Oracle: dopo l’euforia e il crollo, adesso deve convincere Wall Street

Oracle: dopo l’euforia e il crollo, adesso deve convincere Wall Street

Dopo il balzo del 36% a settembre e il successivo tonfo, la trimestrale del 10 dicembre diventa decisiva. Gli analisti vedono un potenziale rialzo del 55% e scommettono sull’AI, ma l’indebitamento cresce e il nodo OpenAI resta irrisolto

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Risultati in arrivo il 10 dicembre

Oracle torna sotto i riflettori. Mercoledì 10 dicembre, a mercati chiusi, la società di Larry Ellison presenterà i risultati del secondo trimestre del suo esercizio fiscale (la società chiude il bilancio a maggio). L’attesa è carica di nervosismo, ma anche di potenzialità: secondo il consenso degli analisti, il titolo potrebbe valere 332 dollari, ben il 55% in più rispetto ai 214,33 dollari ai quali scambia oggi sul Nasdaq.

Un divario che racconta una storia recente sorprendente: il 10 settembre, all’annuncio dei risultati del primo trimestre, il titolo balzò del 36% in una sola seduta, toccando il massimo storico di 328,33 dollari. Poi la magia svanì. Quando si scoprì che il boom dei nuovi ordini era in larga parte legato a un unico cliente, OpenAI, la corsa si trasformò in timore. Il mercato iniziò a dubitare della capacità del cliente di pagare tutti gli impegni contrattuali, e da quel momento il titolo ha perso il 34%. È da quel punto che ripartono le attese per la comunicazione in arrivo fra pochi giorni.

L’ottimismo degli analisti

Gli endorsement non mancano. Wells Fargo ha recentemente avviato la copertura con raccomandazione “Buy”, seguita da Citigroup, anch’essa positiva. Su 44 analisti che seguono il titolo, 31 consigliano l’acquisto, mentre 10 restano neutrali. L’ottimismo degli esperti poggia su un’unica scommessa: gli investimenti sull’intelligenza artificiale non si limiteranno a OpenAI, ma apriranno a Oracle una nuova era industriale.

Alla vigilia dei conti: cosa si aspetta il mercato

Il mercato si prepara a numeri solidi. Il consensus vede ricavi in crescita del 15% anno su anno, a 16,2 miliardi di dollari, spinti dalla divisione cloud infrastrutturale, oggi il baricentro strategico del gruppo. Nel trimestre precedente, questa attività era cresciuta del +55%, e gli analisti scommettono su una progressione simile anche nella nuova trimestrale.

Gli utili attesi ammontano a 1,64 dollari per azione (+12%). Il margine cresce più lentamente dei ricavi, perché l’AI comporta investimenti massicci, ammortamenti onerosi e margini inizialmente più bassi. È il prezzo dell’espansione, una sorta di “fame di infrastrutture” che il mercato, almeno per ora, accetta come inevitabile.

La grande scommessa del debito

Questa fame ha un costo. Secondo le stime di consenso, l’esercizio 2025/2026 si chiuderà con un indebitamento netto di 97 miliardi di dollari, in crescita del 6,8% rispetto all’anno precedente. Il leverage rimarrà stabile a 2,7 volte l’Ebitda, segnale che il debito, pur elevato, risulta sostenibile grazie alla crescita dei margini.

Nel 2027, però, la posta si alzerà: stando alle stime, il debito potrebbe salire a 124 miliardi. Eppure, ancora una volta, il rapporto con l’Ebitda resterebbe inchiodato a 2,7 volte. Oracle si indebita, ma nella stessa misura in cui cresce. È un equilibrio delicato, che funzionerà solo se i nuovi contratti genereranno cassa reale e non solo titoli da prima pagina.

La prova dei conti: AI sì, ma senza OpenAI

È qui che il trimestre di questa settimana assume un valore particolare. Il contratto con OpenAI non inciderà ancora sui numeri, e proprio per questo Oracle ha la possibilità di dimostrare che la domanda di servizi AI esiste anche senza i giganti dell’hype. La vera partita è con le aziende tradizionali, quelle che stanno digitalizzando processi e database per entrare nell’era dell’intelligenza artificiale. Se Oracle mostrerà di crescere anche senza OpenAI, molti dubbi sul titolo potrebbero evaporare.

E a quel punto tornerebbero in campo anche gli investitori tecnici. Dopo aver difeso l’area dei 198 dollari, Oracle è risalita sopra la media mobile a 200 giorni (attorno a 211). Finché gli utili non deluderanno, il mercato potrebbe trovare nella debolezza un’interessante occasione d’ingresso.

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