USA: gli anticipatori di ciclo indicano ancora recessione nel 2Q24


L’economia non va mai ad una velocità costante e si muove lungo la sua tendenza di lungo termine.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Variazione occupati di gennaio degli USA oggi alle 14:30 (stima 177k contro 216k di dicembre), mentre alle 16:00 è la volta della fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di gennaio (stima 78,8 punti contro 69,7 di dicembre).

In linea con le attese a 46,6 punti è risultato ieri il PMI manifatturiero di gennaio dell’Europa, ma in crescita rispetto ai 44,4 punti di dicembre. L’inflazione in Italia YoY di gennaio, pari allo 0,8%, risulta minore delle attese (1,1%), ma in crescita rispetto allo 0,6% di dicembre. In leggera contrazione rispetto al dato dicembre è risultata invece l’inflazione YoY di gennaio dell’Europa (2,8% contro 2,9% di dicembre), a conferma delle difficoltà dell’ultimo miglio.

Richiesta di sussidi settimanali alla disoccupazione maggiori delle attese (224k contro 213k stimati e 215k della scorsa settimana), ma forte crescita della produttività non agricola del 4Q23 (3,2% contro 2,4% stimato e 4,9% del 3Q23). Il PMI USA manifatturiero di gennaio, pari a 50,7 punti, è risultato in crescita sia rispetto alle attese (50,3) che rispetto a dicembre (47,9). Così come in crescita a 49,1 punti è risultato l’ISM manifatturiero di gennaio (47,2 punti atteso e 47,1 a dicembre). Non crediamo che i dati supportino la convinzione del mercato che la Fed possa ridurre i tassi a partire da aprile.

Nelle prime fasi dell’impennata dell’inflazione post-COVID, nessuna parola è diventata più controversa negli ambienti economici di “transitorio”. Questo perché è stato interpretato con significati diversi da persone diverse. Il presidente della Fed è stato tra i primi a usarlo per riflettere la sua convinzione che l’impennata dei prezzi fosse guidata da temporanei squilibri tra domanda e offerta e non avrebbe comportato un radicamento di elevate pressioni sui prezzi nell’economia.

Sebbene le pressioni inflazionistiche siano persistite più a lungo di quanto molti, compresi noi, si fossero inizialmente aspettati, finora si sono rivelate transitorie secondo la definizione originale di Powell. Tuttavia, ora crediamo di trovarci dall’altra parte della stessa medaglia dell’inflazione e che anche il processo disinflazionistico che si è svolto per gran parte del 2023 e fino a quest’anno, potrebbe rivelarsi transitorio. Ciò è dovuto ai fattori che guidano le varie fasi di un ciclo economico.

Per lunghi periodi di tempo, l’economia USA è cresciuta ad un tasso tendenziale vicino a quello naturale: consideriamolo come un limite di velocità. Tuttavia, l’economia non si muove mai ad una velocità costante da un anno all’altro. Attraversa invece periodi di espansione seguiti da contrazioni, a volte correndo ben al di sopra del suo tasso di crescita naturale o ben al di sotto di esso. Questo movimento attorno alla sua tendenza a lungo termine è noto come ciclo economico e la storia dimostra che si tratta di un processo naturale e inevitabile. Un modo per valutare a che punto del ciclo economico ci troviamo è osservare l’output gap, ovvero la differenza tra la produzione effettiva dell’economia e la sua produzione potenziale.

L’economia può superare la sua capacità naturale per brevi periodi ma non può produrre al di sopra di tale limite per un periodo prolungato. Questo ci riporta al centro delle nostre preoccupazioni: il mercato del lavoro. Il ritmo sostenibile della crescita economica è una funzione della capacità lavorativa (il numero di lavoratori disponibili) e del livello di produttività dei lavoratori. Una ripresa della produttività o un’impennata del numero dei lavoratori disponibili può stimolare la crescita economica al di sopra della sua linea di tendenza a lungo termine. Tuttavia, alla fine ritorna alla media. Non crediamo che vedremo materializzarsi uno di questi ingredienti per una crescita superiore alla media nel breve termine.

Dato il numero limitato di lavoratori disponibili, vista la secolare flessione della partecipazione al lavoro, le aziende hanno dovuto offrire salari crescenti per attrarre lavoratori. Temiamo che l’attuale dinamica possa portare da un’inflazione transitoria basata sul Covid a pressioni più tradizionali sui prezzi basate sui salari, tipiche della fine di un ciclo economico. Anche se il ritmo degli incrementi salariali si è attenuato rispetto ai massimi post-COVID, gli aumenti continuano ad essere al di sopra del livello al quale la Fed ritiene che il potenziale di inflazione basata sui salari sia completamente sotto controllo.

Riteniamo quindi improbabile che la Fed tagli i tassi in modo aggressivo per stimolare un’economia apparentemente ancora in crescita in un momento in cui la disoccupazione è bassa e la crescita dei salari rimane al di sopra del ritmo compreso tra il 3 e il 3,5% ritenuto coerente con il suo obiettivo di un’inflazione del 2%.

In altre parole, siamo convinti che il rischio di riaccendere le pressioni sui prezzi, alimentando la crescita in un’economia che sembra già funzionare al massimo delle sue capacità, sia troppo grande in questo momento. Continuiamo invece a ritenere che il percorso più probabile richieda che la Fed mantenga i tassi vicino agli attuali livelli elevati fino a quando il quadro occupazionale non si raffredderà in modo convincente e la crescita salariale non diminuirà.

Nel frattempo, gli anticipatori del ciclo restano sott’acqua. L’ultimo rapporto del Conference Board indicava un LEI che continua a suggerire un’economia in recessione o sull’orlo di una recessione. La lettura del LEI di dicembre è infatti scesa dello 0,1% dopo il calo dello 0,5% di novembre (-5,8% YoY negli ultimi sei mesi). L'indice di diffusione semestrale (la misura degli indicatori che mostrano miglioramenti rispetto ai cali) si è attestato al 40%. Il Conference Board rileva che quando l’indice di diffusione scende al di sotto di 50 e il calo dell’indice complessivo è pari o superiore al 4,2% rispetto ai sei mesi precedenti, l’economia è sull’orlo della recessione. L’indice di diffusione è sceso per la prima volta sotto quota 50 nell’aprile 2022 e il valore complessivo ha superato per la prima volta il livello negativo del 4,2% nel giugno 2022. Diversi economisti si aspettano ora che la crescita del PIL diventi negativa nel secondo e terzo trimestre del 2024, ma inizi poi a riprendersi verso la fine dell’anno.

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