Pessimismo stime FMI: quella per il 2023 sarà la crescita più debole in oltre 20 anni

07/12/2022 08:15
Pessimismo stime FMI: quella per il 2023 sarà la crescita più debole in oltre 20 anni

Nel corso del 2022 il FMI ha rivisto ben quattro volte al ribasso le stime di crescita per il 2022 e il 2023 che ora si fermano al 3,2% e 2,7% rispettivamente.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM

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Produzione industriale della Germania di ottobre in uscita oggi alle 8:00 (stima -0,6% contro +0,6% di settembre) mentre alle 11:00 è il turno della revisione del PIL del 3Q22 dell’Europa, che dovrebbe essere confermato al +0.8% (+0,2% nel 2Q22).

Nel corso del 2022 il FMI ha rivisto ben quattro volte al ribasso le stime di crescita per il 2022 e il 2023 che ora si fermano al 3,2% e 2,7% rispettivamente. E quella per il 2023 sarebbe la crescita più debole in oltre 20 anni, eccetto ovviamente i periodi di recessione causati dalla crisi finanziaria e dalla pandemia da coronavirus.

Il FMI ha inoltre peggiorato le prospettive per l’economia globale quale effetto degli sforzi per gestire l’inflazione che potrebbero amplificare i danni già causati dalla guerra in Ucraina e dal rallentamento della Cina. Le banche centrali di tutto il mondo stanno infatti alzando i tassi di interesse per fermare l’aumento dei prezzi, ma per farlo devono fare in modo che la crescita dell’economia rallenti. E questo è tanto più vero per l’Europa, dove la BCE fatica a ridurre l’inflazione che, come sappiamo, è per una buona metà determinata da costi.

Circa un terzo dell’economia mondiale vedrà una crescita negativa nei primi due trimestri del 2023. Ma anche quando ci sarà una ripresa, continua il FMI, sembrerà una recessione a causa della contrazione dei redditi reali e dell’aumento dei prezzi. La guerra all’inflazione senza quartiere sarà sicuramente vinta, ma a patto di portare una buona parte del mondo in recessione.

Non sappiamo se sia meglio accettare un’inflazione strisciante e che gradualmente possa venire assorbita dalla successiva crescita economica, oppure stroncare l’inflazione a tutti i costi portando il sistema economico dentro una lunga e profonda recessione, senza la garanzia che la successiva ripresa possa essere esente dalla rapida ripresa dei prezzi.

Il costo di un errore nella politica monetaria sarebbe enorme: una politica monetaria poco stringente consentirebbe all’inflazione di mettere le radici e questo richiederebbe in futuro tassi di interesse molto più elevati, causando enormi danni sulla crescita e alle persone. Ma dall’altra parte una politica monetaria costantemente restrittiva spingerebbe molte economie in una recessione prolungata.

Nel frattempo, tra la pandemia, l’alta inflazione, l’aumento dei tassi, la guerra in Ucraina e i disastri climatici, sono stati bruciati quasi 4.000 miliardi di dollari di ricchezza globale (pari al PIL della Germania). È la misura della crescita potenziale che si sarebbe potuto ottenere entro il 2026, in base alle proiezioni fatte in assenza delle molteplici crisi, e che invece non potrà essere conseguita.

Per un motivo o per l’altro, tutte le maggiori economie del mondo stanno rallentando: l’Eurozona è fortemente condizionata dalla riduzione delle forniture di gas dalla Russia, la Cina è penalizzata dalla pandemia e dalla profonda flessione nel mercato immobiliare, negli USA l’inflazione riduce il reddito disponibile e i consumi. E in tutto il mondo il rialzo dei tassi di interesse frena gli investimenti.

Ecco che allora interviene in aiuto la politica fiscale che deve proteggere i più vulnerabili, ma allo stesso, non aggiungere carburante all’inflazione. E’ importante quindi evitare misure di sostegno indiscriminate, perché potrebbero diventare una spinta alla domanda che renderebbe ancora più difficile combattere l’inflazione. In altre parole, quando le Banche centrali adottano una politica monetaria che restrittiva, i Governi non possono averne una espansiva.

Nella situazione di incertezza, ribadiamo che gli investimenti devono guardare a quelle imprese che sono in grado di aumentare i prezzi ad un aumento dei costi (che producono quindi cassa), sono leader nel proprio settore di riferimento e hanno una redditività mediamente più elevata e sostenibile rispetto ai competitors.

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