Usa: quali settori saranno più colpiti dai dazi?

Il commercio USA dipende molto dalle affiliate estere, le cui vendite sono 2.7 volte superiori al valore dell’export USA.
A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM
Inflazione della Germania YoY di gennaio in uscita oggi alle 8:00 (stima -2.3% contro +2.6% in dicembre), crediamo più frutto dei problemi economici interni piuttosto che dall’azione dei tassi di interesse restrittivi. Produzione industriale dell’Europa MoM di dicembre alle 11:00 (stima -0.6% contro +0.2% di novembre) che di fatto riflette i problemi economici dei due più grandi paese dell’Eurozona: Germania e Francia.
Alle 14:30 sono attesi due dati importanti dagli USA: le richieste di sussidi settimanali di disoccupazione (stima 221k contro 219k della scorsa settimana) e i prezzi alla produzione MoM di gennaio (stima +0.2%, invariato rispetto a dicembre).
Forte flessione della produzione industriale dell’Italia MoM di dicembre (-3.1% contro -0.2% atteso e +0.3% in novembre), a conferma delle difficoltà che incontra l’economia nel momento in cui i due grossi importatori dei nostri prodotti (23% circa dell’export) sono sostanzialmente fermi e dove esiste una forte incertezza sugli Stati Uniti, che rappresentano il 10.5% del nostro export.
Più alta del previsto (e non è una buona notizia), l’inflazione CPI YoY di gennaio degli Stati Uniti (3% contro 2.9% atteso e di dicembre). I costi energetici sono aumentati dell'1% anno su anno, il primo aumento in sei mesi, dopo un calo dello 0.5% a dicembre, principalmente a causa della benzina (-0.2% contro -3.4%), dell'olio combustibile (-5.3% contro -13.1%) e del gas naturale (+4.9% invariato). Inoltre, i prezzi delle auto e dei camion usati sono rimbalzati (1% contro -3.3%), i costi sono accelerati per i trasporti (+8% contro +7.3%) e sono diminuiti meno per i veicoli nuovi (-0.3% contro -0.4%). D'altro canto, l'inflazione si è stabilizzata per il cibo (+2.5% invariato) e ha rallentato per gli alloggi (+4.4% contro +4.6%). L'inflazione ha rallentato per gran parte dell'anno scorso, scendendo fino al +2.4% da un massimo di 40 anni del +9.1% a metà del 2022, ma è rimasta ostinatamente alta dall'autunno. Il costo di servizi come l'assicurazione auto, le riparazioni auto e l'assistenza sanitaria ha continuato a salire in parte a causa degli effetti ritardati della carenza di veicoli o degli aumenti salariali correlati alla pandemia. I mesi a venire dovrebbero portare un po' di sollievo. Per la rimanente parte dell’anno crediamo che gli aumenti degli affitti, un grande motore dell'inflazione, probabilmente continuerà a moderarsi e gli aumenti salariali sono destinati a rallentare ulteriormente.
Non ci sentiamo di escludere che, dopo aver allentato i primi mesi del 2025, l'inflazione non possa tornare ad accelerare di nuovo nella seconda metà dell'anno. Trump ha annunciato pesanti tariffe sulle importazioni cinesi e sulle spedizioni di acciaio e alluminio, e ha ritardato le imposte su Canada e Messico che potrebbero ancora entrare in vigore all'inizio di marzo. Inoltre, Trump ha anche affermato che è probabile che già questa settimana vengano introdotti dazi più drastici su una serie di paesi, una strategia che, secondo gli economisti, farebbe aumentare i prezzi in modo più brusco. E infatti, molti analisti prevedono che le aziende statunitensi scaricheranno sui consumatori la maggior parte dei costi dei dazi di Trump, dando alla Fed maggiori motivi per mantenere i tassi più alti più a lungo.
Ma alla fine, che cosa vogliono sapere i mercati e gli investitori sui dazi e tariffe in arrivo? Si va facendo sempre più strada l’idea che i dazi commerciali possano alla fine rivelarsi uno strumento diplomatico popolare per l'amministrazione Trump. Facciamo un veloce ripasso delle basi del commercio internazionale. Dimentichiamo quello che ci è stato insegnato finora, ovvero che il commercio bilaterale è fatto di semplici importazioni ed esportazioni con un relativo saldo commerciale. Magari fosse così semplice. In realtà è una questione molto più complessa. Cominciamo quindi con l’analisi.
Gli Stati Uniti sono una delle maggiori nazioni commerciali al mondo ma, relativamente, il commercio rappresenta solo una quota nominale del PIL statunitense. Questo perché al di fuori della Cina, gli USA restano il principale esportatore e importatore globale di beni e servizi e le esportazioni rappresentano solo l'11% del totale del PIL degli Stati Uniti.
In un'economia trainata dal consumo, che genera circa 30 trilioni di dollari di produzione annuale, il commercio è più un elemento residuo. Gli Stati Uniti non dipendono dal commercio quanto altre nazioni. La domanda è che cosa questo significhi per gli investitori.
Significa che gli effetti dei dazi saranno più percepibili a livello micro o settoriale, piuttosto che a livello macroeconomico. Con i primi dazi applicati, i settori statunitensi più esposti sono: auto, farmaceutica, petrolio e gas, semiconduttori e settori retail e alimentazione.
Inoltre, quando una delle principali nazioni commerciali imbocca la strada del protezionismo, i rischi si riversano in modo sproporzionato sulle nazioni commerciali di Europa, Asia e mercati emergenti. Le loro prospettive economiche si affievoliscono, le valute si indeboliscono e i beni finanziari perdono valore a causa dell'incertezza globale. In questo contesto, crediamo che gli investitori continueranno a preferire le azioni USA rispetto al resto del mondo, mantenendo una posizione neutrale sui mercati emergenti e leggermente sottopeso sulle nazioni sviluppate.
Il commercio non sembra quindi il miglior indicatore. Un ruolo chiave lo fanno le vendite affiliate estere. Nell'era moderna, il commercio globale è ancora misurato attraverso la lente teorica di Ricardo e Smith (elaborata oltre 200 anni fa). Questo è chiaramente fuorviante, poiché l'antica equazione esportazioni - importazioni = commercio globale non rispecchia la realtà. Il principale mezzo mediante il quale le imprese statunitensi (e le multinazionali straniere) forniscono beni e servizi ai clienti esteri è attraverso investimenti in affiliati esteri, non tramite commercio diretto.
Secondo i dati del Bureau of Economic Analysis (BEA), gli affiliati americani producono circa 1,6 trilioni di dollari in output, impiegano 14 milioni di lavoratori a livello globale e hanno registrato 8,1 trilioni di dollari in vendite affiliate nel 2022. Questa cifra è 2,7 volte superiore al valore delle esportazioni statunitensi. D'altro canto, gli affiliati esteri di multinazionali straniere negli USA vendono beni per 5,9 trilioni di dollari, un ammontare maggiore rispetto alle importazioni statunitensi (4 trilioni).
E gli investitori? Gli investimenti esteri guidano il commercio estero. Quando gli USA impongono dazi su beni importati, e questi sono seguiti da dazi reciproci all'estero, il risultato è un blocco delle operazioni globali delle multinazionali statunitensi. Le catene di approvvigionamento vengono interrotte, i costi aumentano e i margini di profitto possono ridursi. Inoltre, in risposta ai dazi USA, le nazioni colpite (es. Cina) possono complicare le attività degli affiliati statunitensi attraverso normative locali più rigide, concorrenza interna sovvenzionata e boicottaggi informali dei brand americani. Il commercio è quindi governato dalle aziende, non dai paesi. Sebbene il commercio venga spesso considerato uno scambio tra due nazioni, nella realtà il commercio transfrontaliero riflette, nella maggior parte dei casi, scelte aziendali finalizzate alla massimizzazione dei profitti. Per chiarire: i paesi creano il terreno di gioco per il commercio, ma le aziende sono i veri giocatori.
Inoltre, gran parte del commercio statunitense è considerato “commercio tra parti correlate,” ovvero lo scambio di beni e servizi all'interno della stessa azienda. Circa il 50% delle importazioni USA rientra in questa categoria; secondo i dati del Census Bureau, questa percentuale sale a due terzi (per esempio, General Motors Michigan che commercia con General Motors Messico).
Analizziamo allora gli effetti dei dazi sul commercio intra-aziendale. I dazi incidono sul commercio tra parti correlate aumentando i costi per le multinazionali che spostano beni tra le loro filiali oltre confine. Non c'è margine per trasferire questi costi a una terza parte perché, semplicemente, non esiste una terza parte: la transazione avviene completamente all'interno della stessa azienda. Le imprese possono scegliere di assorbire il costo o trasferirlo ai clienti. Tuttavia, trovare nuovi fornitori o spostare la produzione richiede tempo ed è proibitivamente costoso. In questo contesto, secondo le stime di alcuni analisti, un dazio del 25% sul Messico potrebbe potenzialmente aggiungere circa 3.000 dollari al prezzo medio di un veicolo. Oltre al settore automobilistico, il commercio intra-aziendale negli Stati Uniti è particolarmente comune in settori come l'elettronica (ad esempio semiconduttori), la farmaceutica e il petrolio e gas.
Il consenso generale suggerisce che le aziende di grande capitalizzazione, con operazioni diffuse in tutto il mondo, siano le più esposte e a rischio in un mondo sempre più diviso e frammentato da restrizioni commerciali reciproche. Questo non è necessariamente vero. Le piccole e medie imprese, nel loro complesso, sono in realtà grandi commercianti, rappresentando un terzo del totale delle importazioni statunitensi di beni nel 2022, l'ultimo anno con dati completi. Occorrerà quindi che gli investitori scelgano le aziende il cui approvvigionamento, produzione e vendite è realizzato in larga parte all’interno degli Stati Uniti. Come le multinazionali, anche le piccole imprese hanno beneficiato di un sistema commerciale globale più aperto che chiuso. La riduzione dei costi di comunicazione, il calo delle tariffe di spedizione, la digitalizzazione del commercio transfrontaliero e la liberalizzazione dei regimi commerciali e di investimento hanno aiutato le imprese locali statunitensi a integrarsi maggiormente nell'economia globale nel corso degli ultimi decenni, contribuendo a guidare crescita e profitti.
Per gli investitori riteniamo che questo significhi mantenere una leggera posizione sovrappesata sulle piccole capitalizzazioni, opportunamente selezionate sulla base di una solida crescita economica attesa negli Stati Uniti, un ciclo di profitti in espansione, un potenziale aumento delle attività di M&A (fusioni e acquisizioni) e costi di capitale inferiori. Stiamo cercando di monitorare attentamente i dazi e il loro possibile impatto negativo sulle piccole imprese che, a insaputa di molti investitori, sono alla fine grandi commercianti se presi nella loro totalità.
Per cercare di riassumere il commercio statunitense non è semplice, ma complesso. Ci sono molteplici fattori in movimento. L'adozione dei dazi da parte degli Stati Uniti implica che gli investitori debbano monitorare attentamente i settori e le industrie, comprendere come le aziende statunitensi consegnano effettivamente i loro beni ai clienti esteri (tramite investimenti, non commercio diretto) e riconoscere l'importanza del commercio intra-aziendale e dei dazi.
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