Petrolio senza freni ma la fine della corsa potrebbe essere ancora lontana secondo gli analisti

Petrolio senza freni ma la fine della corsa potrebbe essere ancora lontana secondo gli analisti

I prezzi dell’oro nero salgono fino a sfiorare i livelli record toccati nel 2008 quando la Georgia finì nel mirino della Russia e molti analisti già parlano della possibilità di raggiungere quota 200 dollari.

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Petrolio senza freni

Prezzi del greggio ancora in forte rialzo in queste ore, dopo le dichiarazioni provenienti dagli Stati Uniti di un possibile blocco del petrolio russo.

Il Brent arriva a sfiorare i 140 dollari al barile, livello molto vicino al record storico del 2008, quando la domanda cinese aveva spinto il petrolio del mare del Nord fino ai 147 dollari. Nella mattinata di oggi, il Brent viene scambiato intorno i 127 dollari, mentre i future del WTI quotano 124 dollari al barile.

“E' accaparramento”, sottolinea l'analista di RBC Capital Markets Michael Tran, facendo notare un aumento dell'83% su base settimanale dei tassi di locazione per i grandi trasportatori di petrolio sulla rotta dal Golfo Persico all'Asia come ulteriore prova del fatto che gli acquirenti stanno pagando tutto ciò che devono per fare scorta nel caso in cui le esportazioni russe si fermino.

In crescita anche le altre materie prime, con il gas ancora protagonista di un rally dell’11,7% a 215 euro per megawattora dopo aver superato i 220 euro, mentre l’oro rimane sempre più bene rifugio a quota 2000 dollari l’oncia.

Petrolio russo nel mirino

Il nuovo scatto del petrolio arrivava dopo le parole del Segretario di Stato USA, Antony Blinken, circa la possibilità di blocco del petrolio proveniente dalla Russia, invitato permanente alle riunioni dell’Opec.

Gli Stati Uniti e i loro partner europei “stanno discutendo di un divieto alle importazioni di petrolio russo”, rivelava Blinken.

Un’analisi pubblicata dal Financial Times valutava l’impatto di un ipotetico bando del petrolio dalla Russia sulle forniture globali, calcolato al 5% delle forniture globali di greggio e al 10% dei prodotti raffinati.

Anche nel caso in cui non si arrivasse ad un embargo, le sanzioni già decise contro l’invasore dell’Ucraina stanno già determinando una fuga delle imprese, degli investimenti e delle tecnologie che può colpire la produzione russa di petrolio.

Secondo il quotidiano americano, inoltre, le nuove impennate dell’oro nero potrebbero continuare, ricordando come il precedente picco dei prezzi del petrolio nel 2008 arrivava alla vigilia dell’invasione della Georgia e che anche allora i paesi occidentali premevano sull'Arabia Saudita, primo produttore globale e dell'Opec, per aumentare l'offerta e cercare di contenere le quotazioni.

Le previsioni degli analisti

Nel caso in cui si dovesse passare dalle parole ai fatti, “probabilmente si assisterà ad una riduzione drastica delle esportazioni di petrolio russo, a causa della minaccia di sanzioni aggiuntive o di auto-limitazioni delle società”, spiegano da Goldman Sachs, citando il contraccolpo dell'opinione pubblica dopo che la Shell ha acquistato venerdì un carico di greggio dagli Urali. “Non ci sono nemmeno segni di acquisti cinesi di greggio russo”, ha aggiunto GS.

“Se l’Occidente dovesse bloccare le esportazioni degli energetici russi ci sarebbe uno shock per i mercati mondiali”, ha dichiarato a Reuters Ethan Harris, capo economista di BofA.

La perdita di 5 milioni di barili dalla Russia “potrebbe vedere il prezzo volare a 200 dollari al barile e rallentare la crescita mondiale”, ha aggiunto.

Le banche centrali

Nel corso di questa settimana, inoltre, è prevista la riunione della Banca centrale europea (BCE) e il consiglio dovrà affrontare la questione della pressione dei prezzi delle materie prime sull’economia.

Secondo una nota di Goldman Sachs, uno shock sostenuto di 20 dollari di aumento del petrolio abbasserà la crescita economica reale nella zona euro dello 0,6% e dello 0,3% negli Stati Uniti.

“Visto che il rischio di stagflazione è molto reale, la BCE probabilmente manterrà una flessibilità massima con un programma di acquisti da 20 miliardi di euro nel secondo trimestre e forse anche oltre, effettivamente rimandando il momento degli aumenti dei tassi”, ha dichiarato alla Reuters Tapas Strickland, economista presso la NAB.

“Le previsioni di indici al consumo maggiori, tuttavia, significano che degli aumenti dei tassi saranno presto necessari”, avverte l’economista.

Focus anche sulla Federal Reserve: “l’aumento dei prezzi del petrolio potrebbe rappresentare una minaccia per i margini delle aziende e le prospettive di spesa dei consumatori, in un momento in cui la FED deve affrontare una maggiore pressione di dover correggere eccessivamente con aumenti dei tassi più rapidi e più ampi alla luce delle pressioni inflazionistiche”, scrivevano gli analisti di IG.

La crescita dei prezzi delle materie prime potrebbe incidere sulla ripresa statunitense. “Stimiamo che il rischio al ribasso per la crescita del PIL degli Stati Uniti derivante dall'aumento dei prezzi del petrolio a circa una media annualizzata di 0,3pp nei prossimi trimestri”, prevedono da Barclays.

“Mentre un aumento sostenuto dei prezzi dell'energia pone un rischio per le prospettive, non riteniamo che siano sufficienti a far deragliare la ripresa”, aggiungono dalla banca, sottolineando comunque che “i cambiamenti nella spesa dovuti alla fiducia e alla ricchezza rimangono incertezze”.

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