USA: il taglio dei tassi non è un problema di se, ma di quando


Infilare l’ago tra l’inflazione in cale e un’economia in crescita non è semplice.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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PMI composito dell’Europa di gennaio in uscita oggi alle 10:00 (stima 49,9 punti contro 47,6 di dicembre). Alle 15.45 usciranno invece i dati di PMI USA di gennaio: PMI servizi (stima 52,9 punti contro 51,4 di dicembre) e PMI composito (52,3 punti contro 50,9 di dicembre), mentre alle 16:00 è la volta dell’ISM non manifatturiero di gennaio (stima 52 punti contro 50,6 di dicembre).

Sempre molto forti i dati del mercato del lavoro USA della scorsa settimana: gli occupati di gennaio sono risultati decisamente maggiori delle attese (353k contro 187k attesi e 333k di dicembre), mentre il tasso di disoccupazione di gennaio si mantiene al 3,7% (3,8% atteso). In crescita la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan (79 punti contro 78,8 attesa e 69,7 di dicembre). I dati confermano la nostra stima che la Fed non ha fretta di tagliare i tassi.

Indovinate i meme di Powell con la pittura blu per il viso, nei panni di Wallace di Braveheart. I mercati USA hanno fatto registrare una performance piatta la scorsa settimana dopo il meeting della Fed, il cui esito è sembrato molto simile alla famosa scena di quel film in cui Wallace implora i suoi soldati di "TENERE!" mentre l'esercito avversario si precipita verso di loro a cavallo. Lo scopo era quello di non reagire troppo presto e rivelare prematuramente le proprie difese, assicurandosi al tempo stesso che agissero abbastanza presto per respingere efficacemente l’attacco.

Powell ha lanciato lo stesso messaggio, dicendo al mercato che la Fed manterrà i tassi stabili il più a lungo possibile per vedere il bianco degli occhi sull’inflazione calmata, segnalando al contempo che intende agire (tagliare i tassi) in tempo per respingere una recessione. Questa finestra non è troppo piccola per essere attraversata a nostro avviso e infilare l’ago tra un’inflazione in calo e un’economia contemporaneamente in crescita non sarà semplice, né è garantito il successo.

Certo, è incoraggiante che i mercati non abbiano (per ora?) reagito in modo eccessivo: l’S&P 500 per esempio ha raggiunto il massimo storico per poi ripiegare. Secondo noi questo è dovuto al continuo afflusso di dati che mostrano che l’economia rimane in buona forma, rafforzando la necessità di pazienza da parte della Fed e della volontà del mercato di dare ai politici monetari il beneficio del dubbio.

Crediamo che ci siano almeno tre fatti importanti che meritano di essere approfonditi ed a cui gli investitori devono fare riferimento:

La Fed rimane in attesa, ma i tagli sono una questione di quando, non di se. A seguito del meeting della banca centrale, l'attenzione del mercato si è concentrata direttamente sugli incontri futuri cercando eventuali segnali su quando potrebbe arrivare un taglio dei tassi. I mercati scontavano un taglio già a marzo, un’aspettativa con cui siamo fermamente in disaccordo, come noto.

La Fed non ha dato al mercato ciò che sperava, sottolineando invece che intende aspettare ancora un po' per creare maggiore fiducia che l'inflazione rimarrà sull'attuale percorso discendente. Riteniamo che la mossa sia corretta. Tagliare prematuramente comporta il rischio di dover fare marcia indietro se l’inflazione dovesse riprendersi, un risultato che sarebbe molto più dannoso per i mercati rispetto a restare in sospeso un po’ più a lungo.

Riteniamo che il primo taglio dei tassi della Fed probabilmente non arriverà prima di giugno, ma arriverà. La Fed si trova di fronte ad una situazione complicata e, comunque, non crediamo che una questione di pochi mesi possa essere l’unico fattore determinante nel percorso di crescita dell’economia e del mercato azionario.

Come abbiamo visto, il mercato del lavoro regge. E questo fa guadagnare tempo alla Fed. Anche se l'annuncio della Fed non ha prodotto sorprese, lo stesso non può dirsi per l’ultimo rapporto sull'occupazione. L’incremento dei lavoratori in gennaio è stato il guadagno mensile più forte in più di un anno e il secondo mese consecutivo sopra i 330.000, verificatosi l'ultima volta nell'estate del 2022. Il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 3,7%, ancora appena sopra il minimo di 50 anni del 3,4%. Nonostante l’enorme aumento delle assunzioni, la disoccupazione è rimasta comunque invariata, quale effetto dell’aumento della forza lavoro. E questa è una buona notizia.

Una resilienza economica duratura richiede un mercato del lavoro solido. Quindi questo è stato un rapporto positivo dal punto di vista della crescita del PIL, con il consolidamento dei guadagni occupazionali che segnala che l’economia non è sull’orlo dell’esaurimento. Allo stesso tempo, altre misure attendibili del mercato del lavoro indicano che le condizioni occupazionali stanno cominciando ad ammorbidirsi. I dati della scorsa settimana hanno infatti mostrato che le aperture di lavoro (un indicatore della domanda di lavoro) e il tasso di abbandono (che segnala la disponibilità di nuovi posti di lavoro e la propensione dei lavoratori a lasciare la posizione attuale) si stanno stabilizzando (essendosi indeboliti nell’ultimo anno).

Riteniamo che lo stato di salute del mercato del lavoro sia il fulcro delle prospettive affinché l’economia rallenti senza però cadere in una tradizionale recessione. L’esaurimento del risparmio in eccesso e la moderazione della crescita salariale daranno ai consumatori meno potenza di fuoco nel 2024 rispetto all’attività di spesa dell’anno scorso.

In caso di turbolenza, resisti. Sebbene lo spostamento verso una politica meno restrittiva della Fed quest'anno sia, a nostro avviso, ampiamente favorevole per i mercati finanziari, siamo convinti che questo non avverrà senza intoppi. Guardando indietro ai tagli iniziali dei tassi della Fed nel 1990, 1995, 1998 e 2019 (escludiamo i tagli nel 2000 e nel 2007 che furono accompagnati dallo scoppio di bolle di mercato e immobiliari, condizioni che non consideriamo parallele a quelle odierne), notiamo come le flessioni dei mercati si sono verificate prima e dopo il taglio dei tassi (ad eccezione del 1995, che non ha subito nemmeno un ribasso del 5% durante l'anno). Queste ondate di debolezza del mercato si sono rivelate però opportunità di acquisto sia per le azioni che per le obbligazioni.

Non riteniamo che il mercato sia pronto per una flessione drammatica. Siamo tuttavia convinti che gli investitori farebbero bene ad anticipare alcuni dossi man mano che avanziamo. Sottolineiamo che è stato particolarmente incoraggiante vedere che i mercati non hanno utilizzato i dati sulla crescita dei salari più alti del previsto, come catalizzatore per svendere (secondo l’interpretazione che i salari interromperanno il trend dell’inflazione e manterranno la Fed in una posizione restrittiva più a lungo). Riteniamo che si sia trattato di una (non) reazione razionale delle azioni (sebbene i rendimenti obbligazionari abbiano effettivamente annullato il loro calo infrasettimanale). Questo, a nostro avviso, riflette la visione più ampia secondo cui un’economia sana è positiva per l’aumento dei profitti aziendali e sarà la soluzione protagonista di ulteriori guadagni del mercato azionario nel 2024.

Una fonte di preoccupazione riteniamo possano essere le preoccupazioni sulla salute finanziaria delle piccole banche statunitensi. La scorsa settimana infatti, le azioni di una piccola banca comunitaria, la New York Community Bancorp sono crollate bruscamente alla notizia delle sfide finanziarie. Un gruppo di banche più piccole ha sottoperformato, riflettendo una certa ansia riguardo ad ulteriori sfide.

Anche se siamo convinti che questo non diventerà necessariamente un evento in grado di influenzare il mercato, riteniamo tuttavia che le condizioni del credito e una certa tensione nel mercato immobiliare commerciale potrebbero rappresentare delle sfide per alcune banche più piccole.

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