USA: l'economia forte potrebbe far crescere di nuovo l'inflazione?


Dal 2H24 l’economia Usa potrebbe riprendere vigore, come dice gran parte degli anticipatori di ciclo, e questo potrebbe riaccendere l’inflazione.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Tasso di disoccupazione di gennaio (stima 7.3% contro 7.2% di dicembre) e inflazione dell’Italia QoQ di febbraio (stima 0.3% invariato rispetto a gennaio) in uscita alle 10:00. Alle 11:00 è atteso il PMI manifatturiero di febbraio dell’Europa (stima 46.1 punti contro 46.6 di gennaio) e l’inflazione YoY sempre di febbraio (stima 2.5% contro 2.8% di gennaio). Alle 15:45 è la volta del PMI manifatturiero USA di febbraio (stima 51.5 punti contro 50.7 di gennaio), alle 16:00 usciranno invece l’ISM manifatturiero di febbraio (stima 49.1 punti, invariato rispetto a gennaio) e la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan di febbraio (stima 79.6 punti contro 79 di gennaio).

Ieri i dati della Germania sono risultati peggiori delle stime: le vendite al dettaglio di gennaio sono scese dello 0.4% (+0.5% le attese e -1.6% a dicembre) e il tasso di disoccupazione di febbraio è salito al 5.9% (dal 5.8% atteso e il dato di gennaio). L’inflazione YoY di febbraio risulta in flessione sia rispetto a gennaio (2.5% contro 2.9%), sia rispetto alle attese (2.6%). Tutti dati che mostrano quando sia difficile per l’economia tedesca, che semplificando vedeva nella Cina e nella Russia due partner importanti e strategici, ripensare la propria struttura produttiva. Inflazione della Francia YoY di febbraio più alta delle attese (2.9% contro 2.7% atteso) ma in riduzione rispetto al 3.1% di gennaio e in linea con le attese ma in riduzione rispetto a gennaio quella YoY della Spagna (2.8% in linea con le stime e 3.4% a gennaio). I dati dei paesi Europei mostrano il trend economico dei diversi paesi: Germania in recessione, Italia, Francia e Spagna che arrancano alla ricerca di una crescita economica sempre più difficile da realizzare con gli attuali tassi di interesse, il tutto in un quadro di forte diversità delle politiche fiscali.

In linea con le attese l’inflazione PCE YoY di gennaio (2.4% contro 2.6% di dicembre). La componente core è cresciuta del 2.8% (2.9% a dicembre), facendo registrare la variazione più bassa dalla primavera del 2021. In rialzo le richieste settimanali USA alla disoccupazione (215k contro 209k attese a 202k della scorsa settimana) e in crescita i redditi personali MoM di gennaio (+1% contro 0.4% atteso e 0.3% di dicembre). In flessioni il PMI Chicago di febbraio (44 punti contro 48.1 atteso e 46 di gennaio).

Proseguendo con la maggiore economia al mondo, quella degli Stati Uniti, notiamo come questa abbia iniziato l'anno sfidando le previsioni di un rallentamento unito ad aumento della disoccupazione. La pubblicazione di febbraio del sondaggio Blue Chip Economic Indicators sulle previsioni dei principali analisti sull'Outlook Economico per il 2024, mostra che la previsione consensuale per la crescita del PIL reale del 2024 è passata dall’1,3% di dicembre al 2,1% di febbraio. Le previsioni per il tasso di disoccupazione sono scese dal 4,2% al 4,0%, sollevando dubbi sulla necessità di un'azione della Fed.

Per oltre un anno, la crescita economica degli Stati Uniti ha sfidato le aspettative di un rallentamento, predetto da quasi due anni di indicatori principali in calo, guidato dall'aumento dei tassi di interesse e dal tightening quantitativo della Fed. Non dimentichiamo che un ruolo chiave nella resilienza economia l’ha avuto la politica fiscale accomodante: il Brookings’ Hutchins Center calcola che l'aumento dello stimolo fiscale abbia aumentato il PIL reale di tre punti percentuali tra il Q4 2022 e il Q4 2023. E non è poco.

Ma gli stimoli fiscali non possono continuare all’infinito. La loro prevista riduzione per il 2024 è il motivo principale per cui ci aspettiamo quantomeno un rallentamento della crescita economica, anche se regna ancora una grande incertezza riguardo alla legislazione pendente come i tagli fiscali Wyden-Smith, i pacchetti di aiuti per Ucraina/Israele/Taiwan e altre misure che potrebbero finire per stimolare l'economia in un anno, non dimentichiamolo, elettorale.

La predominanza fiscale sulla politica monetaria è stata evidente anche negli offset al QT, come il programma di finanziamento a termine della Fed, le oscillazioni del conto del Tesoro e la pianificazione dell'emissione di bond governativi per sfruttare la struttura di repo inverso presso la Fed come fonte di più riserve bancarie. Mettendo tutto insieme, dopo un grande drenaggio delle riserve nel 2022, questi fattori speciali hanno più che compensato il QT nel 2023, lasciando alle banche più riserve e ai mercati finanziari più liquidità rispetto all'anno precedente.

Dallo scorso autunno, le condizioni finanziarie si sono ulteriormente alleviate con il cambio di rotta della Fed verso una prospettiva di tassi di interesse potenzialmente minori. Date le misure di politica monetaria più favorevoli nell'ultimo anno, non sorprende quindi che gli economisti continuino a migliorare le loro previsioni per la crescita e l'occupazione. Ma non è scontato che la Fed riesca nell’intento di conciliare gli effetti della riduzione dei tassi con quelli di una politica fiscale meno espansiva a crescita ed occupazione invariate. E questo potrebbe creare volatilità sui mercati.

Al momento, comunque, le prospettive indicano una crescita economica elevata. E lo vediamo guardando le revisioni al rialzo degli utili. Nel gennaio 2022, quando il consenso prevedeva una crescita del PIL dell’1,2% nel 2024, si prevedeva che i tassi dei Treasury a tre mesi sarebbero stati in media pari al 3,5%; media che a febbraio è cresciuta al 4,9%. Anche la prospettiva di crescita dei profitti delle società, che ha toccato il fondo vicino allo zero la scorsa estate, è migliorata costantemente man mano che l'economia sorprendeva al rialzo, raggiungendo a febbraio il +3.3% YoY.

Continuiamo a credere che i profitti siano la chiave per capire se l'economia possa riaccelerare da qui e sostenere gli indici azionari. Una revisione dei risultati degli utili del 4Q23 da parte di Absolute Strategy Research ha rilevato che il lieve aumento dello scorso anno è stato tuttavia distribuito in modo disomogeneo, con guadagni concentrati in un pugno di grandi aziende tecnologiche, mentre sono scesi per gran parte delle altre 493 azioni che compongono l'indice S&P 500. Le performance relative dell'equity hanno riflettuto questa traiettoria degli utili.

Nel complesso, i CEO sono ora più fiduciosi riguardo le prospettive, date la resilienza dell'economia nel 2023. Va da se che una migliore prospettiva di utili riaccende le forze cicliche dell'economia. Nonostante i migliori risultati sugli utili realizzati nel 4Q23, questi sono stati tuttavia mediamente inferiori rispetto al 3Q23 e rimangono al di sotto del livello massimo raggiunto nella prima metà del 2022. Dal 2H24 si potrebbe però innescare una ripresa che renderebbe improbabile la visione consensuale di un rallentamento della crescita.

Alla domanda se l'economia stia procedendo verso un atterraggio morbido, ovvero ad un ritorno dell'inflazione intorno all'obiettivo del 2% senza subire una recessione, una buona parte degli indicatori (non tutti per la precisione) sembra indicare di si. Finora il calo del tasso di inflazione dal picco ha rafforzato la fiducia che, nonostante una crescita solida, salari in aumento e bassa disoccupazione, l'inflazione continuerà a scendere verso l'obiettivo senza un significativo rallentamento della crescita.

Tutto bene quindi. Ci sono sempre dei se e dei ma. I segnali crescenti che l'economia potrebbe essere in ripresa, grazie anche alla forza continua sia nei valori patrimoniali che nei prezzi delle case che stanno creando un patrimonio netto familiare record, suggeriscono che il calo dell'inflazione potrebbe tuttavia essere di breve durata prima che i prezzi riprendano a salire, lasciando alla Fed un problema di inflazione più persistente dopo le elezioni. Difficilmente infatti la crescita economica si accompagna alla disinflazione.

E le recenti interruzioni nel trend al ribasso dell'inflazione non hanno fatto altro che alimentare questi dubbi. L'aumento dei tassi di interesse reali a lungo termine nell'ultimo anno suggerisce che lo stimolo fiscale perpetuo sta per finire, a meno che la Fed non ricominci ad acquistare più debito del Tesoro. Ma questo è improbabile finché l'economia continua a procedere spedita, rendendo superflua la necessità di tagli ciclici ai tassi.

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