USA: l'inflazione scende, ma i tassi rimangono alti


Powell continua la narrazione secondo cui l’inflazione rimane troppo elevata e diverse sono le incertezze che continuano a pesare sull’economia e i mercati.

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Dati importanti ma non strategici per i mercati finanziari in uscita questa settimana. Venerdì scorso i prezzi alla produzione della Germania YoY di settembre sono risultati in maggiore flessione rispetto alle attese (-14,7% contro -14,2% stimato e -12,6% di agosto) a conferma delle difficoltà dell’economia tedesca in questa fase congiunturale.

Sempre venerdì, l’agenzia S&P ha lasciato invariato il rating dell’Italia a BBB mantenendo stabile anche l’outlook. A preoccupare l’agenzia, sono un debito pubblico che fatica a scendere in rapporto al PIL, un disavanzo che sarà più corposo delle previsioni di primavera e l’incertezza sulle prospettive di crescita. Lo stesso potrebbe non verificarsi a breve, quando ad emettere il giudizio sull’Italia sarà Moody’s. Non a caso è questo il voto che più intimorisce, visto che l’outlook è già negativo.

Dall’altra parte dell’oceano nel suo ultimo discorso Powell, pur riconoscendo che le pressioni sui prezzi si sono attenuate, ha ribadito la narrazione secondo cui l’inflazione rimane troppo elevata, rafforzando l’aspettativa che la FED manterrà tassi di interesse elevati per un periodo prolungato. Nonostante la narrazione di Powell non sia cambiata rispetto alle precedenti dichiarazioni, il discorso di giovedì è arrivato poco dopo che il rendimento del decennale aveva raggiunto il 4,996%, il più alto dal luglio 2007. Il discorso di Powell ha inizialmente creato un certo ottimismo tra gli investitori, prima che si rendessero conto che aveva detto comunque ciò che il mercato si aspettava.

Diverse sono comunque le incertezze che continuano a pesare sull’economia e di riflesso sui mercati finanziari e che in questo momento superano qualsiasi impatto positivo derivante dalle aspettative che la FED mantenga invariati i tassi di interesse. Tra queste, l’aumento dei prezzi del greggio, le turbolenze politiche a Washington, la guerra tra Israele e Hamas e quella tra l’Ucraina e la Russia.

Il rapporto del Conference Board di giovedì scorso suggerisce che una recessione potrebbe essere in agguato all’orizzonte: il Leading Economic Index per esempio è sceso dello 0,7% a settembre, un calo maggiore rispetto allo 0,5% registrato ad agosto e più debole di quanto previsto dagli analisti. Ciò ha segnato il 18esimo calo mensile consecutivo per un parametro che è spesso visto come un presagio di recessione.

Finora, l'economia USA ha mostrato una notevole resilienza nonostante le pressioni derivanti dall'aumento dei tassi di interesse e dall'elevata inflazione. Tuttavia, il Conference Board prevede che questa tendenza non potrà essere sostenuta ancora per molto motivo questo che rende probabile una lieve recessione nella prima metà del 2024, come dicevamo. Non è però detto che nel corso della prima metà del 2024 l’inflazione possa raggiungere il 2%.

Di fronte ad una recessione seppur lieve, se la FED decidesse di tagliare i tassi prima che l’inflazione raggiunga il suo obiettivo medio del 2%, probabilmente sigillerebbe un contesto inflazionistico strutturalmente più elevato rispetto all’ultimo periodo. E questo non potrà non avere ripercussioni sui mercati finanziari. Dalle diverse dichiarazioni dei membri del FOMC, non ci sono però indicazioni che la FED possa alzare l’obiettivo di inflazione, per esempio al 3%.

Al momento vediamo che le azioni USA si sono stabilizzate, mentre i rendimenti dei titoli del Tesoro a 10 anni sono scesi dai massimi di 16 anni toccati all’inizio del mese. Riteniamo comunque che la volatilità dei rendimenti a lungo termine persisterà, anche se le banche centrali hanno probabilmente raggiunto il picco dei tassi ufficiali. I commenti della FED secondo cui i rendimenti di mercato elevati a lungo termine stavano svolgendo per loro l'opera di inasprimento della politica monetaria hanno contribuito a confermarlo.

Ma una rinnovata impennata dell’inflazione da servizi core, escluso il settore immobiliare, crediamo possa rafforzare le motivazioni che vedono una FED mantenere una politica monetaria rigorosa: tassi elevati più a lungo.

Sebbene gli investitori debbano essere consapevoli delle aree del mercato che storicamente hanno registrato buoni risultati dopo il picco dell’inflazione, riteniamo che un portafoglio ben diversificato sia comunque l’approccio migliore. L’inflazione è infatti solo uno dei fattori di cui occorre tenere conto, considerato che le correlazioni tra asset finanziari e inflazione sono imperfette e facilmente influenzabili da una varietà di fattori esterni.

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