Per far fronte all'aumento del prezzo del petrolio, consiglio ai francesi di andare in bicicletta (C. Lagarde).


L’economia Europea e quella USA stanno scivolando verso la recessione, perché allora il petrolio continua ad essere nell’intorno dei 90 dollari al barile?

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso CFO Sim


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Produzione industriale MoM di luglio della Germania in uscita oggi alle 8:00 (stima -0,5 contro +0,4 di giugno), PIL dell’Europa YoY del 2Q22 alle 11:00 (stima +3,9% contro + 5,4% del 2Q21). Ieri i dati USA sono risultati mediamente più bassi delle attese, tranne l’ISM manifatturiero, il cui dato è stato più elevato della stima: 56,9 punti contro 55,1 stimato.

Le attese dei mercati sono ovviamente concentrate sulla mossa delle BCE che, salvo sorprese dell’ultimo minuto, è attesa aumentare i tassi di 75 bp l’8 settembre, facendo così scivolare sempre più la l’Europa verso la recessione.

Se l’economia Europea e quella USA scivolano verso la recessione, perché il petrolio continua ad essere nell’intorno dei 90 dollari al barile? E’ la classica domanda da un milione di dollari. Il forte e veloce deterioramento delle stime macroeconomiche amplificate dalla guerra e il rialzo dei tassi stanno cambiando le stime sulla domanda di petrolio per l’ultimo trimestre dell’anno e probabilmente per tutto il 2023, nonostante la domanda estiva, guidata principalmente dal settore aereo, ha consentito un aumento della produzione di 3,6 milioni di barili/mese fino alla fine di agosto. A partire dell’autunno tuttavia gli effetti del rallentamento dell’economia globale dovrebbero farsi più intensi e infatti le aspettative medie sulla produzione per l’intero 2022 non raggiungono ancora i livelli pre-pandemici di oltre 100 milioni di barili, ma sono ferme a circa 98 milioni di barili. Lo scorso venerdì l’OPEC ha tagliato la produzione di 100.000 barili al giorno, che sembrano tanti ma in realtà è lo 0,1% della domanda mondiale. Niente. In realtà l’OPEC+ (che somma alcuni Paesi che non fanno parte dell’OPEC, tra cui la Russia) il 4 agosto ha deciso di produrre 100.000 barili al giorno in più. Quindi alla fine il saldo è sempre zero.

Fare delle previsioni di prezzi affidabili a breve termine nella situazione attuale non è compito facile, viste le numerose variabili in campo (tanto per fare un esempio, le sanzioni europee alle importazioni di greggio russo saranno rispettate da tutti? ). Sono tuttavia sempre maggiori i segnali che i prezzi possano subire un deciso ridimensionamento nel corso dell’anno. Infatti, le aspettative pessimistiche sulla crescita economica in molti paesi (non solo europei) fa pensare ad una diminuzione della domanda di petrolio. Chiaro che molto della variazione del prezzo dipenderà anche dall’offerta. Su questo fronte occorre mettere in conto quanta parte della produzione di greggio Urals sarà assorbita dalla Cina (a maggio l’import di petrolio Russo ha superato quello dell’Arabia Saudita) e se nel medio periodo l’effettivo aumento delle quote produttive dell’OPEC siano in grado di colmare il gap tra domanda e offerta. Se, come già annunciato, quest’ultima dovesse aumentare la produzione in modo da colmare il deficit russo, allora domanda e offerta potrebbero incontrarsi a prezzi minori. L’aumentata produzione degli USA potrebbe aiutare ad aumentare le scorte e mitigare ulteriormente la salita dei prezzi, che come sappiamo è il principale driver delle pressioni inflazionistiche. Da non sottovalutare inoltre che dopo ben 16 mesi di negoziati, USA e IRAN sembrano vicine ad un accordo sul nucleare che consentirebbe all’IRAN di riprendere l’export di petrolio. Salvo imprevisti, le motivazioni per prevedere una flessione del prezzo, superano in questo momento quelle che vedono l’oro nero salire ai massimi di periodo.

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