Wirecard, neanche un euro nelle Filippine. Si infrange l’illusione della più grande fintech tedesca


Venerdì si è dimesso il ceo della società di pagamenti online. Secondo tonfo in Borsa: -35,2%. Nella serata di ieri è arrivata anche la conferma della banca centrale delle Filippine: il denaro “assente” dal bilancio di Wirecard, 1,9 miliardi di euro, non sarebbe mai entrato nel sistema finanziario filippino. Si delinea una frode e il fallimento del sistema di controllo finanziario tedesco su un asset le cui ombre erano state denunciate da tempo.


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La banca centrale delle Filippine: qui mai arrivato un euro

Le cronache finanziarie del fine settimana hanno restituito il peggiore crollo in Borsa di tutti i tempi per un titolo tedesco quotato nel Dax, il listino principale di Francoforte.

Nella serata di ieri è arrivata anche la conferma della banca centrale delle Filippine: il denaro “assente” dal bilancio di Wirecard, 1,9 miliardi di euro, non sarebbe mai entrato nel sistema finanziario filippino.

Nuovo tonfo in Borsa. Titolo scambiato a 25,82 euro

Si stringe il cerchio intorno allo scandalo della società di pagamenti online tedesca. L’amministratore delegato, Markus Braun, si è dimesso venerdì dopo aver dichiarato di non escludere la possibilità di essere stato vittima di una truffa.  Giovedì EY, revisore dei conti della società, aveva rifiutato di certificare il bilancio in quanto non aveva trovato prove sufficienti per un ammanco di 1,9 miliardi di euro in bilancio. Era la quarta volta di seguito che accadeva.

Secondo quanto riferito dal Wall Street Journal, la società avrebbe schierato terze parti e società di comodo per produrre entrate e denaro falsi.

La startup di pagamenti digitali ha chiuso la seduta di giovedì con un tonfo del 62,47% (a 38,87 euro) alla Borsa di Francoforte. Venerdì un altro 35,29% bruciato e un’erosione del valore a 25,82 euro.

La capitalizzazione del gruppo del fintech tedesco è scesa a circa 4,8 miliardi (solo due anni fa valeva 24 miliardi).

Si delinea un tentativo di frode

Una voragine nei conti (1,9 miliardi corrispondo a un quarto della capitalizzazione di Wirecard) finita in un vicolo cieco in territorio asiatico. Secondo le due banche filippine Bpi e Bdo i documenti presentati da Wirecard in cui si certifica il deposito di fondi presso di loro erano falsi.

Bpi però sabato avrebbe sospeso un “manager assistant” la cui firma sarebbe apparsa su uno dei certificati fraudolenti.

La testa di Braun non sarà l’unica a cadere. Wirecard venerdì ha anche sospeso il Cfo Jan Marsalek.

Secondo quanto riferisce Bloomberg, l’ascesa di Wirecard non sarebbe stata possibile senza i suoi finanziatori. La stessa Deutsche Bank ha esteso il credito all'ex Ceo, un credito garantito con le azioni Wirecard.

Le banche e le autorità di regolamentazione tedesche stanno mettendo sotto osservazione tutti i contatti della società. BaFin (l’autorità di regolamentazione finanziaria tedesca) starebbe indagando almeno 15 finanziatori commerciali, tra cui Commerzbank e ABN Amro Bank NV dei Paesi Bassi.

Lo scorso anno era stata la stessa Bafin a sospendere le vendite allo scoperto sulla società e ad attaccare due giornalisti del Financial Times che avevano “gettato ombre” sui conti della società.

Il sistema  di Wirecard era finito da tempo sotto la lente degli analisti (Kpmg aveva sollevato sospetti già nel 2018 e ad aprile di quest’anno) e aveva stimolato lo short selling sul titolo.

Sempre il Wsj venerdì ha sottolineato come per alcuni “critici accaniti” la ricompensa non sarebbe stata soltanto in denaro, ma anche una “rivendicazione” di una posizione sostenuta da tempo. 

Dam McCrum e Stefania Palma che seguendo un report di una delle maggiori società legali asiatiche, R&T, avevano ripreso le dichiarazioni di un dipendente di Wirecard, secondo cui diversi documenti contabili riportanti liquidità o ricavi da terze parti in Asia erano stati ricostruiti internamente.

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