Tagli Fed e AI favoriscono le large cap USA

Le performance delle azioni statunitensi potrebbero essere state amplificate anche dalla notizia che la Fed acquisterà 40 miliardi di dollari in buoni del Tesoro ogni mese fino ad aprile per sostenere la liquidità nei mercati monetari, oltre che dal taglio dei tassi. La giustificazione per un’ulteriore riduzione dei tassi, potrebbe essere un mercato del lavoro in forte indebolimento, unito ad un peggioramento delle condizioni economiche. Tra le azioni made in US, gli analisti propendono per quelle a grande capitalizzazione per mantenere l'esposizione al ciclo di investimento in intelligenza artificiale in corso, con un occhio di riguardo alla diversificazione.
A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM
Fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di dicembre in uscita oggi (stima 55 punti contro 51 punti di novembre).
Due sono notizie importanti di ieri: la discesa dell’inflazione degli Stati Uniti e il rialzo delle stime di crescita del PIL dell’Europa. L’inflazione USA di novembre ha fatto registrare a sorpresa un +2,7% contro le attese di +3,1% e di un dato di settembre del +3%. L'indice complessivo, esclusi cibo ed energia, è aumentato del 2,6% negli ultimi 12 mesi. L'indice energetico è aumentato del 4,2%, ma la benzina è crescita dello 0,9% e l’abbigliamento dello 0,2%. L'indice alimentare è aumentato del 2,6% nell'ultimo anno.
Guardando al netto peggioramento del PhillyFed di dicembre (-10,2 punti contro +2,5 atteso e -1,7 a novembre) sembrerebbe che la minore crescita dell’inflazione rispetto alle attese sia anche in parte dovuta alla contrazione dell’attività manifatturiera. In linea con le attese le richieste di sussidi settimanali alla disoccupazione (224k) e in leggera flessione rispetto alle 237k unità della scorsa settimana.
In linea con le attese degli investitori, la BCE ha lasciato il tasso sui depositi invariato al 2%. Il tasso sui rifinanziamenti principali resta al 2,15%, quello sui prestiti marginali al 2,40%. Per quanto riguarda l’aggiornamento delle stime economiche, le ultime proiezioni dell'Eurosistema indicano un'inflazione complessiva media del +2,1% nel 2025, del +1,9% nel 2026, del +1,8% nel 2027 e del +2,0% nel 2028. L'inflazione al netto della componente energetica e alimentare si porterebbe in media al 2,4% nel 2025, al 2,2% nel 2026, all'1,9% nel 2027 e al 2,0% nel 2028. L'inflazione è stata rivista al rialzo per il 2026, principalmente perché gli esperti si attendono ora che quella relativa ai servizi scenda più lentamente. La BCE ha inoltre migliorato al +1,4% (+1,2% di tre mesi fa), la sua stima di crescita del PIL per l'area euro nel 2025. La previsione di crescita per il 2026 è stata alzata al +1,2% (dal +1%) e quella per il 2027 al +1,4% (dal +1,3%). Secondo la BCE, la crescita economica dovrebbe essere più sostenuta rispetto alle proiezioni di settembre, trainata in particolare dalla domanda interna.
Al di là del taglio dei tassi, i mercati azionari hanno risposto positivamente ai messaggi della Fed della scorsa settimana. Negli Stati Uniti le small cap, che come sappiamo sono più sensibili ai tassi di interesse, hanno sovraperformato nuovamente i grandi nomi tecnologici. Questa rotazione è stata anche amplificata da un inciampo dei Magnifici 7, dopo i risultati di Oracle e Broadcom che hanno sollevato nuovamente preoccupazioni sugli investimenti nell'intelligenza artificiale e sui ricavi a breve termine.
I movimenti del mercato statunitense potrebbero essere stati amplificati anche dalla notizia che la Fed acquisterà 40 miliardi di dollari in buoni del Tesoro ogni mese fino ad aprile per sostenere la liquidità nei mercati monetari. A nostro avviso, ciò riflette un adeguamento tecnico al modo in cui la Fed fissa i tassi di interesse, in contrapposizione a qualsiasi cambiamento di politica monetaria, come il QE, in base al quale la banca centrale acquista titoli a più lunga scadenza per abbassare i tassi di interesse a lungo termine e stimolare l'economia. Tuttavia, alcuni investitori vedono una distinzione meno netta tra queste politiche, interpretando gli acquisti come una forma di allentamento della politica monetaria.
Siamo all'inizio della fine dell'allentamento della Fed? Domanda lecita. Anche se pensiamo di essere prossimi alla fine del ciclo di allentamento della Fed, guardando al 2026 sembra esserci ancora spazio per uno o forse due tagli (quelli che si aspetta il mercato), lasciando poi i tassi di interesse tra il 3% e il 3,5%.
La giustificazione per un’ulteriore riduzione dei tassi, potrebbe essere un mercato del lavoro in forte indebolimento, in particolare all'inizio del 2026. Gli ultimi dati sulle buste paga non agricole di novembre indicano una variazione di 64k tra gli occupati (50k previsti e -105k in ottobre), trend positivo ma un po’ troppo lento per consentire una crescita stabile del PIL. Ulteriori incrementi lenti con l'avvicinarsi del 2026 suggerirebbero quindi un ulteriore allentamento, soprattutto vista la recente la sensibilità della Fed a questi rischi. Da monitorare attentamente anche la spesa dei consumatori per individuare segnali che un raffreddamento del mercato del lavoro stia iniziando a pesare sulla spesa. Da questo punto di vista, le vendite al dettaglio di ottobre hanno fatto registrare una flessione al +3,5% del tasso di crescita (+4,2% a settembre), che comunque si mantiene ampiamente positivo.
Per giustificare un ulteriore allentamento, dovremmo inoltre assistere ad un netto peggioramento delle prospettive economiche. Con l'inflazione ancora ben al di sopra del suo obiettivo del 2% e con una previsione di mantenimento fino al 2026, riteniamo che la Fed debba tenere presente che un allentamento eccessivo della politica monetaria potrebbe esacerbare le pressioni sui prezzi. Il peggio sarebbe poi fare marcia indietro costretti da un’inflazione che riprende a correre.
Che significa questo per gli investitori? Dalle riunioni delle banche centrali della scorsa settimana sono emersi alcuni spunti importanti. In primo luogo, i rendimenti sulla liquidità, o su investimenti a brevissimo termine come fondi del mercato monetario, certificati di deposito (CD) e buoni del Tesoro, sono già diminuiti drasticamente negli Stati Uniti e riteniamo che i rendimenti continueranno probabilmente a scendere nel prossimo anno, ovviamente se abbiamo ragione nell'affermare che la Fed taglierà ulteriormente i tassi.
Secondo gli analisti, gli investitori potrebbero anche prendere in considerazione l'idea di spostarsi verso l'alto lungo la curva per trarre vantaggio da rendimenti leggermente più elevati, considerato che negli Stati Uniti il rendimento dei titoli del Tesoro USA decennali è aumentato dal minimo del 4% del 2025 a circa il 4,2% attuale. Gli analisti stimano che il rendimento del Tesoro decennale dovrebbe rimanere entro un intervallo compreso tra il 4% e il 4,5%. Con la Fed prossima alla fine del ciclo di allentamento, l'inflazione ancora sostenuta e alcune persistenti preoccupazioni sulle prospettive del debito federale, sembrano esserci pochi fattori che farebbero da traino per un calo significativo dei rendimenti.
Per gli investitori con una maggiore tolleranza al rischio e soprattutto orizzonti temporali più lunghi, gli analisti suggeriscono di aumentare l'allocazione in azioni, rispetto alle obbligazioni, puntando su portafogli diversificati di azioni statunitense e internazionali.
Tra le azioni made in US, gli analisti propendono per quelle a grande capitalizzazione per mantenere l'esposizione al ciclo di investimento in intelligenza artificiale in corso. Tuttavia, la recente rotazione dalle società tecnologiche a mega capitalizzazione ad altri settori e dimensioni evidenzia anche vantaggi nella diversificazione e nel potenziale per un'espansione della leadership di mercato. Le azioni a piccola e media capitalizzazione offrono infatti un modo per beneficiare della crescita costante e dei tassi di interesse più bassi che gli analisti prevedono per il prossimo anno.
Allo stesso modo, la resilienza del portafoglio può anche essere rafforzata dalla diversificazione geografica, con azioni internazionali e azioni dei mercati emergenti entrambe attualmente interessanti, date le solide prospettive di utili e le valutazioni più basse rispetto ai titoli azionari statunitensi a grande capitalizzazione.
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