Non sempre le politiche neo-liberali sono le ricette migliori (J. Stiglitz)


Dopo le parole di Powell gli analisti sono convinti che la Banca centrale manterrà un approccio aggressivo contro l’inflazione, whatever it takes.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso CFO Sim


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Nessun dato significativo in uscita oggi. Non si può certo dire che i mercati abbiano apprezzato le parole di Powell. Dopo diversi giorni di attesa, Powell ha chiarito nuovamente che la Banca centrale userà in modo vigoroso tutti gli strumenti a sua disposizione per stroncare l’inflazione, anche se ci saranno alcune sofferenze per l’economia. In altre parole, ha messo chiaramene in conto una possibile recessione (non che gli analisti non se ne fossero già accorti). I mercati, messi di fronte all’aggressività della FED, non hanno potuto che prenderne atto accelerando le perdite sul finale di seduta, eurozona compresa (lo spread dell’Italia ha raggiunto 230 bp). Se l’inflazione core di luglio in leggera contrazione aveva lasciato sperare in una FED meno falco a settembre, dopo le parole di Powell gli analisti sono convinti che la Banca centrale invece manterrà un approccio aggressivo contro l’inflazione, whatever it takes.

Nel corso dell’ultimo meeting di luglio i membri del FOMC avevano convenuto sull’opportunità di continuare ad aumentare i tassi, anche se avevano segnalato una maggiore cautela sul ritmo dei futuri rialzi: ciò significa che non è ancora stata presa la decisione se aumentare di 50 bp o 75 bb il prossimo 21 settembre, nonostante ci sia ampio consenso sul fatto che i tassi dovrebbero raggiungere livelli tali da rallentare la crescita dell'economia per frenare investimenti, spese e assunzioni. L’attuale livello dei tassi è in una zona che gli economisti si aspettano non accelererebbe nè rallenterebbe la crescita quando questa è ben bilanciata, definibile zona neutra. Chiaro che però se l’inflazione è così elevata e il mercato del lavoro è così stretto, la banca centrale non può fermarsi alla zona neutra, ma occorre una stretta maggiore fintanto che l’inflazione non stazioni ad un livello ritenuto corretto (2% secondo la FED), portando nel frattempo il sistema economico in recessione (ovvero una situazione non bilanciata).

Sullo scenario (più quello Europeo che USA) continua a pesare anche la crescita del prezzo del gas che ha fatto segnare la scorsa settimana un nuovo record a 331 euro (348 il contratto con consegna a novembre), che sicuramente non lascia ben sperare per una flessione dell’inflazione. Il problema, come noto, è che sulla crescita dei prezzi dell’energia (inflazione da costi), le banche centrali hanno le armi spuntate. La speranza è che il prezzo dell’energia scenda per effetto della minore domanda indotta dalla recessione, anche se con l’inverno alle porte e una guerra in corso, l’elasticità del prezzo alla domanda potrebbe cambiare radicalmente rispetto al passato.

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