Vale la pena di investire in Cina?


Che cosa sta succedendo in Cina? Secondo la Banca Mondiale l’economia cinese crescerà del 2,8% nel 2022 e del 4,5% nel 2023: percentuali decisamente contenute per la Cina. Per Tognoli la Cina sta cercando di uscire dall’angolo, e lo vediamo nell’accenno al rispetto delle regole internazionali, al rispetto dell’ordine mondiale, al fatto che la Cina non vuole scalzare il ruolo dell’America nel mondo. La domanda ora è: vale la pena di investire in Cina?

A cura di Antonio Tognoli, Responsabile Macro Analisi e Comunicazione presso Corporate Family Office SIM


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Alle 3:30 escono i prezzi al consumo YoY della Cina di novembre (stima 1,6% contro 2,1% di ottobre). Alle 14:30 i prezzi alla produzione YoY USA di novembre (stima 7,2% contro 8% di ottobre) e alle 16:00 la fiducia dei consumatori di dicembre dell’Università del Michigan (stima 56,9 punti contro 56,8 di novembre).

Ieri la revisione delle richieste alla disoccupazione settimanali USA non ha riservato sorprese (230k), in aumento rispetto alla scorsa settimana (226k).

Intorno all’economia della Cina, che lo ricordiamo è la seconda del pianeta, aleggiano diversi rischi (ma su quale paese non ce ne sono). Innanzitutto il debito, che rischia di sfuggire di mano, poi il settore immobiliare che si sta sgretolando sotto il peso del proprio debito, senza dimenticare la strategia zero Covid che rallenta i consumi e che solo ora, dopo gli evidenti danni economici, sembra allentarsi. Tutte cose che il partito sembra ignorare, quasi vivesse una dimensione parallela, ignorando i veri problemi del Paese.

Il mix di cui sopra, è probabile che si traduca in una riduzione della crescita economica a livelli trai i più bassi degli ultimi 30 anni. Secondo la Banca Mondiale l’economia cinese crescerà del 2,8% nel 2022 e del 4,5% nel 2023 (la Cina aveva fissato per il 2022 un obiettivo di crescita del 5,5%). Per l’Europa sono percentuali del tutto rispettabili, ma per la Cina sono decisamente contenute.

Sia perché il PIL del resto dell’Asia è atteso crescere nel 2022 del 5,5%, sia soprattutto alla luce del fatto che Xi Jimping, dopo la rielezione per il terzo mandato, ha la formidabile e unica opportunità di plasmare e influenzare la Cina in un modo e in una misura pari solo a Mao prima di lui. Occorre che però faccia i conti con la realtà.

E potrebbe anche aver cominciato a farli, a cominciare dall’incontro con Biden dello scorso novembre. Non succedeva da anni e quello di Bali è stato il primo incontro di persona da quando Biden e Xi sono entrambi presidenti. Non dimentichiamo che il meeting è avvenuto in uno scenario segnato da mesi dalla guerra tra Russia e Ucraina, dalla crisi climatica e dalle conseguenze economiche della pandemia da Covid-19. Secondo notizie di stampa, pare che i due presidenti abbiano trovato punti comuni in cui si collaborerà, come per esempio sull’ambiente e punti di vicinanza e di vedute come per esempio contro l’uso delle armi atomiche e contro la minaccia dell’uso delle armi atomiche.

Sarà un caso, ma da metà novembre il prezzo dei titoli cinesi quotati al Nasdaq (perlopiù tecnologici), pesantemente negativi fino ad allora, hanno cominciato a salire. Sembra inoltre che gli USA possano anche ridurre le pesanti sanzioni contro Huawei. Vedremo.

Riteniamo che la Cina stia cercando un modo per uscire dall’angolo in cui si sente. Nelle dichiarazioni cinesi si notano infatti diversi elementi che tentano di stemperare gli angoli: l’accenno al rispetto delle regole internazionali, al rispetto dell’ordine mondiale, al fatto che la Cina non vuole scalzare il ruolo dell’America nel mondo.

Non dobbiamo però fare l’errore di credere che la Cina vuole stare con gli USA e non con la Russia. Pensiamo la Cina abbia la sua agenda politica che non coincide nè con quella degli USA e della NATO, nè tantomeno con quella della Russia. E lo dimostra il fatto che il primo gennaio 2022 è partito operativamente il meccanismo del RCEP (l’accordo commerciale che include la Cina, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e i paesi dell’Asean), passo fondamentale verso una maggiore integrazione economica dell’intera area asiatica. L’accordo, che vede la nascita della più vasta zona di libero scambio del mondo, prevede una riduzione progressiva delle tariffe doganali tra i vari paesi che si completerà gradualmente nell’arco di 20 anni. Difficile quindi che la Cina voglia buttare a mare la strategia di crescita dei prossimi anni.

Da un punto di vista economico (non sono un analista politico) è ovvio che la Cina non ha interesse ad alzare la tensione con gli USA e con l’Europa, almeno per il momento. Nel 2021 il commercio tra la Cina e gli Stati Uniti è aumentato in valore del 28,7%, raggiungendo 755,6 miliardi di dollari, mentre il surplus commerciale ha toccato 396,5 miliardi di dollari (+22%). La sostanza non cambia per l’Eurozona. Secondo Eurostat, nei primi undici mesi del 2021 l’export della UE verso la Cina è aumentato dell’11.4%, raggiungendo 203,6 miliardi di euro (da 182,9 miliardi di euro del 2020), mentre l’import è invece salito di oltre il 20%, arrivando a 421,8 miliardi di euro (da 351,3 miliardi di euro), facendo crescere il surplus Cinese verso l’Eurozona del 30% a 218 miliardi di euro.

Se allunghiamo l’orizzonte temporale, dobbiamo rifarci alle tendenze di medio periodo dettate nel marzo scorso dalla Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese e dall’Assemblea Nazionale del Popolo (le due sessioni) che hanno dato il via libera al quattordicesimo Piano Quinquennale contenente importanti linee guida di riforma sociale, economica ed industriale e che lasciano intravedere un quinquennio di grandi cambiamenti. L’impostazione generale poggia su alcuni pilastri:

  • Dual Circulation: è la strategia di sviluppo economico basata sul mercato interno (internal circulation) ed in modo articolato sull’integrazione globale (external circulation), confermando di fatto le impostazioni di politica economica del tredicesimo PQ, i cui obiettivi non sono stati raggiunti per effetto della pandemia. Le direttrici riguardano l’uscita della Cina dallo stato di Paese in via di sviluppo, con un PIL pro-capite stimabile intorno ai 30.000 dollari nel 2035. Non sono completamente chiari invece gli obiettivi dell’integrazione globale che fanno leva sull’indipendenza tecnologica;
  • Indipendenza Scientifica e Tecnologica. Già il programma Made in China 2025 (MiC2025), lanciato nel 2015, conteneva gli elementi per una profonda trasformazione industriale, spostando l’accento dalla quantità alla qualità e individuando 10 settori strategici in cui la Cina avrebbe dovuto raggiungere la leadership entro il 2049. Gli obietti del nuovo PQ sono di fatto gli stessi del MiC2025, rivisti alla luce dei mutamenti tecnologici intervenuti;
  • Nuova Urbanizzazione. L’intento è quello di ridurre il divario tra le fasce di popolazione più povere e più ricche. Gli obiettivi della Nuova Urbanizzazione prevedono grandi trasformazioni del modello economico basato sull’agricoltura e la trasformazione del settore dei servizi, lasciando intravedere grandi opportunità di business. Il nuovo PQ non prevede però una nuova liberalizzazione del mercato fondiario che avrebbe dato ulteriore impulso ai redditi delle famiglie rurali;
  • Green Development. Pur essendo indicato come indispensabile, il PQ non ha dato indicazioni precise e obiettivi specifici del green development, contenuti comunque nelle deliberazioni dell’ultimo State Council che strutturavano un preciso percorso di trasformazione economica e sociale verso la carbon neutrality, non presente nelle pianificazioni precedenti. E’ uno sforzo immane che comporta la dismissione di circa 700 GW di centrali a carbone (simile alla capacità di potenza installata in Europa) e l’eliminazione di 12GtCO2e/l’anno. Gli investimenti sono enormi e pari a circa 140 tn di RMB (circa 16 tn di dollari) in 10 anni.

Fin qui la teoria. Occorre poi metterla in pratica. Tra gli ostacoli da superare c’è l’armonizzazione dei diversi portatori di interessi. Per esempio, tra i principali obiettivi per l’anno 2022/23 c’è quello che i vertici Cinesi chiamano il “benessere condiviso”, ovvero una condizione condivisa da tutti sia in termini materiali che in termini culturali, con una riduzione del gap tra regioni, aree urbane e rurali e tra entrate individuali e l’impegno nella ridistribuzione della ricchezza che, secondo il Governo è possibile suddividere in tre obiettivi che però sono ben lontani dall’essere raggiunti: ridurre i costi delle abitazioni, aumentare le entrate e dare alla popolazione maggiori opportunità di creare ricchezza.

Vale la pena di investire in Cina? Nonostante il 2021 e il 2022 non siano stati particolarmente brillanti per i mercati finanziari cinesi, riteniamo che nel 2023, grazie alle nuove priorità politiche di lungo termine imperniate sui pilastri precedenti, le autorità abbiano definitivamente chiarito che gli obiettivi primari si sono spostati verso la stabilizzazione della crescita, l'autosufficienza e la tutela dell’ambiente.

Chiaro che i primi passi verso il nuovo equilibrio non saranno facili, soprattutto alla luce della debolezza del settore immobiliare, della pandemia che ne hanno frenato l’implementazione e della guerra. In questo scenario, siamo tuttavia convinti che le azioni di alcune società cinesi, la cui attività è concentrata principalmente sul mercato interno, abbiano il potenziale per performare relativamente bene nel 2023 e possano anche mettere al riparo il portafoglio dal rischio geopolitico. Il generalizzato de-risking sulle azioni cinesi degli ultimi 6/9 mesi ha creato diverse opportunità in particolare nei settori healthcare, IT e dei consumi.

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