Mercati emergenti: le prospettive nel lungo periodo


Più che un arco temporale più o meno definibile, il lungo termine è un atteggiamento della mente, la prospettiva che ciascun investitore adotta nelle scelte di portafoglio. In ottica di lungo termine, riconsideriamo i mercati emergenti.

A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM


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Pazienza e perseveranza, le colonne portanti degli investimenti a lungo termine

“Se non sei a tuo agio nel mantenere in portafoglio un’azione per dieci anni non dovresti tenerla neppure per dieci minuti”, afferma il CEO di Berkshire Hathaway Warren Buffett, che ha fatto del lungo termine il suo stile di investimento.

Ma quanto è lungo il lungo termine? La letteratura finanziaria ha definito l’investitore paziente “colui che non è mai costretto a vendere sulla spinta delle prevalenti condizioni del mercato”, oppure “colui che è meno preoccupato dei cambiamenti temporanei dei prezzi ed è invece concentrato sulla crescita del reddito e sull’apprezzamento del capitale nel lungo periodo”.

Jeremy Siegel, professore di finanza presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania, dimostra, dati alla mano, che il ciclo della superiorità storica delle azioni si sviluppa in archi di vent’anni: in un periodo ancora più lungo, i cinquant’anni dal 1949 al 2000, la performance media annua dell’indice americano è stata del 13,1%, quella del Treasury di appena il 5,8%.

Uno studio del 2014 mette a fuoco almeno tre grandi vantaggi degli investitori di lungo termine rispetto ai trader:

  1. la capacità di assumere posizioni per le quali i tempi della remunerazione sono incerti;
  2. la capacità di sfruttare le opportunità generate dai comportamenti degli investitori di breve termine;
  3. la libertà di investire in attività poco liquide.

E “se il lungo termine è una condizione mentale, le virtù della pazienza e della perseveranza ne sono il corollario”, scrive Carlo Benetti, Market Specialist di GAM, che nota come oggiorno “la pazienza è forse tra le virtù meno amate, spesso associata alla lentezza dello scorrere del tempo, alla noia”.

Riconsiderare i mercati emergenti

È in questo contesto del lungo termine, fatto di attesa e fermezza nel perseguire i propri scopi, che si colloca la porzione di portafoglio esposta alle economie emergenti. “All’indomani della crisi del 2008 i paesi emergenti dimostrarono una inattesa capacità di reazione, primo segnale delle profonde trasformazioni strutturali che erano già in corso”, spiega Benetti, che sottolinea come anche nel caso dello shock della pandemia, “le economie emergenti hanno prima sofferto e poi beneficiato delle formidabili misure di supporto all’economia messe in atto da governi e banche centrali delle economie avanzate”.

Tuttavia, le economie emergenti non sono ancora uscite dalla fase critica e restano vulnerabili a una serie di fattori, quali la normalizzazione delle politiche monetarie, il rafforzamento del dollaro, il costo dell’energia, il riemergere delle tensioni Cina-Stati Uniti.

I paesi emergenti, includendo un universo molto esteso, hanno reagito in modo diverso alla pandemia: dalla politica del “bisogna convivere con il Covid” dei paesi dell’America Latina all’obiettivo di eliminazione totale del virus perseguito da Cina e Australia: posizioni definite estreme e fuori portata dal Market Specialist di GAM. Eppure, nonostante le circostanze ancora svantaggiose, “gli investitori non hanno smarrito il favore verso le economie emergenti, dopo il drammatico marzo 2020, in tutti i mesi eccetto uno si sono registrati flussi netti positivi per complessivi 790 miliardi di dollari”.

Come cambia l’indice MSCI Emerging Markets

Gli investitori, sia istituzionali che retail, hanno ormai compreso la forza dei cambiamenti nelle economie emergenti, specialmente nell’area asiatica. “Venti anni fa - nota Benetti - nell’indice MSCI Emerging Markets era preponderante la presenza dell’Europa dell’Est, del Medio Oriente e dell’America Latina”, mentre “l’Asia era rappresentata per meno della metà, grossomodo il 40%”. Sono bastati due decenni per capovolgere la situazione, dato che oggi le borse asiatiche rappresentano la gran parte della capitalizzazione dell’indice, con la sola Cina che conta per il 40%, mentre l’America Latina è scivolata a circa il 20%.

Ad essere cambiata è anche la rappresentazione settoriale: meno importanza per materie prime, maggiore esposizione a tecnologia e società legate alla rivoluzione digitale, oltre al settore finanziario. Investire nei mercati emergenti significa dunque esporsi alle prospettive della tecnologia e del progresso digitale, dato che “l’indice MSCI Emerging Markets ha una esposizione più che doppia al settore tecnologico rispetto all’indice della borsa di Tokyo e tripla rispetto alle borse europee”, sottolinea Benetti.

Ma attenzione, perché quando si tratta di risparmi, l’investitore di lungo termine oltre che paziente e perseverante, deve essere pragmatico: è importante saper cosa fare sulla scorta di un buon corredo di informazioni e di alternative ben ponderate, restando sufficientemente sereni nella consapevolezza di aver operato nel portafoglio con saggezza e coerenza. “Non sappiamo cosa riservi il futuro, sappiamo però che l’atteggiamento pragmatico nella costruzione del portafoglio è sempre più efficiente dell’approccio dogmatico”, conclude l’esperto di GAM.

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