ReArm EU rivoluziona i mercati, i titoli della difesa diventano growth

Nella Giornata della NATO, la tregua tra Iran e Israele e l’avvio del vertice all’Aia accelerano il cambiamento nel settore della difesa europeo. Un’analisi di eToro mostra come i mercati stiano già premiando il riarmo strategico, con effetti visibili su titoli e settori.
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I mercati festeggiano la tregua in Medio Oriente
Nel giorno in cui si celebra la NATO e si apre il vertice all’Aia, la notizia del cessate il fuoco tra Iran e Israele ha colto di sorpresa. I principali listini in Europa guadagnano oltre l'1,5%, mentre i future sugli indici Usa segnano un rialzo dell'1%.
Come evidenzia Gabriel Debach, market analyst di eToro, l’equity globale ha mantenuto una calma quasi innaturale ieri, reagendo con sorprendente autocontrollo anche ai bombardamenti del weekend. Ancora più marcata la risposta del comparto materie prime: il prezzo del petrolio, termometro implicito delle tensioni mediorientali, ha perso quasi il 10% in due sedute, registrando un movimento ribassista raramente visto dal "liberation day".
L’analista di eToro sottolinea come la pressione sui prezzi sia arrivata anche da Donald Trump, le cui dichiarazioni su Truth Social, tra cui il lapidario “Keep oil price down!”, hanno assunto un ruolo di intervento diretto sui mercati. Già in passato, un suo messaggio aveva anticipato l’accordo OPEC per l’aumento della produzione. Da allora, il WTI è sceso del 26%, una dinamica che suggerisce quanto il rischio politico oggi possa essere calmierato più da un tweet che da un report ufficiale.
Nel frattempo, il mercato azionario si comporta da manuale: penalizzate le società energetiche, mentre il resto dell’equity globale beneficia di un repricing al ribasso del rischio geopolitico. La geopolitica pesa, ma il quadro macroeconomico resta, almeno per ora, sullo sfondo.
Il vertice NATO e il vincolo della spesa militare
Il vertice NATO che si apre oggi all’Aia è destinato a segnare un punto di svolta. Secondo Gabriel Debach, al centro della discussione c’è l’ipotesi di ridefinire l’obiettivo di spesa militare al 5% del PIL, articolato in un 3,5% per la difesa diretta e un 1,5% per la resilienza strategica. La Germania si dice favorevole, Italia e Francia invocano flessibilità, mentre la Spagna ottiene un’esenzione.
La pressione arriva anche dagli Stati Uniti. Donald Trump ha messo in discussione l’impegno americano nella NATO, affermando che la protezione militare non può più essere data per scontata. L’Europa, consapevole del messaggio, ha reagito: Berlino ha rimosso i vincoli costituzionali sull’indebitamento per spesa militare e stanziato 100 miliardi di euro in fondi straordinari. Il tema centrale, sottolinea Debach, non è più solo “quanto spendere”, ma “come contabilizzare” voci sempre più ampie, dalla cybersecurity alla difesa delle infrastrutture critiche.
L’Unione Europea, finora frammentata sul tema difesa, si prepara a una svolta coordinata: il piano industriale ReArm EU punta a ricostruire una base produttiva comune, superare la dipendenza da fornitori esterni e garantire l’autonomia strategica. La spesa militare, in questo scenario, non è più una scelta discrezionale, ma un vincolo geopolitico da onorare.
I dati rivelano chi accelera e chi resta indietro
Il confronto internazionale sulla spesa militare mostra forti divergenze. Come evidenzia Gabriel Debach, nel 2024 gli Stati Uniti destinano il 9,11% della loro spesa pubblica alla difesa, in calo rispetto al picco del 2011, ma ancora dominante all’interno della NATO. Il Regno Unito segue con un 5,25%, mentre la Germania ha aumentato la propria quota del 43,1% dal 2001, arrivando al 3,93%, con una crescita del 52,8% dal 2018.
L’Italia si ferma al 3,18%, recuperando dai minimi ma ancora sotto i livelli pre-crisi. Francia e Spagna si attestano rispettivamente al 3,59% e 3,20%. Le variazioni dal 2018 rafforzano il divario: Germania +52,8%, Italia +13,5%, Francia +9,5%, Spagna +6,5%.
Il vero parametro dell’Alleanza, tuttavia, resta la spesa in rapporto al PIL. Gli Stati Uniti sono al 3,42%, il Regno Unito al 2,28% e la Francia al 2,05%, superando così la soglia minima del 2%. Germania (1,89%), Italia (1,61%) e Spagna (1,43%) sono ancora lontane dagli impegni formali. I numeri mostrano chiaramente chi si sta adeguando e chi invece rischia di restare ai margini della nuova architettura della difesa europea.
Difesa come asset strategico, il mercato si è già mosso
Il cambiamento di paradigma è già visibile nei mercati finanziari, osserva Gabriel Debach. L’indice Europe Aerospace & Defense ETF (EUAD) ha registrato un +66% da inizio anno, sovraperformando lo Stoxx 600 (+6,6%). Il segnale è chiaro: il riarmo è ormai una traiettoria di mercato.
Il rally non riguarda solo le azioni tedesche: Leonardo (+77%) e Fincantieri (+100%) in Italia, Saab AB (+107%) in Svezia, Thales (+80%) in Francia e Indra Sistemas (+94%) in Spagna testimoniano un trend paneuropeo. Il mercato assegna multipli crescenti a un settore tornato centrale, non solo per la guerra, ma per la ridefinizione del concetto stesso di sicurezza, che oggi include energia, dati e infrastrutture.
Debach sottolinea come il rally rifletta priorità nazionali differenti: la Germania guida il processo di riconversione industriale, l’Italia unisce peso politico e capacità manifatturiera, il Regno Unito si rafforza come avamposto NATO, la Francia mantiene solidità grazie a gruppi integrati verticalmente come Thales. La NATO e il piano ReArm EU non sono più strumenti di policy, ma veri catalizzatori di valore industriale e finanziario.
Per la prima volta, conclude Debach, il settore difesa è considerato un investimento growth. I mercati lo hanno già capito. Ora tocca agli Stati dimostrare di essere all’altezza della sfida: l’Europa non può più essere solo committente, deve tornare a essere anche costruttore.
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