Quattro macrotemi per il 2025
La fine di un anno complicato ci porta a fare alcune considerazioni per quello che ci aspetta.
A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM
Prezzi alla produzione della Spagna YoY di novembre in uscita oggi alle 9:00 (stima +2.3% da 1.8% di ottobre) e alle 14:00 l’inflazione MoM di novembre della Germania stimata in flessione dello 0.2% (+0.4% in ottobre), che dovrebbe comunque portare ad una crescita tendenziale annua al +2.3% (dal +2.0% di ottobre). Alle 14:00è inoltre previsto il discorso di Elderson e alle 20:00 di Lane, membri della BCE.
Ieri, molto negativo è stato l’indice GFK di dicembre (-23.3 punti contro -18.8 atteso e -18.4 di novembre). Come noto, l’indicatore misura il livello di fiducia dei consumatori tedeschi nei riguardi dell'economia, in grado di anticipare la spesa dei consumatori, che rappresenta una quota fondamentale nell'attività economica totale. La flessione attesa nella spesa dei consumatori non lascia quindi ben sperare nella ripresa a breve dell’economia.
Conferma per il PIL USA QoQ del 3Q24, in crescita del 2.8% (+3% nel 2Q24) e ordini di beni durevoli di ottobre in crescita (+0.2%) sia rispetto alle attese (-0.8%) sia a settembre (-0.4%). Richiesta di sussidi settimanali alla disoccupazione, pari a 213k, in leggera flessione sia rispetto alle attese che rispetto al dato della scorsa settimana (215k). Scende più delle attese il PCE del 3Q24 (+2.1% contro +2.2% atteso e +2.8% del 2Q24). Sotto le attese il PMI Chicago che come noto indica le opinioni sull’andamento della manifattura nell’area di Chicago: 40.2 punti contro 44.9 atteso e 41.6 di ottobre. Crediamo che i dati sostengano un’ulteriore riduzione dei tassi di 25 bps da parte della Fed il prossimo 18 dicembre.
Siamo arrivati a ridosso della fine di un anno certamente complicato per i mercati finanziari. Forse non è ancora tempo di tracciare la rotta di quello che potrebbe essere il 2025, ma probabilmente di analizzare alcuni macro temi, si. Diversi sono i temi che interessano i mercati finanziari americani e, di riflesso quelli del resto del mondo, intorno ai quali si sta chiudendo il 2024 e presumibilmente anche il 2025 dovrà fare i conti.
Tra questi ne abbiamo individuato alcuni: difesa, Cina, deficit e mercati monetari. Come vediamo, non mancano gli argomenti di interesse per gli investitori. Esaminiamo quindi brevemente queste quattro metriche chiave che riteniamo aiuteranno a plasmare il panorama degli investimenti nel 2025.
Nella nostra lista di osservazione, come dicevamo, ci sono:
- la spesa globale per la difesa, che è destinata ad aumentare;
- l'aumento vertiginoso del surplus commerciale della Cina e le aspettative di crescente protezionismo globale;
- il deficit del bilancio federale, che crediamo comunque sia ancora abbastanza gestibile;
- la montagna di contanti parcheggiati nei fondi del mercato monetario, che crediamo possa gradualmente affluire in altre classi di attivi il prossimo anno.
Cominciamo con la spesa globale per la difesa: troppo bassa ma di fatto destinata a crescere. Il mondo è in guerra, ma non lo si direbbe guardando l’andamento dei principali indici americani. Nonostante le guerre sul campo in Europa e Medio Oriente, le crescenti tensioni geopolitiche nel Mar Cinese Meridionale e la crescente rivalità tra le grandi potenze (Stati Uniti e Cina), oltre alla guerra nel cyberspazio, la spesa globale per la difesa come percentuale del PIL mondiale rimane vicino ai minimi storici. Il mondo ha speso il 2,3% del PIL mondiale per la difesa nel 2023, un minimo quasi record e ben al di sotto della media annuale del 3,5% dal 1960 al 2023.
Tuttavia, con una corsa agli armamenti globale in corso, le spese per la difesa ci aspettiamo che ritornino all’interno di una crescita secolare. Sono previsti nuovamente record di spese nel 2024 e oltre, a meno che le colombe della pace non compaiano improvvisamente all'orizzonte. Continuiamo quindi a favorire le grandi aziende del settore difesa non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, così come in Giappone e Asia.
Secondo punto: il sorprendente surplus commerciale da 1 trilione di dollari della Cina. Non c'è indicatore migliore del modello di crescita della Cina che il suo sorprendente surplus commerciale con il resto del mondo. La Cina è sulla buona strada per registrare un surplus commerciale di merci di quasi 1 trilione di dollari quest'anno, una cifra che riflette l'iperfocus di Pechino sull'offerta (maggior produzione di prodotti strategici come veicoli elettrici, batterie, pannelli solari, ecc.) a scapito della domanda (spese dei consumatori compresse).
Questo squilibrio non è passato inosservato al resto del mondo. Sia gli Stati Uniti che l'Europa hanno reagito contro l'inondazione di esportazioni cinesi, ovvero hanno innalzato varie barriere al commercio. Molte nazioni in via di sviluppo, tra cui Brasile, India e Indonesia, hanno fatto lo stesso. In sintesi, la crescita trainata dalle esportazioni della Cina minaccia di innescare/alimentare più protezionismo commerciale e degli investimenti a livello globale, con il presidente eletto Trump che guida la carica con proposte di tariffe del 60% sulle importazioni cinesi. L'incredibile surplus commerciale della Cina potrebbe contribuire alla crescita delle volatilità nella crescita globale nel 2025 e accelerare la riconfigurazione globale delle catene di approvvigionamento.
Terzo punto: i deficit di bilancio contano. Storicamente i deficit di bilancio federale non sono rari negli Stati Uniti. Il deficit, com'era prevedibile, è esploso durante la pandemia ma è rimasto storicamente elevato (come percentuale del PIL) negli ultimi anni, registrando il 6,4% del PIL nell'anno fiscale 2024. Con la nuova amministrazione, che non mostra alcuna inclinazione a ridurre la spesa, gli investitori rimangono estremamente attenti alle finanze di Uncle Sam. I cosiddetti vigilantes dei bond sono all'erta.
La buona notizia, tuttavia, è che l'America gode di più spazio finanziario rispetto alla maggior parte delle altre nazioni perché le finanze di Washington sono sostenute dal settore privato più dinamico e guidato dall'innovazione al mondo, il che comporta una maggiore sostenibilità fiscale a lungo termine. Le finanze americane sono anche supportate dalla valuta di riserva mondiale, il dollaro USA, che rende i titoli di stato americani ancora tra i più sicuri e desiderabili al mondo. Infine, gli Stati Uniti godono del vantaggio di emettere debito nella propria valuta, consentendo una maggiore capacità di sostenere il debito rispetto ad altre nazioni. Alla fine, i deficit contano ma non ancora negli Stati Uniti.
Last but not least, i mercati monetari. Il contante è ancora il re. Vi ricordate TINA, o il comune lamento che con rendimenti reali sul debito vicino allo zero o negativi in molte parti del mondo, “non c'è alternativa" alle azioni? Bene, quei giorni sono passati da tempo. La costruzione del portafoglio è molto più dinamica oggi, con le azioni che competono maggiormente contro il reddito fisso, il credito privato e il buon vecchio contante.
A metà novembre, circa 6,6 trilioni di dollari erano parcheggiati nei fondi del mercato monetario, un record storico e ben al di sopra della media a lungo termine di 2,4 trilioni. Attualmente, il fondo medio del mercato monetario rende il 4,5% rispetto ai rendimenti del 20% circa dell'S&P 500 quest'anno. In altre parole, rimanere in contanti ha avuto un costo relativo e assoluto per gli investitori quest'anno.
L'incertezza elettorale, sicuramente, ha tenuto gli investitori ai margini in vista del voto di novembre. Nel frattempo, con i commenti più recenti e aggressivi di Powell e le aspettative sui tassi per il 2025 che continuano a evolversi, la prospettiva di tassi più alti del previsto l'anno prossimo potrebbe tentare gli investitori a rimanere in contanti. Crediamo che, mentre livelli appropriati di contante dovrebbero essere mantenuti nei portafogli, continuiamo a ritenere che gli investitori non debbano restare ai margini. È il tempo sul mercato, piuttosto che il tempismo del mercato, che conta.
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