Vent’anni di Cina nel WTO, quali sono oggi i settori più promettenti


Sono passati vent’anni dall’ingresso della Cina nell’Organizzazione del Commercio Internazionale, un evento che ha cambiato la storia contemporanea. I deficit commerciali e gli investimenti diretti in Cina smentiscono la narrativa della deglobalizzazione e la ripresa economica cinese sarà uno dei temi più interessanti del 2022.

A cura di Carlo Benetti, Market Specialist di GAM


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Il grande balzo della Cina

Il debutto della Cina in Occidente è rappresentato dalla data iconica dell’11 dicembre 2001, giorno in cui il Paese fu ammesso al World Trade Organization, il club del libero commercio internazionale. Per essere ammessa, ricorda Carlo Benetti, Market Specialist di GAM, “la Cina fu costretta ad aprire, sia pure parzialmente, la sua economia e abbattere numerose barriere commerciali”: furono eliminate oltre settemila tariffe e modificate centinaia di quote contingentate applicate alle importazioni.

Ma i benefici che ne derivarono furono incalcolabili: basti pensare che nel 2001 la Cina era “solo” il quarto maggior paese esportatore e nel 2009 era già diventato il primo. Crescono le esportazioni, cresce il PIL: se nel 2001 era circa il 13% di quello americano, oggi è prossimo al 73%.

Dai livelli del Sudan, il reddito procapite è arrivato in vent’anni ai livelli del Messico, e “uno degli obiettivi della prosperità comune di Xi Jinping è di incrementarlo ulteriormente portando la classe media al 70% della popolazione”, afferma Benetti.

Da partner commerciale ad avversario strategico

Lo straordinario potere economico della Cina è presto diventato uno strumento di pressione politica, mentre le dispute diplomatiche e commerciali che dividono Usa e Cina derivano dalla grande distanza sulla visione strategica del mondo. Il Paese del Dragone, potenza emergente sempre più sicura del proprio status, ora sfida il “monopolio delle regole”.

La Cina ha una visione diversa sulla governance globale, sulle relazioni diplomatiche, sul ruolo delle istituzioni sovranazionali, ma forte della suo peso economico nella scacchiera globale, “vuole sedere allo stesso tavolo con gli ordinamenti liberal-democratici occidentali e, con pari dignità di potenza planetaria, concorrere a definire le nuove regole dell’ordine globale”. afferma il market specialist.

Democrazia o oligarchia, mercato o dirigismo, individuo o stato: Usa e Cina hanno visioni molto diverse, ma sono comunque obbligati a cooperare al contrasto del cambiamento climatico prima ancora che al disegno dei nuovi equilibri politici globali.

In Cina il primato della legge è interpretato in modo diverso rispetto ai governi occidentali: “il sistema legale è uno strumento utile ad assicurare al Partito Comunista la primazia e i tribunali sono i luoghi dove il volere del governo viene imposto” scrive Michael Schuman su The Atlantic “lo stato può fare qualsiasi cosa e poi cercare nella giurisprudenza gli opportuni sostegni”.

Una cintura sanitaria stesa attorno al settore immobiliare

Guidato dal governo e non dalle regole del libero mercato, il sistema economico cinese affronta le crisi aziendali in modo del tutto diverso rispetto all'Occidente.

Evergrande, ad esempio, non ha rispettato il pagamento di 82 milioni di dollari delle cedole nella scadenza di dicembre, una situazione tutt’altro che eccellente: “Fitch ha dichiarato Evergrande in condizioni di default, le azioni sono in caduta libera e i molti cittadini cinesi che hanno versato anticipi per l’acquisto della casa rischiano di perdere il loro denaro”, nota l’esperto di GAM, che si sofferma sulla reazione nervosa del mercato. Gli investimenti massicci nel debito societario cinese erano stati sostenuti anche dal retropensiero che la proprietà pubblica avrebbe scongiurato il rischio default, ma non è andata così: oltre ad Evergrande, anche Kaisa, un’altra grande società immobiliare, non ha onorato 400 milioni di dollari di cedole. Non sono i primi casi di default, ma sono certamente i più importanti per dimensioni, dato che le due società rappresentano circa il 15% delle emissioni del settore immobiliare.

Ma in Cina, le cose funzionano diversamente dall’Occidente: niente tribunale per le società inadempienti, piuttosto si cerca in tutti i modi di evitare che le bolle finanziarie possano esplodere, o che i default abbiano ripercussioni sul resto del sistema economico e finanziario, evitando un effetto domino che, in un settore come il real estate che vale il 30% dell’economia, avrebbe esiti imprevedibili.

Inoltre, fallimenti e crisi finanziarie “costituirebbero fastidiose pietre d’inciampo nel cammino di Xi verso la riconferma al terzo mandato presidenziale il prossimo anno”. D’altro canto, la “prosperità comune” non potrebbe permettere di mandare in rovina i clienti di Evergrande e Kaisa e di molti risparmiatori. E quindi ecco che “le autorità pianificano default chirurgici e nel frattempo sono arrivate in aiuto le banche pubbliche per le quali la redditività viene dopo l’interesse del sistema economico, hanno acquistato quote della società mentre la Banca del Popolo ha alleggerito i requisiti delle riserve obbligatorie”, afferma Benetti.

Se i timori dell’effetto domino e le severe disposizioni regolatorie in numerosi settori avevano fatto precipitare le valutazioni dei titoli cinesi, ora cresce la percezione che non ci saranno contagi sistemici, i dati macro stanno migliorando, è ripartita la domanda interna e le esportazioni sono migliorate. In altre parole, sono presenti tutte le premesse per una ripartenza che merita di essere tenuta d’occhio.

Quali sono le opportunità per gli investitori

I consumi sono un formidabile motore di crescita anche in Cina e “le opportunità più allettanti possono essere trovate tra le ‘stelle nascenti’ nel segmento delle mid-cap” scrive Jian Shi Cortesi di GAM Investments “perché sono le beneficiarie delle nuove disposizioni anti-monopolio”.

Tra gli aspetti centrali del nuovo piano quinquennale c’è la formazione di un contesto di più equa competizione commerciale. Una questione definita da Benetti “di pragmatica concretezza”, dato che le società private creano quasi il 90% dei nuovi posti di lavoro, e dunque favorire il loro sviluppo è la necessaria precondizione per realizzare il duplice obiettivo di avere il 70% della popolazione nella classe media da qui a fine decennio e provare a vincere la competizione digitale con gli Stati Uniti.

La Cina continua ad attrarre flussi di denaro in investimenti diretti. Secondo i dati della American Chamber of Commerce, nel corso del 2021 quasi il 60% delle grandi società americane ha riportato un incremento del 30% degli investimenti in Cina rispetto al 2020. Vale lo stesso per gli investimenti finanziari, dove i flussi di denaro sono stati aiutati dall’incremento del peso della Cina negli indici globali e locali e dai rendimenti delle sue obbligazioni: un intorno del 3,5%, paragonato al circa 1,5% del decennale americano si presenta come attraente opportunità per denaro che gira il mondo in cerca di rendimento.

In conclusione, “per gli investitori sembrano contare di più il supporto del governo al settore privato e alla classe media, gli investimenti nella transizione energetica e nel progresso digitale”. Se la ripresa dell’economia in Cina continuerà sul registro delle ultime settimane potremo assistere a un re-rating delle azioni dell’area: le valutazioni straordinariamente a buon mercato della borsa cinese e dei listini asiatici costituiranno uno dei temi di investimento più attraenti del nuovo anno.

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