italia, gli sviluppatori hanno creato app che esaminano prodotti alimentari e di abbigliamento per le persone che vogliono assicurarsi di non acquistare prodotti americani.
Dato tutto quanto sopra, una delle domande chiave che si fanno gli investitori è questa: considerando la crescente reazione globale contro i beni e i servizi statunitensi, quanto questo contraccolpo influenzerà gli utili aziendali statunitensi nei prossimi trimestri? Il nazionalismo dei brand - per cui le preferenze dei consumatori, la fedeltà aziendale e le politiche governative favoriscono i marchi nazionali rispetto a quelli stranieri - è in aumento in tutto il mondo, quindi come potrebbe questa dinamica influenzare i leader dei brand statunitensi nei prossimi mesi? La nostra risposta breve è non molto o in modo materiale, certo supponendo che le tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e il resto del mondo si attenuino nei prossimi mesi.
La seconda domanda è se si sono motivi per un cauto ottimismo. La nostra risposta è si. I brand sono come fossati, non sono facili da superare e forniscono alle aziende un distinto vantaggio competitivo nel lungo periodo. I marchi forti aiutano le aziende a navigare in forti venti contrari (p.e. tensioni geopolitiche) e sono relativamente persistenti per natura, data la fedeltà radicata nei consumatori. Detto questo, i brand statunitensi sono anche obiettivi facili e visibili per i consumatori stranieri insoddisfatti delle politiche commerciali e/o estere degli Stati Uniti. Per esempio, durante la prima Amministrazione Trump, ci sono stati boicottaggi spontanei di beni statunitensi in Messico e Canada a causa delle relazioni tese tra gli Stati Uniti e i suoi partner nordamericani. Jeans e whiskey bourbon sono diventati obiettivi anti-USA nell'Unione Europea, mentre le vendite statunitensi di automobili, prodotti agricoli e tecnologia hanno tutte affrontato la resistenza dei consumatori in Cina. Anche l'Amministrazione Obama non è stata esente da boicottaggi stranieri, con l'assassinio di Osama bin Laden che ha suscitato sentimenti anti-americani in Pakistan e in altre parti del mondo musulmano. Ma anche durante la guerra USA-Iraq all'inizio di questo secolo, le aziende americane hanno affrontato un'ondata di sentimento anti-americano diffuso in Medio Oriente, Europa e parti dell'Asia.
La conclusione è che le tensioni geopolitiche possono e spesso provocano episodi di nazionalismo dei brand e comportano conseguenze a livello di mercato per le aziende. Ma nella maggior parte dei casi, gli effetti non persistono, l'impatto sui profitti aziendali non è duraturo o di natura strutturale.
Quindi, mentre gli hashtag #BoycottUSA sono diventati popolari in Europa e in altre parti del mondo, ciò che i consumatori dicono degli Stati Uniti rispetto a ciò che fanno a riguardo sono spesso due cose diverse. Di fatto esiste un divario tra la posizione che le persone hanno in linea di principio e ciò che fanno in pratica.
La dinamica vale un po’ in tutto il mondo. Durante le conference call sui risultati del primo trimestre, molte aziende hanno parlato del protezionismo statunitense e del conseguente rallentamento delle vendite nei mercati occidentali, ma poco in altri mercati. Nel frattempo, le aziende statunitensi non stanno comunque a guardare mentre il sentiment estero si inasprisce verso i prodotti statunitensi. Molti dei principali brand americani sono radicati nei paesi ospitanti e sono stati impegnati a fortificare e riposizionare i loro marchi per enfatizzare il coinvolgimento locale piuttosto che la loro identità statunitense. Questo dovrebbe sostenere la crescita degli utili nel medio termine.
Non dimentichiamo che un altro impulso agli utili delle aziende potrebbe arrivare dal dollaro statunitense più debole, che è diminuito del 5% quest'anno su base ponderata per il commercio. Un dollaro più debole significa che gli utili delle affiliate estere statunitensi in yen, euro o sterline valgono di più quando vengono riconvertiti in dollari statunitensi. E questo potrebbe tradursi in un importante incremento degli utili quest'anno per alcune delle più grandi aziende americane e dei principali leader dei brand globali
Alla fine, sì, il nazionalismo dei brand globali è in aumento. Il mondo è turbato e frustrato dalle politiche commerciali ed estere dell'Amministrazione Trump, mettendo molti dei principali leader dei brand globali statunitensi nel mirino del crescente sentimento anti-americano tra i consumatori stranieri. Tuttavia, se la storia può essere una guida, anche questo passerà, supponendo naturalmente che le tensioni commerciali degli Stati Uniti con il resto del mondo si attenuino nei prossimi mesi.
Per quanto riguarda il posizionamento del portafoglio, continuiamo a preferire le aziende a grande capitalizzazione rispetto a quelle a piccola capitalizzazione, poiché le più grandi multinazionali statunitensi rimangono meglio attrezzate per navigare nella volatilità delle politiche commerciali e preservare i margini durante i periodi di incertezza.
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