Mps, la cordata italiana arranca. Cessione quota Mef dopo la trimestrale?

La vendita della terza tranche detenuta dal Tesoro potrebbe partire dopo la diffusione dei risultati del terzo trimestre della banca senese alla luce dei tanti “no” di grandi investitori all’ipotesi di entrata nel capitale.
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Il Mef e la cessione della quota in Mps
Poco appeal da Siena per gli investitori e la cordata italiana tanto cara al Governo italiano sembrerebbe sul punto di evaporare, spingendo l’esecutivo a proseguire sulla via della vendita della sua quota in Banca Monte dei Paschi di Siena, attualmente al 26,7%, direttamente sul mercato.
Ci sarebbe già una data per terza cessione, almeno secondo indiscrezioni del Corriere della Sera, e sarebbe successiva all’8 novembre, giorno in cui la banca comunicherà i suoi risultati trimestrali. A tal scopo, il Mef avrebbe intensificato i contatti con diversi investitori per cercare di realizzare così il nocciolo duro dalla matrice italiana già ipotizzata nei mesi scorsi.
L’obiettivo sarebbe quello di scendere sotto il 20% del capitale senese, una quota che non darebbe problemi all'Europa, e che comporterebbe una ri-armonizzazione della governance, ma garantirebbe la presenza solida dell'azionista pubblico per eventualmente governare poi un'eventuale aggregazione per la nascita di un nuovo polo del credito. La vendita del 10% frutterebbe allo Stato circa 640 milioni a valori correnti.
Intanto, a Piazza Affari il titolo prova a recuperare le vendite della mattina riducendo allo 0,70% la flessione della sua quotazione, tornando a 5,07 euro dopo aver toccato un minimo intraday di 5,002 euro.
Marchi arranca
Sabato un articolo del Sole 24 Ore raccontava delle difficoltà del progetto di cordata tutta italiana guidata da Banca Finint di Enrico Marchi per rilevare parte della quota del Mef. L’imprenditore, numero uno di Banca Finint e Save, starebbe sondando alcuni investitori per cercare di raccogliere circa 800 milioni di euro per il 10% di Mps, divisa in quote tra l’1 e il 2%.
Tra gli imprenditori interpellati ci sarebbe Gianluigi Aponte, fondatore e proprietario di Msc, il quale però si sarebbe detto non interessato all’operazione, in quanto molto lontana dalla filosofia di investimento della sua società, orientata a rilevare quote di controllo e non pacchetti finanziari di minoranza. Msc, contattata da Il Sole 24 Ore, non ha rilasciato commenti.
Arrivano altri “no”
Quello di Aponte non sarebbe l’unico rifiuto arrivato in queste ore e a dirsi non interessati ad acquisire quote sono state anche banche e Fondazioni. Da Unipol è lo stesso Presidente, Carlo Cimbri, il quale ha risposto negativamente all’ipotesi parlando a margine della cerimonia al Quirinale dove è stato insignito del premio come Cavaliere del Lavoro, limitandosi ad aggiungere "ho già detto tutto".
Un niet è arrivato anche dalla Fondazione Cariplo, al tempo stessa ancora convinta di mantenere la sua attuale partecipazione in Mps risalente all’aumento di capitale del 2022. Partecipazione nella banca, pari a 10 milioni per Cariplo, che "ha dato soddisfazioni" spiegava il presidente della Fondazione, Giovanni Azzone, con riferimento al ritorno del dividendo da parte della banca guidata da Luigi Lovaglio, prospettiva sicuramente non prevista dalla decina di Fondazioni bancarie che partecipò alla ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, operazione che rischiò di saltare nel novembre di due anni fa.
“La nostra conferitaria si chiama UniCredit, noi dobbiamo rimanere fermi nel sostenerla, e non vedo perché si debba andare ad acquistare direttamente azioni di un'altra banca”. Così il presidente della Fondazione Cariverona, Bruno Giordano, in merito al possibile coinvolgimento dell'ente scaligero nell’operazione, che aggiungeva: “Se Unicredit, come ha fatto in passato, decide di valutare positivamente o negativamente un'operazione con Mps, noi semplicemente ci atteniamo a quando deciderà la banca milanese”.
Scenario stand alone
Sotto il diluvio di risposte negative, “lo scenario stand alone - con lo Stato che rimane primo azionista - si conferma a nostro avviso come quello più probabile, non solo in un’ottica di breve termine”, scrivono gli analisti di Equita Sim, che sul titolo Mps mantengono la raccomandazione ‘hold’ con target price di 6 euro.
L’alleggerimento della presenza dello Stato consentirebbe la caduta definitiva dei vincoli imposti da Bruxelles dopo l'aumento di capitale monstre del 2017 e quello da 2,5 miliardi del 2022, scrive MF. Tra le ipotesi diffuse dai media c’è il via il tetto agli stipendi, cedole più alte e luce verde a possibili M&A, visti i due miliardi di extra capitale che potrebbe impiegare anche per operazioni straordinarie.
Secondo gli esperti di Intesa Sanpaolo, questo eccesso di capitale permette “flessibilità strategica per migliorare la base di ricavi o potrebbe essere tenuto per facilitare una potenziale integrazione con un altro gruppo bancario”. Siena, proseguono gli analisti della banca che hanno avviato la copertura sul titolo con prezzo obiettivo a 6,4 euro, "con uno scenario dei tassi di interesse più normalizzato e grazie ai significativi miglioramenti già raggiunti nella qualità dell'attivo e nell'efficienza, ora è capace di generare una redditività prossima alla doppia cifra, quando aggiustata per l'eccesso di capitale, e di remunerare gli azionisti al top delle banche europee". Insomma, Siena resta tra le banche più appetibili nonostante i tanti “no” arrivati, almeno tra quelli ipotizzati e pronunciati in occasioni pubbliche.
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