Tra FED e banche, settimana cruciale per i mercati


Perché insistere con il vecchio target di inflazione in un mondo che è già cambiato e aprire il fianco a casi SVB?

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Martedì 21 alle 11:00 uscirà l’indice ZEW YoY di marzo (stima 18,9 punti contro 28,1 di febbraio). Ma quella che inizia oggi è soprattutto la settimana in cui la FED dovrà decidere se aumentare i tassi e la misura dell’aumento.

L’inflazione dell’Europa, uscita la scorsa settimana, è risultata in linea con le attese (8,5%). Più contenuta delle stime è risultata la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan (63,4 punti contri 67 atteso).

Che cosa farà la FED? Partiamo da quello che ha detto il suo presidente nel corso dell’audizione al senato non più tardi di due settimane fa. Powell ha ribadito l'impegno incondizionato della banca centrale a portare l’inflazione al 2%, aprendo di fatto la strada ad una possibile accelerazione (o un prolungamento) dei rialzi dei tassi di interesse. Il presidente ha comunque chiarito che non è ancora stata presa nessuna decisione sull'entità dell'aumento dei tassi che, comunque, i mercati danno a larga maggioranza scontato.

La partita resta però complicata perchè non è facile trovare un equilibrio fra la lotta all’inflazione e le tensioni sul mercato bancario. Anche perché è chiaro che un restringimento del credito comporta inevitabilmente una frenata economica. Se quindi di soft o no landing si discuteva prima della crisi, ora la frenata potrebbe essere un qualcosa che sta fra il soft e l’hard landing. Motivo questo per il quale alcuni analisti ritengono che la FED non alzerà i tassi (Goldman Sachs), mentre altri pensano che Powelll non si farà intimidire alzando i tassi di 25 bp, nella convinzione che il non agire invierebbe un segnale sbagliato ai mercati. Nessuno sembra invece ritenere che scatterà un aumento di 50 bp, mentre qualcuno ipotizza invece una riduzione di 25 bp (Nomura).

Dal nostro punto di vista, i segnali perché la FED alzi i tassi di 25 bp ci sono tutti. Gli ultimi dati sull’inflazione evidenziano come questa sia ancora alta e soprattutto persistente, con quella core che si sta facendo sempre più rigida. Ma anche i posti di lavoro, che continuano a crescere nonostante i licenziamenti, non lasciano presagire una FED meno falco.

Del resto, nel corso degli ultimi 12 mesi la FED ha operato un rialzo dei tassi di 450 bp nel tentativo di rallentare l’economia e raffreddare la crescita dei prezzi. Ma non si può certo dire che questo sia stato sufficiente nè per rallentare il ciclo economico né per avvicinarsi all’obiettivo del 2% di inflazione.

Tale livello (2%) ha caratterizzato gran parte degli anni 2010 (inflazione, crescita economica e tassi di interesse), tanto da convincere gli economisti, la FED e la Borsa che l’era del 2% sarebbe durata a lungo. Ci chiediamo quanto sia ancora realistico mantenere il “vecchio” target del 2% in un mondo profondamente cambiato, soprattutto perché comunque quella convinzione si è rivelata errata.

La Silicon Valley Bank è l'esempio più estremo di come un'istituzione sia stata colta alla sprovvista dalla politica monetaria restrittiva (anche se in realtà Powell era stato molto chiaro sull’inizio dell’aumento dei tassi). Ma anche se la FED riuscisse a sterilizzare la minaccia della corsa agli sportelli, non è detto che altre vulnerabilità non siano cresciute durante i decenni di tassi di interesse reali costantemente negativi. Se questo fosse in qualche modo confermato, potrebbe innescare problemi rilevanti in un momento in cui i costi di finanziamento sono sostanzialmente più elevati rispetto al passato. C'è un vecchio detto in USA che dice: ogni volta che la Fed frena, qualcuno passa attraverso il parabrezza (Whenever the Fed hits the brakes, someone goes through the windshield), ma non sai mai chi sarà.

Il veloce rialzo dei tassi potrebbe aver reso vulnerabili altre banche che detengono grandi portafogli di obbligazioni a lungo termine e che potenzialmente valgono meno del loro valore originale. Secondo i dati della Federal Deposit Insurance Corporation, al 31 dicembre 2022 le banche USA erano sedute su 620 miliardi di dollari di minusvalenze potenziali derivanti da titoli. Stiamo comunque parlando di minusvalenza potenziali e non realizzate. Il che non significa che non ci sia un rischio. Diversamente dal 2008, il “sottostante” dell’investimento sono però titoli governativi, cui Moody’s assegna un rating tripla A (massima sicurezza del capitale) e non derivati più o meno rischiosi il cui valore era prossimo allo zero.

La conseguenza della crisi sarà un aumento della pressione sulla FDIC per garantire tutti i depositanti presso tutte le banche statunitensi, indipendentemente dall'entità dei loro conti, per timore che investitori e depositanti ritirino i fondi non protetti. Ciò estenderebbe alle imprese una tutela da sempre focalizzata sui clienti al dettaglio e aumenterebbe la possibilità che il costo ultimo ricada sul contribuente.

Questo salvataggio di denaro a carico dei contribuenti segnala alle imprese che in futuro la FED le salverà da possibili problemi. La decisione dello strumento di prestito di emergenza riduce tuttavia la pressione sulle banche ad essere più prudenti con i loro investimenti e la gestione della liquidità, il che va contro decenni di sforzi per rendere le banche più sicure.

Se i prezzi delle azioni bancarie continuano a scendere trascinandosi dietro l’intero listino, potrebbe aumentare la pressione sulla FED affiinchè interrompa l'aumento dei tassi di interesse, anche in un momento in cui l'inflazione è ancora ben al di sopra del tasso obiettivo del 2%. Crediamo che se le difficoltà delle banche dovessero crescere potremmo assistere ad un calo dei tassi.

Sul fronte Europeo, UBS salverà Credit Suisse (soprattutto dopo il pressing delle autorità). UBS pagherà 3 miliardi di franchi. Gli azionisti di Credit Suisse riceveranno 1 azione UBS ogni 22,48 azioni Credit Suisse detenute, pari a 0,76 franchi/azione. Si prevede che la fusione delle due attività genererà un tasso annuo di riduzione dei costi di oltre 8 miliardi di dollari entro il 2027.

In cambio dell’operazione UBS ha ottenuto altre misure a sostegno del salvataggio. In primis, 100 miliardi di liquidità extra da parte della Banca Nazionale Svizzera, più 6 miliardi di garanzie pubbliche a copertura di esuberi, cause legali e minusvalenze da cessioni.

Resta da capire se UBS + Credit Suisse porrà dei problemi di antitrust sul mercato. Sicuramente la fusione va a creare un gruppo di dimensioni così ampie da dover essere gestito attraverso passaggi non facili, compresi eventuali tagli di strutture dove esistono sovrapposizioni.

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