Shutdown Usa: gli effetti sull'indice S&P 500 e la fragilità istituzionale

Negli Stati Uniti incombe lo spettro di un nuovo shutdown. Lo scontro politico su sanità, fisco e spesa pubblica mette a rischio il funzionamento della macchina federale, con conseguenze immediate sui servizi e un impatto indiretto sui mercati. Analizzando l'impatto sulla serie storia dell'S&P 500, la vulnerabilità non è finanziaria ma istituzionale.
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Un braccio di ferro politico ad alto rischio
Lo shutdown negli Stati Uniti rappresenta il paradosso di una superpotenza che si ferma non per mancanza di risorse, ma per incapacità della politica di trovare un compromesso.
Come spiega Gabriel Debach, market analyst di eToro, il terreno di scontro odierno è la sanità: sussidi ACA, Medicaid, fondi alla ricerca e tagli fiscali introdotti da Trump che i democratici vogliono cancellare. A poche ore dalla scadenza, le posizioni restano distanti. La Camera ha approvato una misura tampone di sette settimane, fino al 21 novembre, ma il Senato l’ha respinta.
I repubblicani puntano su una “clean continuing resolution”, un testo neutro che rinvia ogni discussione. I democratici, invece, intendono difendere il rinnovo dei crediti d’imposta dell’Affordable Care Act, pari a 350 miliardi di dollari, leva politica fondamentale per Schumer in vista delle elezioni di midterm del 2026. Per Trump, si tratta di un banco di prova centrale della sua seconda presidenza. Come sottolinea Debach, lo scontro si riflette anche nella retorica: per il vicepresidente Vance la responsabilità è dei democratici, mentre questi ultimi puntano il dito contro Trump.
La novità più inquietante è la minaccia della Casa Bianca di trasformare un congelamento temporaneo in licenziamenti permanenti di migliaia di dipendenti federali: un salto istituzionale senza precedenti, che apre scenari imprevedibili sul piano politico e legale.
Gli effetti di un blocco federale
Gli effetti immediati di uno shutdown sono noti: i pagamenti del debito e della sicurezza sociale restano garantiti, ma centinaia di migliaia di dipendenti federali vengono messi in congedo forzato. I parchi nazionali chiudono, la FDA interrompe le ispezioni, la SEC e la CFTC sospendono le attività di vigilanza. Le pubblicazioni statistiche vengono rinviate: il Bureau of Labor Statistics ha già annunciato che in caso di blocco non diffonderà i NonFarm Payrolls, uno degli indicatori più seguiti da mercati e Federal Reserve.
Per Debach, non è un dettaglio tecnico. In una fase in cui la banca centrale è dichiaratamente “data dependent”, il blackout dei dati significa togliere alla Fed la bussola per calibrare la politica monetaria. Un cortocircuito potenzialmente pericoloso, proprio mentre il dibattito su inflazione e tagli dei tassi resta al centro della traiettoria economica americana.
Lo S&P 500 e la lezione della storia
Guardando alla serie storica dell'S&P 500, il principale indice di Wall Street ha dimostrato di saper distinguere tra rumore politico e fondamentali. Negli ultimi cinquant’anni, si legge nel report di eToro, durante i venti shutdown verificatisi, l’indice ha registrato variazioni medie prossime allo zero, con mediana piatta. L’effetto si manifesta piuttosto dopo: +3% a tre mesi e +7% a sei mesi, segno che l’attività economica non scompare ma viene soltanto rinviata.
Gli ultimi tre shutdown forniscono esempi concreti. Nel 2013, spiega Debach, con 17 giorni di stallo, lo S&P 500 guadagnò il 3%, trainato da finanziari (+5%), healthcare (+4%) e dal boom del solare (+12%). Nel gennaio 2018, il blocco di tre giorni ebbe impatto minimo: indice e settori restarono quasi invariati. Diverso lo scenario tra dicembre 2018 e gennaio 2019: durante lo shutdown più lungo della storia (35 giorni), l’indice guadagnò il 10%. I settori ciclici volarono, con energia (+12%), industriali (+13%) e comunicazioni (+12%). Ancora più forti le performance industriali: semiconduttori e software (+16%), oil services (+26%), metalli e mining (+15%), acqua (+28%). Come osserva Debach, la vera spinta non derivava dallo shutdown, ma dal cambio di rotta della Fed, che dopo il sell-off del 2018 abbandonò la linea restrittiva per posizioni più accomodanti.
Fragilità istituzionale e fiducia in calo
La conclusione per Debach è chiara: lo shutdown non guida i mercati, che restano legati ai fondamentali macro e al contesto di politica monetaria. I settori difensivi tengono senza brillare, quelli ciclici beneficiano quando lo scenario è favorevole. L’unico vero rischio riguarda l’incertezza legata al blackout dei dati, fattore destabilizzante per la volatilità di breve termine.
Come sottolinea Debach, la vera fragilità è istituzionale. Negli Stati Uniti ogni agenzia ha un piano operativo per affrontare uno shutdown, ma la minaccia di licenziamenti permanenti rappresenta una discontinuità radicale. È un test sulla resilienza della macchina statale e sull’equilibrio tra poteri.
Un sondaggio Gallup diffuso di recente mostra come oltre il 60% degli americani abbia una valutazione negativa del governo federale, peggio perfino dell’industria farmaceutica. Un dato che pesa, perché uno shutdown prolungato rafforzerebbe la percezione di un’istituzione inefficiente e litigiosa, incapace di garantire servizi di base. All’opposto, conclude Debach, i settori più apprezzati sono quelli legati alla vita quotidiana: agricoltura, ristorazione, computer. Cibo, tavolo e tecnologia: tre certezze in un’America che non si fida più della politica.
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